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Superbitene or voi! L'opre romane
Potranno invidiar l'opre novelle
Là sotto i dardi del maggior pianeta ;
Un'alta morte che di sè asseta
Pochi abbracciar sul campo,
E l'ultimo desio

Mandaro al suol natio,

L'ultimo sguardo fu d'amore un lampo.
Ecco già ritornata ond' ella uscio
La schiera eletta e breve:
Ecco di trombe armonioso squillo
Come saluti il nobile vessillo
Per cui la servitude onta riceve,
Chè pari al sol di mille raggi adorno
Spande mille aure nunziatrici intorno.
Levati, o veneranda

Carità cittadina,

Che si be' nomi affidi a' bronzi, a' marmi,
Pon giù de' gigli tuoi l'aurea ghirlanda,
Chè una torbida nube pellegrina
Par dell' antica luce ti disarmi;
Levati, o veneranda, e grida armi, armi!
Sciogli la civil briga

Che le tue forze annoda,
Toda Albione e t'oda

Tutta la terra che il Danubio riga :
Cosi spanda le vele e giunga a proda
Questa Europa sospesa.

Aura benigna a' deboli ed a' forti
I suoi pensosi popoli conforti,
E al diritto il poter faccia difesa,

Chè un incendio di guerra, a pochi amara,
Certo i vegnenti secoli rischiara.

E tu, Canzon, librata in mezzo al cielo, Prega che un di ricco di sante leggi Quest'alba limpidissima pareggi.

ELVIRA GIAMPIERI,

DA FIRENZE.

ALL' AURA.

ANACREONTICA.

VANNE, gentile auretta, Ove il mio cuor t'invia, Caro sospiro aspetta, Recalo tosto a me.

Odor di fresca rosa

Avrà quel dolce fiato,
Sul labbro mio lo posa,
E vita avrò da te;

Vita che sol mi alletta, Finchè il sospiro amato, Gentil, pietosa auretta, Sull' ali tue verrà.

Ma se tu riedi un giorno Priva di quel sospiro, L'ora del tuo ritorno L'ultima mia sarà.

L. B. MANCINI OLIVA,

DA NAPOLI.

LA VIOLETTA.

ODE.

SOVRA un ruscel che limpido
Gemea tra sponda e sponda,
All' ombra d'un bel salice
Che si spandea sull'onda
E trar parea delizia
Da quel vivace umor,
lo mi posava, e l'alito
D'auretta rugiadosa
Libava il casto anemone
La verginella rosa
E la viola mammola
Bella nel suo pudor.

La tortorella semplice,
L'amabile usignuolo,
All' aleggiar de' zeffiri
Tutti traeano a volo
Dove tra foglie ascondesi
Quel pallidetto fior.

Perchè, perchè non correre
Sul vago fioraliso,
Sul fior gradito a Cipria,
Sul tenero narciso,
Lievi augelletti? Io tacita
Così dicea nel cor:
Riposta in verde calice
Sul verecondo stelo,
Ella non anco i petali
Svolse ridenti al cielo;
Il sole ancor non fecela
Specchio del suo splendor.

O violetta ingenua, Quel tuo pallor, se m'odi, Che ti fa mesta e languida, Tragge il favor che godi : Anch'io per te nell'anima Sento il più caro amor.

Vieni te bramo; è simile

Troppo al mio cor tua spoglia,
Vieni, di schietta lagrima
Ti aspergerò la foglia:
Ne splenderai men rorida
Che al mattutino albor.

Ma no... Già presso a svellerla Ristetti, e si dicea :

O vaga, io troppo amandoti,
Del tuo morir son rea;
Non ti corrò; l'imagine
Serba del mio dolor!

LA PREGHIERA.

ODE.

Tace il Vesevo, ed al notturno cielo Fa speglio il mar di lucide faville, Scote la notte dal ceruleo velo

Vivide stille.

Quasi alato un pensier che m' assecura Scorgemi all'alta region celeste, Di là nell' alma una improvvisa e pura Gioia m'investe.

Qui del vago usignuol misto alle note, Accolga quell'auretta che sospira L'umile accordo in cui tremar sol puote

Questa mia lira.

Di battaglia il frastuono, il gran muggito Del tuon che rompe la scillea tempesta, E la insultante sovra l'uom tradito

Gloria funesta;

Lungi da lei, lungi da me. - Tu sola Sorgi al mio labbro, flebile Preghiera, Sorgi dal cor, cui dolce idea consola Di calma vera.

Tranquilla omai, nè più qual pria smarCon un sospir te, cara diva, invio [rita, Ne' campi eterni, onde provien la vita, Che riede a Dio.

Ed ecco in me dal placido zeffiro Scende armonia d'inusitato incanto : Scerra nel cor d'affanno e di martiro, Tergo il mio pianto!

Fra l'egra tenebria che mi circonda Non più conquisa dal crudel tormento, lo di nocchier ch'è presso alla sua sponda Terrò l'accento.

E qual chi giunse a gloriosa meta, [ra, Se or te, gran Dio, l'umil mio labbro implo

Sol per lodarti rivedrò più lieta Brillar l'aurora.

ALL' ILLUSTRE ESULE

TERENZIO MAMIANI DELLA ROVERE

IN PARIGI.

I.

Tu ancor se' dunque, o MAMIANI, il segno Dell'ingiusta sventura alle ritorte? Tu segui ancor sotto un estranio regno Di Campanella e d' Alighier la sorte? Tu che ritraggi dal primier l'ingegno, Dall' altro il divin foco e l'alma forte! O Italia, te di onor colman tuoi figli, E tu, ingrata, lor dai ceppi ed esigli? II.

Ma no voce non è d'Italia mia Che i suoi figliuoli dal bel sen diparte; Voce ell' è che sovr' essa incrudelia, Al cui cenno mirò sue membra sparte! Deh, quando a noi volgi il pensier che oblia Sol per brev' ora le sudate carte, Di' quella voce sol me lungi brama, Ma la voce d' Italia a sè mi chiama.

G. MOLINO COLOMBANI,

DA TORINO.

CANZONE

DETTATA NEL 1842,

Celebrandosi in Torino le nozze del principe ereditario di Savoja.

SOVRA l'estrema Dera

Splendi del tuo bel raggio, italo sole;
Qui non vetusta fulminata mole,
Qui non pesti trofei, spezzate insegne,
E tutto il turpe fasto di macerie
Fia che ti scopra l'itale miserie.
Dei secoli alla lutta

Piegò l'Ausonia tutta,

Siccome face si consuma e spegne;
Ma da comun rovina

Combattuta scampò la Subalpina :
Invitta e di sè donna or s' avvalora
Di quel valor che la sorti regina.
Oh! versa intera de' tuoi rai la possa,
Bel sol d'Italia, a queste piaggie nove,

E fia che tornin le romane prove. Splendi invocato, e l'alma mia riscossa Al patrio suon dell'arme

f'innalza altero il piemontese carme.
Bella un'età di gloria

Correva al Tosco, al Ligure, al Lombardo;
E meraviglia al secolo più tardo,
Su fogli eterni, a mille templi in fronte,
Su torri ardite, su palagi vasti
L'itala libertà scrivea suoi fasti.
Oh allor che fea silente

La mia Taurina gente?

Selvaggia al par dell' accerchiante monte
Maturava nel core

Serbato ad altra età vergin valore;
Un terren preparava alla vittoria,
E novelli trionfi al patrio amore.
Dell'opre il di pur giunse, e di Fiorenza
Ecclissata la stella, ivan perdute
Tutte speranze alla comun salute :
Allor Piemonte sull' ostil semenza
Fe' con edace spada

La vendetta dell'itala contrada.
Ahi qual versava infame
Contesa per la misera campagna!
Ecco l'orgoglio passeggiar di Spagna
Dall' Alpi all' Etna, e vi lasciar deserti :
E contro alla rival Francia s'avventa,
E all'italo potere invida attenta.
Non avvi un patrio brando
Che al doppio oste esecrando
Sangue per sangue, duol per duol rimerti?
Lottante incontro al Trace
L'Adriaco Leon sogguarda e tace;
Teme Liguria l'inegual certame;

E Roma invan grida fra l'armi « Pace! >>
O patria mia! Nel turbine ove sei?...
Oh gioia! Veggo i subalpini duci
Scendere in campo; esercitar sui truci
Le guerresche virtù de' padri miei;
Di duo rival dall' ire,

Scintilla da due selci, incliti uscire.

Oh ch'io sul dorso ai venti
Sulle Insubri trasvoli ample pianure,
Salga le Cozie insuperate alture,
E ai vinti Galli, ai rotti Austri ed Ispani
Coi lauri in fronte e i roveri paterni
Simonide novello un canto eterni.
Tu che mi scaldi il petto,
Santo di patria affetto,

Fa tu ch'io vegga i trionfati piani
Ove sorgea pugnato

Quest' italico regno a novo fato.
Ma v' ha straniera a bellicosi eventi

Città forse in Piemonte ? Ovunque armato
Scorgo il patrio valor stringere invitta
Quella bandiera che ha giurato sua :
Da Nizza agli ardui spalti di Verrua,
Da Sesia alla non mai Cuneo sconfitta,
D'Asti tenace a Susa,

A strani prenci di piegar ricusa.

Oh! salve dal tuo colle

Di patria indipendenza alto trofeo!
Qual Tosco v' ha, qual monumento Aches,
Cui non eguagli, o di Soperga templo?
Tu il sorriso del ciel sui brandi nostri,
Tu, il prodigio d'amor, Micca ci mostri.
Sul vinto baluardo
Spiegava lo stendardo

Il francese guerrier; l'ardito esemplo
Cento seguiano e cento;

Ma di Torino nel fatal momento,
Curzio novel, sorse il Biellese e volle
Sè stesso per la patria in sacramento :
Scoppio l' accesa polve, e glorioso
Micca su mille eroi tomba s'aderse.
Viva quel forte! E viva tu che, sperse
L'armi franche, o Amedeo, vittorioso
Innalzasti sul monte,

Simbolo di salute, ara al Piemonte.
No, tutte non le dite

Infide l'alpi, nostra rocca eterna :
Chè, se il baldo stranier l'erta superna
Salga e minacci, o rinnovelli intinto
Le sue bugiarde libertà delire,
Saprà che costi il provocarci all'ire.
Biancheggia ancor d' Assietta
L'insuperata vetta

D'ossa francesi, e s'ode ancor distinto
Suonar per quella riva

Lo straniero lamento e il nostro evviva
Ma quanto sangue, ohimé ! ma quante vite
Versate nel serbar questa nativa
Guerreggiata contrada integra e franca!
Quante ad unirla e conservarla unita!
E qual saldo voler, qual mente ardita
Ne' duci suoi che sollevar la Stanca?
Onde io grido lontano:
Quanto costa aver salvo un solo brano!...
Ma di scene ingioconde
Infastidita omai bramo un olivo,
Sospiro il lene mormorio d'un rivo
Che simbolo di pace il suol feconda.
Ah! non è l'uom coll'uom fiera vorace,
Tutti fratelli siam, tutti amiam pace.
Aura soave e pura
Dell'itala natura

Carezza la Taurina ultima sponda .

Già al tiepido tuo fiato

Vergine in riva a Dora un lauro è nato;
Superbo, che ricinse di sue fronde
Il tragedo maggior che Ausonia ha dato,
E quei che all' anglo calcolo diè penne,
E quei che Italia e America ha narrata,
E la cetra gentil di Deodata.

Vivi fiorente allor, vivi perenne!
Non possa d'austro o norte

Esserti il soffio apportator di morte!
Canzon, va pur sicura ;
Che memore ritraggi

Le vittorie ai guerrieri, i lauri ai saggi;
E se la tua ventura

Tanto ti dona che alla reggia arrivi,
Entra festosa quivi;

Itala n'è la soglia, itala pianta

Qui tra l'itale sola un scettro vanta.
Di', che già diero le Taurine mura
Ne' bei di longobardi a Italia il sire,
Di', che stirpi, repubbliche ed imperi
In Italia passar; ma la custode

Dell' Alpi, illustre in sua virtù, qui dura;
Lei raflermo di San Quintino il prode;
Si che con fasti alteri

Quanto il corso del Po proceda e imperi.

C. MORRONI BERNABO'

SILORATE.

CANTO D'UNA MADRE

ALLA CULLA DEL FIGLIO.

DORMI, o figlio, sonni placidi
Ove il rezzo più s'imbruna,
Su la tua diletta cuna
Della madre veglia il cor.

Qual soave mormorio
Per lo bosco si diffonde
Carezzate il figlio mio,
Tepide aure gemebonde;
Mai non sorse al vostro bacio
Più ridente e vago fior.
Dormi, o figlio, ec.

Gli augelletti, oh come godono
Svolazzar di ramo in ramo!
Cari augei, del nostro giubilo
La canzone a Dio cantiamo,
Io con voi le pie delizie
Ridiro del casto amor.
Dormi, o figlio, ec.

Rivoletto che spumifero Nella valle d'alto scendi, Al bambin con lieve murmure Più tranquillo il sonno rendi; Egli poi nell'onda tremola Spegnerà l'estivo ardor. Dormi, o figlio, ec.

Bel fanciullo, in te s'accolgono Le mie gioie e le speranze E m' inebrio nel sorridere Delle care tue sembianze. Oh se a me tu debbi il vivere Vita rendi a me miglior.

I PRIMI AMORI.

ANACREONTICA.

Dolce è l'aura mattutina Quando april fa verde il colle,

E

per sole e fresca brina

Si rintegrano le zolle,
Quando sboccia ai rai più tepidi
Olezzante il primo fior.

Ma v'è un riso, una dolcezza,
Che sorvola ogni pensiero,
Mentre destasi all' ebbrezza
Di un affetto lusinghiero,
E per nuove e care imagini
Di repente balza il cor.

Nella selva che rinfronda,
Sola e tacita s'aggira
La fanciulla pudibonda
Che d'affanno già sospira :
Dolci olezzi in sen le piovono
Indistinta voluttà.

Spesso in mente le s'affaccia
Una tarda rimembranza,
Essa allor divampa, agghiaccia
Di timore e di speranza,
Fra un sorriso ed una lacrima;
Poi dubbiosa si ristà.

Oh non altro allora offenda
I suoi vergini riposi,

Tranne il suon d'un rio che scenda
Per la china ai prati erbosi,

O il lamento della tortora
Che si libra a lento vol.

E quell' anima commuova
La fantastica armonia,
Che ne' cieli si rinnuova,
Quando i raggi ultimi invia,
E ne' vuoti campi eterei

Mille stelle accende il sol.

Di delizie il tempo è questo,
In cui lieve il petto invade
Tale un senso arcano e mesto
Che ad amar lo persuade,
Allor tutte il cor dimentica
Le amarezze di quaggiù.

E s'ei parla con un raggio
Di pupille vereconde,
E al suo rapido linguaggio
Altri avvivasi e risponde,
L'alma allor più forte e libera
Si dispiega in sue virtù.

Chi potria di que' verd' anni
Dire i gaudii della mente,
Quando piacciono gl'inganni,
Ed il gemere silente,
Ev'è un dolce inenarrabile
Nello stesso lagrimar?

Ah perchè volando fugge
Quell'età cosi gentile,
Perche ratto il tempo adugge
Quel soave fior d'aprile,
Di che appena il molle effluvio
È concesso delibar?

L'ASSUNZIONE.

INNO.

Ecco l'alba portentosa,
Com'è bello il suo sorriso !
Oggi il talamo alla sposa
Si prepara in paradiso ;
Tratta in ciel da' spirti alati
La Reina dei beati
Oggi il trono ascenderà.

Ella vien! Dal basso suolo

Con le spoglie sue immortali
Vien sospesa in aere a volo
Degli arcangeli sull'ali,
Dalle nubi vien soffolta,
Vien del sol nei raggi avvolta,
Viene, e immoto il tutto sta.

Ove passa rispettosi
Piegan l'ali i quattro venti,
Cessan gli urti impetuosi
Degl' indocili elementi ;
Passa, e ovunque ad ora,
Ogni stella si scolora

Di sua luce al balenar.

ad ora

Giugne; oh! esclama il Trino Iddio,

Vieni, o sposa innamorata,

Vieni, o eletta del cor mio,

O colomba intemerata;
Vieni, o fonte suggellato,
Orto chiuso, del creato
Vieni il soglio ad occupar.

Sfolgorante il trono ascende,
Ed il Nume il regio manto
Sovra gli omeri le stende;
Poscia intorno al capo santo,
Igneo serto, gli astri aduna,
Ubbidiente vien la luna
Il suo piede a sostener.
Ed intanto delle sfere
L'ineflabile armonia,
E degli angeli le schiere
Van cantando di Maria
I sofferti aspri tormenti,
I brevissimi contenti,
Quanto in cielo è il suo poter.

Vergin Madre, alma Reina,
Dall' eterno tuo splendore
Deh! pietosa il guardo inchina
Nella valle del dolore;
Ve' i perigli onde siam cinti,
Ve' l'averno che ci ha vinti,
Vedi il nostro rio martir.

Tu del drago vincitrice,
Tu ci togli al fero artiglio,
E se dato esser felice
Della terra non è al figlio,
Deh! tu almen che a prova tanto
Conoscesti il duolo e il pianto,
Deh! tu insegnaci a soffrir.

GIUSEPPINA POGGIOLINI,

DA MILANO.

LA SERA.

Un saluto a te, sol, che tramonti, Un saluto al tuo raggio che more, Mentre obliquo dardeggia su i moɛti La fuggente letizia del di.

Della terra tu fosti l'amore,
Dacchè prima il tuo sguardo s'accese,
E nell'ampio dei cieli si stese,

E altri monti di luce vesti.

Salve! e ti sgorghino
Dall' ampie vene
Innumerevoli
Come l'arene

I lunghi secoli.

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