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Talivi ancor s'improntano
Fortissimi argomenti.
L'alto progresso, l'indole,
Il dritto delle genti,
Di quel saper le indagini
Che ad esso non falli. -
Oh, de' tuoi figli, Italia,
Vedi la mesta cura;
Vedi qual lutto cingere
Oggi ti dié sventura;
Guarda di qual miseria
Compagno è il tuo splendor!
Ei t'ha percossa l'Arbitro
D'ogni contento e pena!
Quasi a punir l'orgoglio
Cui madre non railrena
Sovra la tua famiglia
Stese il divin rigor.

Ma la pietà che esercita
Il massimo governo
Misto all' amaro ha il farmaco
D'un guardo sempiterno,
E l'appassito e nobile
Lauro raccolse a sè.

Là rinverdisce, e l'aere

Del paradiso innonda
Con i profumi angelici
De l'amorosa fronda
Che viva spira un cantico
D'immacolata fè. -

Or, chi può dire, o Patria,
Quale saria maggiore,
Se la cagion del gaudio
O quella del dolore?

Se il mortal raggio o il fulgere Di tanto lume in ciel?

Chiusa è una vita d'ardua Pazienza e breve pace: Le veglie han posa e i palpiti, L'austero genio tace; Fini il sudato studio, L'infaticato zel.

Forse che acerbe lagrime Ne chiede fredda polve?

Essa in cessar di vivere
Seco gli affanni solve:
L'irreparabil perdita
Tutta è nel nostro cor.
Ove in seren perpetuo
Reggesse uman desio
Fora il beato Spirito

Più allegro in grembo a Dio,
Poi che l'estremo anelito
Lo fè più grande ancor.

Presso al modesto feretro
Perfin l'Invidia geme.
Da quelle mute ceneri
Rimproveri non teme,

E anch'essa - anch'essa venera
L'illustre che passò.

Già il colto mondo affrettasi
A rinnovargli omaggio:
Move un compianto : libero
Premio concesso al saggio
Che l'intelletto assiduo
Al social ben sacrò.-

Tu, cui largi la provvida
Natura un sol si vago,
Terra di pie memorie,
Di mille glorie imago,
Vinci il materno gemito,
Dona conforto al duol!

Bacia quel capo esanime
D'onesta fama ornato;
T'appresta al santo giubilo
Di vendicargli il fato,
Ergendo laudi e tumulo
In questo caro suol.

LA SPOSA.

CANZONE.

Quando la notte è tacita,
Quando la luna è in ciel,
Mi adorno in veste candida,
M'avvolgo in bianco vel.

D'aurei monili cingere
Soglio le braccia e il sen,
E in fronte accolgo un giubilo
Di sempiterno ben.

Prendo con me quel mistico Libro ch'ei mi donò, Nelle cui sacre pagine Amor mi si svelo.

Ah lo rammento! Osavano I nostri sguardi un di

Parlar di ciò ch' esprimere
Il labbro non ardi.

Ma poscia, tolta al fascino
Che mi rapiva il cor,
Io gli potea sorridere
Con fredda calma ancor.

Il chiuso duol dell' anima

In volto a lui salì;
Parve severa effigie
Che in marmo si scolpi.

E il bel volume porsemi,
Disse: Vuoi tu prègar?
Iddio t'insegni, o Vergine,
Come si debba amar.-

Su l'alme carte fervido
Voto giurò di fe;
Seco giurai ripeterlo
De' santi altari al piè.

Di vaghi raggi splendido
Il giorno alfin brillo,
Che liete danze, e cantici,
E un rito ci annunzio.

Pur non sembrommi lucido
Il benedetto anel;

Il tempio agli occhi aprivasi,
Quasi un immenso avel.

Là tra gli accesi cerei
Ei nuziali onor,

Io non scorgea che tenebre,
Che addobbi di squallor.

In strana guisa pallido

Lo sposo mio si fa;

Soffri? gli chiedo; ei mutolo

La cara man mi dà.

Tu tremi ?-Aita!- Un farmaco

Prestagli, uman saper!

Lo sorreggete!

Oh spasimo

D'atro destin forier!

I dolci canti tacquero;

Udii lugubre suon;

Udii le preci flebili
Dell' ultimo perdon.

A notte l'astro argenteo

Il bacio verginal
Mando a la salma gelida
Sul drappo funeral.

Di quella sera orribile
Il tempo è assai lontan;
Forse già corre un secolo
Ch'io lo misuro invan.

Lassa! - ciascuno gemere Ascolto intorno a me: Lassa! niun refrigerio Dato sperar più l'è.

Non mai potè una lagrima
Il ciglio suo nudrir;

Mai più quel petto immobile
Si sollevò a un sospir.

Qual nuvoletta al turbine
Sparve la sua beltà;
Com' onda amara e livida
Per lei passa l'età.

Ma, perchè i flutti fremono,
Chi viene a giudicar,
Se nei profondi baratri
Torbido è l'ampio mar?
L'alma ha tal cupa angoscia
Ed ha sorriso tal,
Che male si rivelano
Al guardo del mortal.
Nol sappia alcuno ! Sorgere
Entro la mente - qui -
Vidi fra il bujo un vivido
Lume- nè poi morì.

Sol nel pensier dei creduli Tregua non ha il dolor Ch'arde e consuma in polvere De la mia vita il fior.

No non è ver che il misero Deserta mi lasciò : Egli non fu si barbaro, Ei non m'abbandonò.

Teme nel mondo i ruvidi Spini dell' aspro suol; Fugge il possente incendio De l'avvampante sol.

Allor che in gran silenzio Splende la luna in ciel, Spoglio le vesti funebri, Lascio il mio negro vel;

Contento ei riede il fervido Voto a prestar di fe,

E seco io vo a ripeterlo
De' santi altari al piè.

C. DE LUNA FOLLIERO,

DA NAPOLI.

PER LA MIA GIULIETTA IN CULLA.

CANTILENA.

ALTA è la notte: in questo muto loc Solo dell' aura il querelar si sente, E seco va malinconioso e roco La valle armonizzando il rio cadente.

Dagli archi immensi del nubilo cielo Mezzo velata la bicorne luna, Con gl'infecondi suoi raggi di gelo Tinge in mesto pallor la terra bruna. [rai,

Chiudi, deh, chiudi in dolce oblio que' Che nel mio duol beata ancor mi fanno, Chi sa se un dì, bell' amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto affanno ! D'allor che il caro tuo vagito intesi, E ancor languente il primo mio tesoro Mi strinsi in te, quanto a soffrire appresi, Tanto viscere mie d'allor t'adoro.

Tu riposavi placido - giacente Fra le materne mie braccia amorose, E un lieve riso angelico, innocente D'Igea sul volto ti spargea le rose. [rai, Chiudi, deh, chiudi in dolce oblio que' Che nel mio duol beata ancor mi fanno; Chi sa se un dì, bell' amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto affanno!

Talor se penso e a' miei martiri è freno Si dolce idea!) che per me vivi e spiri, Quasi un' altr'alma io ti trasfonda in seno, Ricreo fra le tue labbra i miei sospiri. E'l bruno, olente, inanellato crine, I vezzosetti tuoi lumi vivaci, Le vaghe membra roseo - alabastrine Copro delira di carezze e baci.

[rai,

Chiudi, deh, chiudi in dolce oblio que' Che nel mio duol beata ancor mi fanno; Chi sa se un di, bell'amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto allanno!

Ebbra di gioja in quel divino istante, In te rapir, vivere in te mi sento; Tu cara parte di quest' alma amante Rivesti di delizie ogni tormento.

Tu... ma che vuoi ? le tenerelle braccia Mi allunghi al collo vezzeggiando, e ridi? Deh, sorgi e vieni, e la tua madre abbracE le dolcezze sue seeo dividi!

[cia,

Non chieder, no, fissa ne' miei que' rai, Che nel mio duol beata ancor mi fanno ; Chi sa se un di, bell'amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto affanno!

C. FRANCESCHI FERRUCCI,

DA NARNI.

INNO AL SOLE.

Оn quanto il ciel di bel sereno adorno Da balzo oriental brilla rosato!

Fuggite, o stelle: il sol ne rende il giorno.
Già il candido colombo innamorato
A disfogar comincia il suo dolore;
Già i fiori e l'erbe risveglia nel prato
L'auretta annunziatrice dell' albore;
Apre natura al nuovo lume un riso;
Tutto prende nel suol forma e colore.

Salve, o grande astro, che fiammeggi

assiso

Sovra igneo soglio nell'eterno vôto,
E se' raggio fra noi del paradiso!
Tumai posto non muti, e stando immoto
Rege degli astri, liberal dispensi
Ai minori pianeti e luce e moto.

Per te rotando negli spazi immensi
Dolce risplende la giovial facella;
Con raggi in sangue orribilmente accensi
Marte rosseggia; ma serena e bella
Fai che baleni di luce tranquilla,
Quasi giglio nel prato, Espero stella.

E a gente che secura si tranquilla Entro il suo grembo, ed ama e sente e spira, La fiamma tua, siccome a noi, sfavilla.

Perchè la man ch' una temprata lira Rende l'ampio universo, e come vuole, Della terra e del cielo il freno aggira,

Negli astri, al par che in questa opaca Sparse il seme di belle creature, [mole, Cui fieron gli occhi i dolci rai del sole;

Ivi d'acque, di frondi, e di verdure
Sono liete le terre, ivi la gente
Per erme selve o per montane alture

Al tao lume s'allegra, o vita e mente
Di mille mondi, e dispiega un desio
Al primo amor, siccome foco ardente.

Perocchè l'alto Sire in te scolpio Del suo poter la viva imago: Ah! pera Chi te gustando non si volge a Dio.

Quanti al dolce tepor di primavera Spuntan fioretti, quanti Espero accende Raggianti fochi allor che vien la sera,

Per tanti rivi da te si distende Luce, che ad alto meditar consiglia Qual di natura le bellezze intende. [glia O Amor, che ascoso in duo tranquille ciL'aline saetti di punte mortali, E spiri al cor talento e maraviglia,

Perchè se' tanto grande, e tanto vali Quando s' infiora ogni terrestre riva? Ed in qual foco accendi allor gli strali? Nella fiamma del sol, poiche più viva La tua face risplende al nuovo ardore, Che l'universo rintegrando avviva.

Allor penetra e intenerisce il core

Languir secreto, allor si sveglia in petto Tutta soave la virtù d'amore.

O diva luce, che mortal concetto Tanto trascendi, alle create cose Tu di vita e d'amor porgi intelletto.

Tu di candidi gigli e fresche rose L'aurora inostri, allor che uscendo fuori Del suo Titon dalle braccia amorose,

Spiega, sorgendo in ciel, mille colori All'iride sembianti, e appar levata Entro una vaga nuvola di fiori.

Tu sovra ogni altra bellezza creata Ne allegri, e acceso d'un candor benigno La terra fai del tuo volto beata.

Ma se corruschi tinto di sanguigno, Oh tristi colti, oh misere contrade! Non scendon' ivi dall'aere maligno

L'erbette a rinfrescar piogge e rugiade, Ma siria vampa, o grandine nemica Guasta per tutto armenti, arbori e biade. Onde lamenta la vana fatica Il villanel, che lappole recide, Ove credeva di raccor la spica.

Ivi la Parca in sul fiorir precide Le tenerelle vite; in bruna vesta La vedovetta al tumulo s'asside

Del suo diletto; quell' urna funesta
Bacia tutta tremante, e ne' sospiri
L'antico affetto a rimembrar s'arresta.

Niobe, tu sai come infocato spiri
Il sol ferite e morti, allor che ardenti
Saetta i raggi dai superni giri.

[lenti

Ahi! con qual cor, con quali occhi doCascar vedesti in terra ad uno ad uno « I sette e sette tuoi figliuoli spenti!

Lo pianeta maggior sopra ciascuno
Gía folgorando venenoso telo;
Questi languía fatto di sangue bruno,
L'altro piagato le pupille al cielo,
Quasi a chieder pietà, fioco volgea;
Un delle man facendo agli occhi velo

Flebilemente in sul morir dicea: lo manco; o madre mia, chè non m' ajuti? Quel presso al corpo del fratel giacea.

Misera madre! innanzi ai piè caduti Vedi i tuoi nati, li contempli, e a tanto Spettacol diro disperata ammuti.

Poi ti riscoti, e celi entro del manto Un pargoletto che solo ti avanza: Lo stringi al petto, e si gridi nel pianto :

Questi è del viver mio sola speranza : Salvami, o Febo, salva questo almeno ; Gran tormento puni la mia baldanza.

Abbi di lui pietà; me, me nel seno

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INNO ALLA MORTE.

O voi che senza speme ognor nel piano Muovete i passi in questa valle oscura, A me intorno venite : io per voi canto.

E canterò di lei, che d'ogni cura L'anima solve quando la francheggia Il sentirsi di colpe intatta e pura.

Perocchè Morte dall' umana greggia Lei ritraendo le dischiude il varco Dell'alto Olimpo alla stellata reggia.

Si che disciolta del terreno incarco Vola per l'aere come dardo suole, Che si dilegua rapido dall'arco.

E passati quei cieli, ove carole Muovon le stelle, e in cui suona l'alterna Armonia delle sfere entra nel sole.

In esso l'occhio desioso interna, Mira quel mar di luce, e di colori, Vede svelata ogni bellezza eterna.

E accolta poscia in tra i perpetui fiori Di quel giardin, che tutto ride intorno Al dolce canto de' beati cori,

Gioisce, e chiama benedetto il giorno,

Che dal suol la ritrasse, e benedetta [no.
Morte, onde ha fatto in grembo a Dio ritor-
E certo solo alla turba dispetta,
Che nulla intende, altissima paura
Pure al nome di Morte in cor s'alletta.

Ma quei che dietro al ver drizzò sua cura Non si turba per lei, mente non muta, Perocchè sa che questa di natura

Le leggi eterne eternamente ajuta, Sa, che le cose in che stende sua possa Non distrugge quaggiù, sol le trasmuta.

Onde se giacque estinto in poca fossa
Robusto tauro, onor del bianco armento,
Esce poi da quel sangue e da quelle ossa
Un nuvol d'api, ch' or con muover lento
Desta lene susurro, or nelle sponde
D'un fiumicel simile a puro argento

Liba l'appio e la persa, o sulle fronde
Nel rio cadute mentre il vento tace
Sta posato nuotando in mezzo all' onde.
E dalla terra, ove sepolta giace
La spoglia di pudica verginella,
Tu vedi l'erba germogliar vivace,

Crescer vi miri alla stagion novella
Rose, gigli, viole, ed ogni fiore
Di che Zefiro lieve i campi abbella.

Onde il garzon, che nel soave amore
Di quella onesta si tenea beato,
Meraviglia a' fior nuovi, al grato odore,
E per un dolce error del volto amato
Ivi crede mirar le fresche rose,
E lo spiro sentir del molle fiato.

O sacra Morte, poichè Dio ti pose
A tramutar quant'è sotto la luna,
Tu volvi a posta tua le umane cose!

Cedon d'innanzi a te tempo e fortuna, Quel che nel mondo a meraviglia invita Tutto nel regno tuo ratto s'aduna.

E pria che fosse fuor del nulla uscita
Cotesta opaca mole ad altre genti
Tu furasti le dolci aure di vita.

Che allor del cielo pe' campi lucenti
Rotavano altri soli, ed altre stelle
Più che le nostre di bel fuoco ardenti.

Ivi eran terre più felici, e in quelle
Senza il crudo mutar di state o verno,
Sempre fiori mettean l'erbe novelle.

Ne l'uom dell' uomo vi fea mal governo, Non v'eran tristi al bene oprare avversi, Chè pace vi rideva, e amore eterno.

Pur tutti, o Morte, in caos conversi Da te furon que' mondi, altri col fuoco Consunti, ed altri nell'acqua sommersi.

Onde se alcun poggiar potesse al loco

Ov'eran tante terre in fra gl'immensi
Spazj dell'aere sol vi udrebbe il roco

Mugghiar dell'onde, sol vedria condensi
Globi di nubi, e masse di faville,
Monti di fiamme orribilmente accensi.

Indi poi nacquer mille soli e mille Stelle che mentre compion lor viaggio Fanno meravigliar nostre pupille.

Risursero altre terre, e al nuovo raggio Stupir del sole, si diffuse il mare, Destò i fiori la molle aura di maggio.

Rari volaron gli augelletti, e rare Pe' monti ignoti gian le belve errando, Ed i pesci guizzar tra l'acque chiare.

Poscia le piante e gli animali amando Come l'istinto natural gl' invita Multiplicarsi, e in ordine ammirando Tutto empirono il mondo, ed ebber vita Ancor ne' lidi più dal sol remoti, Fin nella terra più da noi partita.

Ma pur non fia ch' eternamente roti Ogni pianeta al maggiore astro intorno, Ch'anco i rinati mondi a te devoti

Saranno, o Morte, e in quel tremendo giorno

Quanto per mente, o per occhio si mira, Al gran vuoto onde uscì farà ritorno.

Ahi! già nell'intelletto mi si gira Tutto l'orror della ruina estrema, Veggo quel giorno di spavento e d'ira!

Di già parmi sentir che l'aura trema, Treman le terre abbandonate e sole, E ruinando giù dalla suprema

Volta cadon le stelle, e svelto il sole Dall' igneo trono negli abissi piomba, Ed arde e strugge la terrestre mole.

Destati al suon dell' angelica tromba Surgon gli estinti, e paurosi, e lenti Lascian la pace dell'antica tomba.

Poi va ciascuno ove su nubi ardenti Posa l'Eterno, e giudica, e discerne Tutte le colpe delle morte genti.

Onde giù caccia nelle bolgie inferne Gli spirti maledetti, e chiama il santo Coro de' giusti alle dolcezze eterne.

Allor fanno i beati un lieto canto, Ma l'aere assorda quello stuol dannato Con orribili voci, e strida, e pianto.

O pietoso Signor, tu che campato N' hai da ruina, e del primo parente Col tuo sangue lavasti il gran peccato,

Nel di dell' ira tua volgi clemente A me misera il guardo, e da martiri Deh! mi salva del secolo dolente.

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