Talivi ancor s'improntano Ma la pietà che esercita Là rinverdisce, e l'aere Del paradiso innonda Or, chi può dire, o Patria, Se il mortal raggio o il fulgere Di tanto lume in ciel? Chiusa è una vita d'ardua Pazienza e breve pace: Le veglie han posa e i palpiti, L'austero genio tace; Fini il sudato studio, L'infaticato zel. Forse che acerbe lagrime Ne chiede fredda polve? Essa in cessar di vivere Più allegro in grembo a Dio, Presso al modesto feretro E anch'essa - anch'essa venera Già il colto mondo affrettasi Tu, cui largi la provvida Bacia quel capo esanime LA SPOSA. CANZONE. Quando la notte è tacita, D'aurei monili cingere Prendo con me quel mistico Libro ch'ei mi donò, Nelle cui sacre pagine Amor mi si svelo. Ah lo rammento! Osavano I nostri sguardi un di Parlar di ciò ch' esprimere Ma poscia, tolta al fascino Il chiuso duol dell' anima In volto a lui salì; E il bel volume porsemi, Su l'alme carte fervido Di vaghi raggi splendido Pur non sembrommi lucido Il tempio agli occhi aprivasi, Là tra gli accesi cerei Io non scorgea che tenebre, In strana guisa pallido Lo sposo mio si fa; Soffri? gli chiedo; ei mutolo La cara man mi dà. Tu tremi ?-Aita!- Un farmaco Prestagli, uman saper! Lo sorreggete! Oh spasimo D'atro destin forier! I dolci canti tacquero; Udii lugubre suon; Udii le preci flebili A notte l'astro argenteo Il bacio verginal Di quella sera orribile Lassa! - ciascuno gemere Ascolto intorno a me: Lassa! niun refrigerio Dato sperar più l'è. Non mai potè una lagrima Mai più quel petto immobile Qual nuvoletta al turbine Ma, perchè i flutti fremono, Sol nel pensier dei creduli Tregua non ha il dolor Ch'arde e consuma in polvere De la mia vita il fior. No non è ver che il misero Deserta mi lasciò : Egli non fu si barbaro, Ei non m'abbandonò. Teme nel mondo i ruvidi Spini dell' aspro suol; Fugge il possente incendio De l'avvampante sol. Allor che in gran silenzio Splende la luna in ciel, Spoglio le vesti funebri, Lascio il mio negro vel; Contento ei riede il fervido Voto a prestar di fe, E seco io vo a ripeterlo C. DE LUNA FOLLIERO, DA NAPOLI. PER LA MIA GIULIETTA IN CULLA. CANTILENA. ALTA è la notte: in questo muto loc Solo dell' aura il querelar si sente, E seco va malinconioso e roco La valle armonizzando il rio cadente. Dagli archi immensi del nubilo cielo Mezzo velata la bicorne luna, Con gl'infecondi suoi raggi di gelo Tinge in mesto pallor la terra bruna. [rai, Chiudi, deh, chiudi in dolce oblio que' Che nel mio duol beata ancor mi fanno, Chi sa se un dì, bell' amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto affanno ! D'allor che il caro tuo vagito intesi, E ancor languente il primo mio tesoro Mi strinsi in te, quanto a soffrire appresi, Tanto viscere mie d'allor t'adoro. Tu riposavi placido - giacente Fra le materne mie braccia amorose, E un lieve riso angelico, innocente D'Igea sul volto ti spargea le rose. [rai, Chiudi, deh, chiudi in dolce oblio que' Che nel mio duol beata ancor mi fanno; Chi sa se un dì, bell' amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto affanno! Talor se penso e a' miei martiri è freno Si dolce idea!) che per me vivi e spiri, Quasi un' altr'alma io ti trasfonda in seno, Ricreo fra le tue labbra i miei sospiri. E'l bruno, olente, inanellato crine, I vezzosetti tuoi lumi vivaci, Le vaghe membra roseo - alabastrine Copro delira di carezze e baci. [rai, Chiudi, deh, chiudi in dolce oblio que' Che nel mio duol beata ancor mi fanno; Chi sa se un di, bell'amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto allanno! Ebbra di gioja in quel divino istante, In te rapir, vivere in te mi sento; Tu cara parte di quest' alma amante Rivesti di delizie ogni tormento. Tu... ma che vuoi ? le tenerelle braccia Mi allunghi al collo vezzeggiando, e ridi? Deh, sorgi e vieni, e la tua madre abbracE le dolcezze sue seeo dividi! [cia, Non chieder, no, fissa ne' miei que' rai, Che nel mio duol beata ancor mi fanno ; Chi sa se un di, bell'amor mio, saprai Quante cure mi costi e quanto affanno! C. FRANCESCHI FERRUCCI, DA NARNI. INNO AL SOLE. Оn quanto il ciel di bel sereno adorno Da balzo oriental brilla rosato! Fuggite, o stelle: il sol ne rende il giorno. Salve, o grande astro, che fiammeggi assiso Sovra igneo soglio nell'eterno vôto, Per te rotando negli spazi immensi E a gente che secura si tranquilla Entro il suo grembo, ed ama e sente e spira, La fiamma tua, siccome a noi, sfavilla. Perchè la man ch' una temprata lira Rende l'ampio universo, e come vuole, Della terra e del cielo il freno aggira, Negli astri, al par che in questa opaca Sparse il seme di belle creature, [mole, Cui fieron gli occhi i dolci rai del sole; Ivi d'acque, di frondi, e di verdure Al tao lume s'allegra, o vita e mente Perocchè l'alto Sire in te scolpio Del suo poter la viva imago: Ah! pera Chi te gustando non si volge a Dio. Quanti al dolce tepor di primavera Spuntan fioretti, quanti Espero accende Raggianti fochi allor che vien la sera, Per tanti rivi da te si distende Luce, che ad alto meditar consiglia Qual di natura le bellezze intende. [glia O Amor, che ascoso in duo tranquille ciL'aline saetti di punte mortali, E spiri al cor talento e maraviglia, Perchè se' tanto grande, e tanto vali Quando s' infiora ogni terrestre riva? Ed in qual foco accendi allor gli strali? Nella fiamma del sol, poiche più viva La tua face risplende al nuovo ardore, Che l'universo rintegrando avviva. Allor penetra e intenerisce il core Languir secreto, allor si sveglia in petto Tutta soave la virtù d'amore. O diva luce, che mortal concetto Tanto trascendi, alle create cose Tu di vita e d'amor porgi intelletto. Tu di candidi gigli e fresche rose L'aurora inostri, allor che uscendo fuori Del suo Titon dalle braccia amorose, Spiega, sorgendo in ciel, mille colori All'iride sembianti, e appar levata Entro una vaga nuvola di fiori. Tu sovra ogni altra bellezza creata Ne allegri, e acceso d'un candor benigno La terra fai del tuo volto beata. Ma se corruschi tinto di sanguigno, Oh tristi colti, oh misere contrade! Non scendon' ivi dall'aere maligno L'erbette a rinfrescar piogge e rugiade, Ma siria vampa, o grandine nemica Guasta per tutto armenti, arbori e biade. Onde lamenta la vana fatica Il villanel, che lappole recide, Ove credeva di raccor la spica. Ivi la Parca in sul fiorir precide Le tenerelle vite; in bruna vesta La vedovetta al tumulo s'asside Del suo diletto; quell' urna funesta Niobe, tu sai come infocato spiri [lenti Ahi! con qual cor, con quali occhi doCascar vedesti in terra ad uno ad uno « I sette e sette tuoi figliuoli spenti! Lo pianeta maggior sopra ciascuno Flebilemente in sul morir dicea: lo manco; o madre mia, chè non m' ajuti? Quel presso al corpo del fratel giacea. Misera madre! innanzi ai piè caduti Vedi i tuoi nati, li contempli, e a tanto Spettacol diro disperata ammuti. Poi ti riscoti, e celi entro del manto Un pargoletto che solo ti avanza: Lo stringi al petto, e si gridi nel pianto : Questi è del viver mio sola speranza : Salvami, o Febo, salva questo almeno ; Gran tormento puni la mia baldanza. Abbi di lui pietà; me, me nel seno INNO ALLA MORTE. O voi che senza speme ognor nel piano Muovete i passi in questa valle oscura, A me intorno venite : io per voi canto. E canterò di lei, che d'ogni cura L'anima solve quando la francheggia Il sentirsi di colpe intatta e pura. Perocchè Morte dall' umana greggia Lei ritraendo le dischiude il varco Dell'alto Olimpo alla stellata reggia. Si che disciolta del terreno incarco Vola per l'aere come dardo suole, Che si dilegua rapido dall'arco. E passati quei cieli, ove carole Muovon le stelle, e in cui suona l'alterna Armonia delle sfere entra nel sole. In esso l'occhio desioso interna, Mira quel mar di luce, e di colori, Vede svelata ogni bellezza eterna. E accolta poscia in tra i perpetui fiori Di quel giardin, che tutto ride intorno Al dolce canto de' beati cori, Gioisce, e chiama benedetto il giorno, Che dal suol la ritrasse, e benedetta [no. Ma quei che dietro al ver drizzò sua cura Non si turba per lei, mente non muta, Perocchè sa che questa di natura Le leggi eterne eternamente ajuta, Sa, che le cose in che stende sua possa Non distrugge quaggiù, sol le trasmuta. Onde se giacque estinto in poca fossa Liba l'appio e la persa, o sulle fronde Crescer vi miri alla stagion novella Onde il garzon, che nel soave amore O sacra Morte, poichè Dio ti pose Cedon d'innanzi a te tempo e fortuna, Quel che nel mondo a meraviglia invita Tutto nel regno tuo ratto s'aduna. E pria che fosse fuor del nulla uscita Che allor del cielo pe' campi lucenti Ivi eran terre più felici, e in quelle Ne l'uom dell' uomo vi fea mal governo, Non v'eran tristi al bene oprare avversi, Chè pace vi rideva, e amore eterno. Pur tutti, o Morte, in caos conversi Da te furon que' mondi, altri col fuoco Consunti, ed altri nell'acqua sommersi. Onde se alcun poggiar potesse al loco Ov'eran tante terre in fra gl'immensi Mugghiar dell'onde, sol vedria condensi Indi poi nacquer mille soli e mille Stelle che mentre compion lor viaggio Fanno meravigliar nostre pupille. Risursero altre terre, e al nuovo raggio Stupir del sole, si diffuse il mare, Destò i fiori la molle aura di maggio. Rari volaron gli augelletti, e rare Pe' monti ignoti gian le belve errando, Ed i pesci guizzar tra l'acque chiare. Poscia le piante e gli animali amando Come l'istinto natural gl' invita Multiplicarsi, e in ordine ammirando Tutto empirono il mondo, ed ebber vita Ancor ne' lidi più dal sol remoti, Fin nella terra più da noi partita. Ma pur non fia ch' eternamente roti Ogni pianeta al maggiore astro intorno, Ch'anco i rinati mondi a te devoti Saranno, o Morte, e in quel tremendo giorno Quanto per mente, o per occhio si mira, Al gran vuoto onde uscì farà ritorno. Ahi! già nell'intelletto mi si gira Tutto l'orror della ruina estrema, Veggo quel giorno di spavento e d'ira! Di già parmi sentir che l'aura trema, Treman le terre abbandonate e sole, E ruinando giù dalla suprema Volta cadon le stelle, e svelto il sole Dall' igneo trono negli abissi piomba, Ed arde e strugge la terrestre mole. Destati al suon dell' angelica tromba Surgon gli estinti, e paurosi, e lenti Lascian la pace dell'antica tomba. Poi va ciascuno ove su nubi ardenti Posa l'Eterno, e giudica, e discerne Tutte le colpe delle morte genti. Onde giù caccia nelle bolgie inferne Gli spirti maledetti, e chiama il santo Coro de' giusti alle dolcezze eterne. Allor fanno i beati un lieto canto, Ma l'aere assorda quello stuol dannato Con orribili voci, e strida, e pianto. O pietoso Signor, tu che campato N' hai da ruina, e del primo parente Col tuo sangue lavasti il gran peccato, Nel di dell' ira tua volgi clemente A me misera il guardo, e da martiri Deh! mi salva del secolo dolente. |