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delle civili discordie. Romoreggiavano in Piemonte, commovevansi in Lombardia, insanivano in Toscana, in Roma in Napoli imbestialivano i partigiani dei re. Dolore e sospetto occupava gli animi devoti al nome nostro e di Francia; di Cosacchi e di Turchi rinfrancavansi le pericolanti tirannidi. Tornava agli Austriaci; divideasi co' Russi la superiore Penisola ; l'armi papali e borboniche non contenendosi, anelavano partecipare alla preda. Se celere surse l'edifizio buonapartiano, celermente anco precipitò, e quello che uno solo avea fatto, i mille non bastarono a mantenere: ma tale era il destino di lui e il nostro.

Dolse a Celestino la súbita ruina, e non che celasse il proprio dolore, apertissimamente anzi, come volea l'animo suo caldo e fremente, traboccỏ. Visitava nella ritirata per Genova, e del bisognevole liberalmente sovveniva i perdenti eroi della Trebbia. Prorompeva con essi in lamenti, in minacce, invocando il nome del guerriero lontano. Ma i tempi lo serbavano a peggio. Dirò intanto brevemente della Toscana.

Poca o niuna sventura pativa il Granducato per l'invasione francese; il Principe piegandosi uno dei primi all'amicizia della repubblica, allontanava da' suoi Stati i mali della conquista. Dall'altro lato la Toscana non entrava allora gran cosa nei calcoli del Direttorio, contento d' aver ferito l'Imperatore nelle sue possessioni d'Italia, per obbligarlo a divergere dal Reno, ed a venire agli accordi per le linee di frontiera. Ma nel novantanove tutto andò sossopra. Venti e più mila processi sorsero in Toscana: empiva le carceri il meglio della popolazione. Non che l'aderenza ai prin

cipii e agli uomini di Francia, s'indagarono, si punirono i desiderii, i sospiri: il birro la faceva da teologo. Che ove preti e frati si mostrano alla testa delle moltitudini, le superstizioni, il fanatismo religioso si mescolano alla ragione di stato, e il procedere dei tribunali doventa inquisizione.

Scapitò la morale pubblica; risorsero gli odii municipali; i buoni effetti della Leopoldina amministrazione andarono la maggior parte dispersi. I segni cavallereschi e le stole confuse fra l'armi de' briganti, manifestarono esservi volgo anco di non plebei. Cortona, Arezzo insorgevano le prime. I botoli, '

Ringhiosi più che non chiede lor possa,

non ismentita l'antica natura, sollevati i paesi loro, a stormi si versavano sulle province circonvicine. Guidavanli un Frate, una Meretrice, un Inglese; miscuglio degno dei tempi. Il simbolo della redenzione, l'immagine della Vergine Madre erano segnacolo alle turbe, contaminato non so s'io mi dica più dalla prostituta o dall' eretico o dal sacerdote, ribaldi tutti eccitatori di sommosse.

Se narrassi le ruberie, le millanterie, le sozzure di questi arrabbiati, mi si volgerebbe in commedia il lavoro destinato ad onorare un uomo onesto, e ai duri lamenti mescolandosi il riso, mi fallirebbe lo scopo o la lena. La musa giocosa che dettò il Malmantile e la Secchia Rapita, tornando a sorridere all'Italia, dica i ventosi proclami, l'ingresso in Firenze e l'altre pazze cose di questi imbecilli vitupe

1 Botolo, piccolo cane; così chiama Dante gli Aretini. Purg.

revoli. A noi basti onorare i buoni, sprezzare i malvagi.

Comunicavansi alla Valdinievole per continuata propagazione di moto questi romori. L'amore all'antico governo qui come altrove manifestavano, le botteghe assalite, le minacce nella roba e nella persona, le ostentate cupidigie della marmaglia d' impinguarsi nell' altrui. Tutti gli iniqui in tutti i paesi si somigliano. Non ebbe la bellissima fra le province toscane un cardinal Ruffo, un Pronio, un Rodio; i Fra Diavoli, i Mammoni avrebbero abbondato. La material era disposta, mancò chi vi sapesse adoperare le mani: argomento di nullità, non d' animo buono nei furenti che vi si mischiarono.

Tacevano, si celavano i patriotti. Celestino dalla propria casa assalita a furia di popolo, chetamente riparava ad una sua villa distante da Pescia poche miglia. Colà pensava evitare le prime persecuzioni aspettando tempi migliori, ed ecco farglisi sopra i persecutori di Pescia. Invadevano le mura domestiche, strappavanlo alla moglie, alle figlie piangenti, lo cacciavano a gara in un barroccio, legato, scamiciato, nudo la testa. Era di luglio, le campagne riarse, la via infuocata e polverosa: gli sgherri a dileggio paravangli il sole con uno scheletro d'ombrello. Il turpe veicolo circondava una folla crescente e frenetica di rabbia e di vino; e il cantare, l'insultare, le minacce, gli strapazzi erano continui. Un grido più empio che sorgesse, e l'avrebbero manomesso. Le nobili forme, la dignità della persona rifulgevano in tanta abiezione d'abito e di compagnia: l'ira de'ma

nigoldi n'era sgomentata e fiaccata. Vili erano e feroci, ma la viltà soperchiava. Così per via d' onte e d' ingiurie traevanlo a gran vergogna nel paese. Fattolo segno e ludibrio al consorte popolaccio, chiudevanlo a peggior destino nel convento di San Giuseppe doventato carcere ai giusti, spelonca ai ladri. Questi trionfi le stolte plebaglie, mosse occultamente e in palese da peggior plebe di tonsurati e di nobili, per ogni dove a chi tentava il loro bene apparecchiavano.

Là, oltre agli amici di Pescia, trovava un Carlo Sismondi giovine allora e meditante quella sua Storia delle Italiane Repubbliche, che più tardi dovea farci vergognare del lungo sonno che abbiamo dormito sulle nostre glorie. Ristringevansi nella solitudine e nella necessaria comunione di vita i legami dell'antica amicizia; la simiglianza dell' animo se non dell' ingegno, la fede a uno stesso principio, di mutui conforti addolcivano il carcere onorato. Ogni comunicazione col di fuori intercetta, frugate le vesti, i letti, i cibi, stavano là chiusi dal mondo più mesi, aspettando, dubitando, sperando. Una mattina il doloroso abituro suonava di grida lietissime. Entravano i custodi, vedevano i detenuti festeggiarsi, abbracciarsi, abbandonarsi ad una gioia quasi fanciullesca, tanto era súbita e viva. Maravigliavano; e sul chiederne il perchè udivano i miracoli del San Bernardo, e i miracoli di Marengo. La luce di Buonaparte, cui non ostarono i mari e l'alpi e l'armi collegate dei re, penetrava, allegrava quelle mura vigilate.

Restituite le cose francesi di qua dall' Alpi, non cessava il Consolo finchè non ebbe recata alle sue mani

l'Italia tutta. Subivano intanto i partiti una vicenda maravigliosa. Chi fu oppresso trionfò, gli oppressori caddero svergognati, annullati. Ma l'aveano a fare con tali che all' infamia l' onore, all' utile proprio la gloria, alle facili vendette un generoso perdono anteponevano. Poterono salvi e sicuri vivere all' obbrobrio che s' aveano meritato; tanto sopra gli schiavi s’elevå per liberi sensi questa misteriosa sembianza d'Iddio!

Beato chi sa durare contro la sventura ; più beato chi nella prosperità si contiene! Vedrai l'uomo sostenere meglio l'avversa che la benigna fortuna; contaminare nella gioia la dignità che gli avea spirata il dolore. Che se v'ha taluno che la sciagura non prostri, nè superbisca perchè gli eventi gli si volgano favorevoli, dirò che il cielo ha privilegiato costui di una più che umana virtù.

Questo esperimento nell' una e nell' altra fortuna dava di sè Celestino, quando liberato dal carcere e fatto Preside della provincia, si trovò ad avere la mano nei capelli ai perversi che tanto l'offesero. Conoscevagli il Chiti, e seco loro conosceva i codardi che contro glieli aveano scatenati. Avrebbe potuto d'un cenno conculcarli tutti, ma rammentò il debito dell' ufficio, non l'onta propria: puni questi coll'oblio, quelli col beneficio. Direi i nomi degli uni e degli altri, se essi meritassero pure un' infame celebrità. Ma, insigni e non abietti furfanti se l'abbiano; sopra costoro si aggravi una perpetua dimenticanza.

Come sodisfacesse agli obblighi della nuova carica; come più che la forza adoperasse, risentito com'era, la persuasione e la mansuetudine, dopo le

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