Che andonne franca e lieta al ciel tua suoDi virtù adorna e di costumi onesti, [ra, Tale avvien che pietade in cor mi desti L'acerbo affanno che a ragion t' accora, Che taccio per timor che il canto ancora Materia al lagrimar nuova t' appresti. Ma se volgo il pensier agli alti e bei Suoi pregi, che di luce ora corona Iddio, tutti ella chiede i versi miei. Quinci un doppio desir m'affrena e sprona, Chè, o cruda a te, se parlo, o ingiusta a lei Son, se per me suo nome or non risuona. Per te, Roma, un pastor provvido elegge, E in esso adori il successor di Piero. Miralo, è già nel soglio, e al bel sentiero D'alma religion ci guida e regge, Già i rei disastri del destin corregge, E torna il saggio nell' onor primiero. Io il vidi allor che al grande ufficio e pio Giunse tra il popol folto all' ara innante, E gran parte nel volto avea di Dio. Fissando i lumi in quel divin sembiante Con profetico lume allor diss' io: Questo è per Roma il più felice istante. A RENATO DESCARTES. SONETTO. Almo Renato, che la lingua e'l petto Ripien della verace, ignota altrui Soda filosofia, negli aurci tui Fogli segnasti il buon cammin perfetto, Se lice a me, ch' ognor con l'intelletto A seguir tue grand' orme intesa fui, Dir mia ragion (pria de' giudizj sui), Giacchè non dee dubbiar per tuo precetto: Come insensibil macchina dovrei Ogni bruto appellar, se il vago augello (1), Ch' or piango, adorno fin parve di senno? Ei la mia voce intese, il guardo, il cenno: Ah se'l vedevi! io quasi il giurerei, In mente ti ponea pensier novello. SI LAGNA D'AMORE. SONETTO. Oimè infelice! che più temo o spero? Già la condanna di mia trista sorte Ha di sua man segnata Amore: a morte Tratta mi vuol dal mio duol aspro e fero, Per far più crudo il mio morir l'altero, Dei passati piacer m' apre le porte, E me gli addita, e 'l suon di mie ritarte Fammi udire, onde il cor fu prigioniero. Ah voi più fidi, ma infelici amanti, Spettatori accorrete al mio periglio, A ravvisare un ben cangiato in pianti, E finchè regna in voi ragion, consiglie, Non seguite un piacer di brevi istanti, Chè degl' inganni e della morte è figlio. ALLA RELIGIONE. SONETTO. Santa Religion, dentro il mio core Avrai tempio ed altare, incensi e voti; Vittime a un tempo istesso e sacerdoti Gli affetti miei saranno e il mio dolore. Tuil rogo accendi del tuo santo ardore, Tu l' ancora nel gir ne' mari ignoti De la Fede mi dona, onde i rimoti Perigli sfugga del funesto errore. Fa che il mio spirto in te si rassicure; De' miei desir la vittima più cara T'offro con alma forte e voglie pure. Tureggi il braccio al colpo, e tu prepara La palma al mio trionfo, indi la scure Appesa resti in sacro voto all' ara. AMOR DIVINO. SONETTO. Scese dal ciel su bianca nuvoletta Il vidi, e da invisibile saetta Tu avesti cuna in ciel; Religione Ti nutre e l'alme belle in terra bei, Tu servi loro alla virtù di sprone. RISPOSTA AD UNA DELLE MOLTE SATIRE CHE FURONO FATTE IN OCCASIONE DELL' INCORONAZIONE DI CORILLA. SONETTO. Folle desio d'ambizion fallace E come allumar suole accesa face Io posi il piè nell' arcadi foreste Mi arrise il fato e ricolmò di onori, E furon del mio cor le voglie oneste Di meritar, non d' usurpar gli allori. A SALOMONE FIORENTINO. SONETTO. Fu propizia la sorte al desir mio, Che pur mi diè di rimirarti alfine, E ne' tuoi carmi ravvisar che un Dio Grazie t' ispira ignote e pellegrine. Dotto è il tuo stile e limpido qual rio Che fa specchio alle rose porporine, Qualor sul fresco margine natio Aprono il seno all' aure mattutine. NEL mio solingo tetto, ove non mai A schietta gioja aperto è il varco, io spesso Col mio rigido fato mi lagnai Che nascer diemmi di femmineo sesso: Sesso cui l'uom tiranno in doglie e guai, O l'ami, o l'odii, tener gode oppresso, E più che intende al nostro mal, più assai Trionfar pensa, ed esaltar sè stesso. Tu, Corilla immortal, tu in Campidoglio Con valor nuovo a mille etadi occulto Degli uomini arrossir festi l'orgoglio. Or a' trionfi tuoi plaudendo esulto, Del mio fero destin più non mi doglio, E a lui perdono ogni passato insulto. mn A. C. PICCOLOMINI PIETRA DEL VASTOGIRARDI, DA SIENA. (1780.) FRAMMENTI. LA MODERAZIONe ne' desiderj, base d'ogni UMANA FELICITA. D'UOPO di poco ha l'uomo, e fra suoi Contar la debolezza indarno crede: (1) Salomone era Ebreo. Se libero esser vuoi da questa pena, Se le tue forze, o figlio, accrescer vuoi, L'impeto ognor delle tue voglie affrena, Diminuisci i desiderj tuoi : Senza ragione debole si chiama Chi puote ancor di più di quel che brama. Vedi quali confini abbia al tuo stato Prescritto il cielo, e 'l gran decreto adora: Per quanto angusti sian, sempre è beato Chi ne' confini suoi vive e dimora; Ma misero, inquieto ognora suole Esser colui che oltrepassar gli vuole. Colui che in mezzo a' suoi desiri insani Quel che impossibil è possibil finge; Ma mentre dal suo fin poco lontani Si figura i suoi voti, un' ombra stringe, Colui che oblia se stesso, o che si crea In mente di se stesso un'altra idea. L'esser privo di un ben sol è molesto A chi crede quel bene a se dovuto; Il desir non si sveglia, o langue presto, Se dalla speme in noi non è pasciuto : La brama d'esser re nel rozzo ovile Non turba i sonni al pastorello umile. Lungi dunque l'orgoglio, e degli affanni Non sosterrai l'orribile sembianza, Non perderai miseramente gli anni, Fra la tema diviso e la speranza, Ad agitarti e a formar voti intento Che il ciel non ode e che disperde il vento. Qualor l'orgoglio i tuoi pensier non muova, Volti saranno ognora i tuoi pensieri Pur se vuoi confrontarti a chi propensa PRINCIPJ DI CONDOTTA NEL MONDO. Ma se la patria tua trovarti in petto Sensi di gratitudine desia, So che la frode al ver sempre rubella Dell' artifizio in vece ei pone in uso Con chi nascendo in uno stato oscuro Pende da cerni tuoi, serba un contegno Ed un impero libero e sicuro, Ma che non abbia d'alterezza un segno. Dall' orgoglio il valor sempre è diviso: Chi grande ha l'alma ha mansueto il viso. Un' aria disdegnosa ed insolente Che l' uom disprezza in umile fortuna Degna è di un alma che si accorge e seate Che via non ha d'impor se non quest'una, D'un' alma vil che in servitude avvezza Non crede comandar se non disprezzz. Ma tu fin dove il tuo poter si estenda Spandi d'intorno i doni e i benefici; Chi più lieto di te, quando tu renda Il numero minor degl' infelici? Più solido piacere il cor non trova, Ma comprender nol può chi non lo prova. Ne creder già che tal piacer turbato Resti dal rimirar che un cor talora Al suo benefattor si mostra ingrato : Premio a se stessa è la virtude ognora, E come un van desio mai non la muove, Di se si appaga e nulla cerca altrove. (no, L'uom di saper, d'aurea dottrina ador- Guarda però che nel tuo petto accolta Se sia talor che in qualche dubbio even Dagli altri astretto a favellar ti miri, L'altrui malizia o il giovanile ardore, Sollecito dal fallo il cor si sciolga, Ma se varcar di questo mar nemico Ma pria che scelga lungo tempo aspetta, E molto teco stesso ti consiglia, Che l'amicizia candida e perfetta Del tempo e di ragion dev' esser figlia : Una scelta sollecita di raro Divisa andò da un pentimento amaro. N. B. Questi saggi sono tolti dall' operetta intitolata: Avvertimenti a mio figlio. IL RITRATTO CANZONE. La mia dipinta imagine Chi al sacro umor Castalio Sovente i labbri appressa, No, che ad altrui non volgesi Per eternar se stessa. Le Muse in sen le destano Inusitati ardori, Le offre i pennelli Apolline, La Gloria i suoi colori. Del tempo all' urto cedono L'opre famose e belle D' ogni più ardito e celebre Emulator d' Apelle. Ma dell' alato Veglio Nulla temendo i danni, Vanno i bei versi intrepidi A contrastar cogli anni. Ne fanno ai tardi secoli Solo del volto fede; Ma viva a un tempo esprimono Come baleno rapidi Di chiara stirpe e nobile Appena appresi a sciogliere Che il labbro altrui distinsemi Indi cogli anni accrebbesi Alta la fronte, e tumido E allora fu che vidimi A gara offerti i cori Ma che giovommi (ahi misera!) In mezzo al fasto, o Fillide Tutto versato aveagli Il chiuso umor che il cerebro Nelle sue celle aduna, Sciolto in vapori alzavasi Ai cerchj della luna. E chi può mai descrivere Quali ando allor tentando Follie più strane e barbare Delle follie d' Orlando ? Io fra le angoscie e i palpiti, Che notti, o Dio! che torbidi In tal procella orribile Mi sostentò finora Il mio vivace spirito, E mi sostiene ancora. Già pria due fresche giovani Cedendo alla lor sorte In questo istesso talamo Trovata avean la morte. Io di costanza indomita Col cuore ognor armato, Non sol m' opposi al rigido Empio rigor del fato; Ma disprezzando intrepida Gli affanni ed i perigli, Scherzar d'intorno vidimi Stuol d'innocenti figli. Nel sen frattanto, o Fillide, Onde ripiena l'anima Come la luna graviti Per sollevar lo spirito M'assisi sulle floride Ed è la stessa cetera Talor con questa involomi Ma non pensar, mia Fillide, La compagnia non spiacemi Di pochi e fidi amici; So che con questi traggonsi I lieti di felici. Lungi però chi, turgido Sol dell' avito onore, Degno della sua origine Non può vantare il core. Cara Amistà, che l'idolo Affetto solo ed unico Col core a così solidi |