Superbitene or voi! L'opre romane Potranno invidiar l'opre novelle Là sotto i dardi del maggior pianeta ; Un'alta morte che di sè asseta Pochi abbracciar sul campo, E l'ultimo desio
Mandaro al suol natio,
L'ultimo sguardo fu d'amore un lampo. Ecco già ritornata ond' ella uscio La schiera eletta e breve: Ecco di trombe armonioso squillo Come saluti il nobile vessillo Per cui la servitude onta riceve, Chè pari al sol di mille raggi adorno Spande mille aure nunziatrici intorno. Levati, o veneranda
Che si be' nomi affidi a' bronzi, a' marmi, Pon giù de' gigli tuoi l'aurea ghirlanda, Chè una torbida nube pellegrina Par dell' antica luce ti disarmi; Levati, o veneranda, e grida armi, armi! Sciogli la civil briga
Che le tue forze annoda, Toda Albione e t'oda
Tutta la terra che il Danubio riga : Cosi spanda le vele e giunga a proda Questa Europa sospesa.
Aura benigna a' deboli ed a' forti I suoi pensosi popoli conforti, E al diritto il poter faccia difesa,
Chè un incendio di guerra, a pochi amara, Certo i vegnenti secoli rischiara.
E tu, Canzon, librata in mezzo al cielo, Prega che un di ricco di sante leggi Quest'alba limpidissima pareggi.
ANACREONTICA.
VANNE, gentile auretta, Ove il mio cuor t'invia, Caro sospiro aspetta, Recalo tosto a me.
Odor di fresca rosa
Avrà quel dolce fiato, Sul labbro mio lo posa, E vita avrò da te;
Vita che sol mi alletta, Finchè il sospiro amato, Gentil, pietosa auretta, Sull' ali tue verrà.
Ma se tu riedi un giorno Priva di quel sospiro, L'ora del tuo ritorno L'ultima mia sarà.
SOVRA un ruscel che limpido Gemea tra sponda e sponda, All' ombra d'un bel salice Che si spandea sull'onda E trar parea delizia Da quel vivace umor, lo mi posava, e l'alito D'auretta rugiadosa Libava il casto anemone La verginella rosa E la viola mammola Bella nel suo pudor.
La tortorella semplice, L'amabile usignuolo, All' aleggiar de' zeffiri Tutti traeano a volo Dove tra foglie ascondesi Quel pallidetto fior.
Perchè, perchè non correre Sul vago fioraliso, Sul fior gradito a Cipria, Sul tenero narciso, Lievi augelletti? Io tacita Così dicea nel cor: Riposta in verde calice Sul verecondo stelo, Ella non anco i petali Svolse ridenti al cielo; Il sole ancor non fecela Specchio del suo splendor.
O violetta ingenua, Quel tuo pallor, se m'odi, Che ti fa mesta e languida, Tragge il favor che godi : Anch'io per te nell'anima Sento il più caro amor.
Vieni te bramo; è simile
Troppo al mio cor tua spoglia, Vieni, di schietta lagrima Ti aspergerò la foglia: Ne splenderai men rorida Che al mattutino albor.
Ma no... Già presso a svellerla Ristetti, e si dicea :
O vaga, io troppo amandoti, Del tuo morir son rea; Non ti corrò; l'imagine Serba del mio dolor!
Tace il Vesevo, ed al notturno cielo Fa speglio il mar di lucide faville, Scote la notte dal ceruleo velo
Quasi alato un pensier che m' assecura Scorgemi all'alta region celeste, Di là nell' alma una improvvisa e pura Gioia m'investe.
Qui del vago usignuol misto alle note, Accolga quell'auretta che sospira L'umile accordo in cui tremar sol puote
Di battaglia il frastuono, il gran muggito Del tuon che rompe la scillea tempesta, E la insultante sovra l'uom tradito
Lungi da lei, lungi da me. - Tu sola Sorgi al mio labbro, flebile Preghiera, Sorgi dal cor, cui dolce idea consola Di calma vera.
Tranquilla omai, nè più qual pria smarCon un sospir te, cara diva, invio [rita, Ne' campi eterni, onde provien la vita, Che riede a Dio.
Ed ecco in me dal placido zeffiro Scende armonia d'inusitato incanto : Scerra nel cor d'affanno e di martiro, Tergo il mio pianto!
Fra l'egra tenebria che mi circonda Non più conquisa dal crudel tormento, lo di nocchier ch'è presso alla sua sponda Terrò l'accento.
E qual chi giunse a gloriosa meta, [ra, Se or te, gran Dio, l'umil mio labbro implo
Sol per lodarti rivedrò più lieta Brillar l'aurora.
TERENZIO MAMIANI DELLA ROVERE
Tu ancor se' dunque, o MAMIANI, il segno Dell'ingiusta sventura alle ritorte? Tu segui ancor sotto un estranio regno Di Campanella e d' Alighier la sorte? Tu che ritraggi dal primier l'ingegno, Dall' altro il divin foco e l'alma forte! O Italia, te di onor colman tuoi figli, E tu, ingrata, lor dai ceppi ed esigli? II.
Ma no voce non è d'Italia mia Che i suoi figliuoli dal bel sen diparte; Voce ell' è che sovr' essa incrudelia, Al cui cenno mirò sue membra sparte! Deh, quando a noi volgi il pensier che oblia Sol per brev' ora le sudate carte, Di' quella voce sol me lungi brama, Ma la voce d' Italia a sè mi chiama.
Celebrandosi in Torino le nozze del principe ereditario di Savoja.
SOVRA l'estrema Dera
Splendi del tuo bel raggio, italo sole; Qui non vetusta fulminata mole, Qui non pesti trofei, spezzate insegne, E tutto il turpe fasto di macerie Fia che ti scopra l'itale miserie. Dei secoli alla lutta
Piegò l'Ausonia tutta,
Siccome face si consuma e spegne; Ma da comun rovina
Combattuta scampò la Subalpina : Invitta e di sè donna or s' avvalora Di quel valor che la sorti regina. Oh! versa intera de' tuoi rai la possa, Bel sol d'Italia, a queste piaggie nove,
E fia che tornin le romane prove. Splendi invocato, e l'alma mia riscossa Al patrio suon dell'arme
f'innalza altero il piemontese carme. Bella un'età di gloria
Correva al Tosco, al Ligure, al Lombardo; E meraviglia al secolo più tardo, Su fogli eterni, a mille templi in fronte, Su torri ardite, su palagi vasti L'itala libertà scrivea suoi fasti. Oh allor che fea silente
La mia Taurina gente?
Selvaggia al par dell' accerchiante monte Maturava nel core
Serbato ad altra età vergin valore; Un terren preparava alla vittoria, E novelli trionfi al patrio amore. Dell'opre il di pur giunse, e di Fiorenza Ecclissata la stella, ivan perdute Tutte speranze alla comun salute : Allor Piemonte sull' ostil semenza Fe' con edace spada
La vendetta dell'itala contrada. Ahi qual versava infame Contesa per la misera campagna! Ecco l'orgoglio passeggiar di Spagna Dall' Alpi all' Etna, e vi lasciar deserti : E contro alla rival Francia s'avventa, E all'italo potere invida attenta. Non avvi un patrio brando Che al doppio oste esecrando Sangue per sangue, duol per duol rimerti? Lottante incontro al Trace L'Adriaco Leon sogguarda e tace; Teme Liguria l'inegual certame;
E Roma invan grida fra l'armi « Pace! >> O patria mia! Nel turbine ove sei?... Oh gioia! Veggo i subalpini duci Scendere in campo; esercitar sui truci Le guerresche virtù de' padri miei; Di duo rival dall' ire,
Scintilla da due selci, incliti uscire.
Oh ch'io sul dorso ai venti Sulle Insubri trasvoli ample pianure, Salga le Cozie insuperate alture, E ai vinti Galli, ai rotti Austri ed Ispani Coi lauri in fronte e i roveri paterni Simonide novello un canto eterni. Tu che mi scaldi il petto, Santo di patria affetto,
Fa tu ch'io vegga i trionfati piani Ove sorgea pugnato
Quest' italico regno a novo fato. Ma v' ha straniera a bellicosi eventi
Città forse in Piemonte ? Ovunque armato Scorgo il patrio valor stringere invitta Quella bandiera che ha giurato sua : Da Nizza agli ardui spalti di Verrua, Da Sesia alla non mai Cuneo sconfitta, D'Asti tenace a Susa,
A strani prenci di piegar ricusa.
Oh! salve dal tuo colle
Di patria indipendenza alto trofeo! Qual Tosco v' ha, qual monumento Aches, Cui non eguagli, o di Soperga templo? Tu il sorriso del ciel sui brandi nostri, Tu, il prodigio d'amor, Micca ci mostri. Sul vinto baluardo Spiegava lo stendardo
Il francese guerrier; l'ardito esemplo Cento seguiano e cento;
Ma di Torino nel fatal momento, Curzio novel, sorse il Biellese e volle Sè stesso per la patria in sacramento : Scoppio l' accesa polve, e glorioso Micca su mille eroi tomba s'aderse. Viva quel forte! E viva tu che, sperse L'armi franche, o Amedeo, vittorioso Innalzasti sul monte,
Simbolo di salute, ara al Piemonte. No, tutte non le dite
Infide l'alpi, nostra rocca eterna : Chè, se il baldo stranier l'erta superna Salga e minacci, o rinnovelli intinto Le sue bugiarde libertà delire, Saprà che costi il provocarci all'ire. Biancheggia ancor d' Assietta L'insuperata vetta
D'ossa francesi, e s'ode ancor distinto Suonar per quella riva
Lo straniero lamento e il nostro evviva Ma quanto sangue, ohimé ! ma quante vite Versate nel serbar questa nativa Guerreggiata contrada integra e franca! Quante ad unirla e conservarla unita! E qual saldo voler, qual mente ardita Ne' duci suoi che sollevar la Stanca? Onde io grido lontano: Quanto costa aver salvo un solo brano!... Ma di scene ingioconde Infastidita omai bramo un olivo, Sospiro il lene mormorio d'un rivo Che simbolo di pace il suol feconda. Ah! non è l'uom coll'uom fiera vorace, Tutti fratelli siam, tutti amiam pace. Aura soave e pura Dell'itala natura
Carezza la Taurina ultima sponda .
Vergine in riva a Dora un lauro è nato; Superbo, che ricinse di sue fronde Il tragedo maggior che Ausonia ha dato, E quei che all' anglo calcolo diè penne, E quei che Italia e America ha narrata, E la cetra gentil di Deodata.
Vivi fiorente allor, vivi perenne! Non possa d'austro o norte
Esserti il soffio apportator di morte! Canzon, va pur sicura ; Che memore ritraggi
Le vittorie ai guerrieri, i lauri ai saggi; E se la tua ventura
Tanto ti dona che alla reggia arrivi, Entra festosa quivi;
Itala n'è la soglia, itala pianta
Qui tra l'itale sola un scettro vanta. Di', che già diero le Taurine mura Ne' bei di longobardi a Italia il sire, Di', che stirpi, repubbliche ed imperi In Italia passar; ma la custode
Dell' Alpi, illustre in sua virtù, qui dura; Lei raflermo di San Quintino il prode; Si che con fasti alteri
Quanto il corso del Po proceda e imperi.
ALLA CULLA DEL FIGLIO.
DORMI, o figlio, sonni placidi Ove il rezzo più s'imbruna, Su la tua diletta cuna Della madre veglia il cor.
Qual soave mormorio Per lo bosco si diffonde Carezzate il figlio mio, Tepide aure gemebonde; Mai non sorse al vostro bacio Più ridente e vago fior. Dormi, o figlio, ec.
Gli augelletti, oh come godono Svolazzar di ramo in ramo! Cari augei, del nostro giubilo La canzone a Dio cantiamo, Io con voi le pie delizie Ridiro del casto amor. Dormi, o figlio, ec.
Rivoletto che spumifero Nella valle d'alto scendi, Al bambin con lieve murmure Più tranquillo il sonno rendi; Egli poi nell'onda tremola Spegnerà l'estivo ardor. Dormi, o figlio, ec.
Bel fanciullo, in te s'accolgono Le mie gioie e le speranze E m' inebrio nel sorridere Delle care tue sembianze. Oh se a me tu debbi il vivere Vita rendi a me miglior.
Dolce è l'aura mattutina Quando april fa verde il colle,
per sole e fresca brina
Si rintegrano le zolle, Quando sboccia ai rai più tepidi Olezzante il primo fior.
Ma v'è un riso, una dolcezza, Che sorvola ogni pensiero, Mentre destasi all' ebbrezza Di un affetto lusinghiero, E per nuove e care imagini Di repente balza il cor.
Nella selva che rinfronda, Sola e tacita s'aggira La fanciulla pudibonda Che d'affanno già sospira : Dolci olezzi in sen le piovono Indistinta voluttà.
Spesso in mente le s'affaccia Una tarda rimembranza, Essa allor divampa, agghiaccia Di timore e di speranza, Fra un sorriso ed una lacrima; Poi dubbiosa si ristà.
Oh non altro allora offenda I suoi vergini riposi,
Tranne il suon d'un rio che scenda Per la china ai prati erbosi,
O il lamento della tortora Che si libra a lento vol.
E quell' anima commuova La fantastica armonia, Che ne' cieli si rinnuova, Quando i raggi ultimi invia, E ne' vuoti campi eterei
Mille stelle accende il sol.
Di delizie il tempo è questo, In cui lieve il petto invade Tale un senso arcano e mesto Che ad amar lo persuade, Allor tutte il cor dimentica Le amarezze di quaggiù.
E s'ei parla con un raggio Di pupille vereconde, E al suo rapido linguaggio Altri avvivasi e risponde, L'alma allor più forte e libera Si dispiega in sue virtù.
Chi potria di que' verd' anni Dire i gaudii della mente, Quando piacciono gl'inganni, Ed il gemere silente, Ev'è un dolce inenarrabile Nello stesso lagrimar?
Ah perchè volando fugge Quell'età cosi gentile, Perche ratto il tempo adugge Quel soave fior d'aprile, Di che appena il molle effluvio È concesso delibar?
Ecco l'alba portentosa, Com'è bello il suo sorriso ! Oggi il talamo alla sposa Si prepara in paradiso ; Tratta in ciel da' spirti alati La Reina dei beati Oggi il trono ascenderà.
Ella vien! Dal basso suolo
Con le spoglie sue immortali Vien sospesa in aere a volo Degli arcangeli sull'ali, Dalle nubi vien soffolta, Vien del sol nei raggi avvolta, Viene, e immoto il tutto sta.
Ove passa rispettosi Piegan l'ali i quattro venti, Cessan gli urti impetuosi Degl' indocili elementi ; Passa, e ovunque ad ora, Ogni stella si scolora
Di sua luce al balenar.
Giugne; oh! esclama il Trino Iddio,
Vieni, o sposa innamorata,
Vieni, o eletta del cor mio,
O colomba intemerata; Vieni, o fonte suggellato, Orto chiuso, del creato Vieni il soglio ad occupar.
Sfolgorante il trono ascende, Ed il Nume il regio manto Sovra gli omeri le stende; Poscia intorno al capo santo, Igneo serto, gli astri aduna, Ubbidiente vien la luna Il suo piede a sostener. Ed intanto delle sfere L'ineflabile armonia, E degli angeli le schiere Van cantando di Maria I sofferti aspri tormenti, I brevissimi contenti, Quanto in cielo è il suo poter.
Vergin Madre, alma Reina, Dall' eterno tuo splendore Deh! pietosa il guardo inchina Nella valle del dolore; Ve' i perigli onde siam cinti, Ve' l'averno che ci ha vinti, Vedi il nostro rio martir.
Tu del drago vincitrice, Tu ci togli al fero artiglio, E se dato esser felice Della terra non è al figlio, Deh! tu almen che a prova tanto Conoscesti il duolo e il pianto, Deh! tu insegnaci a soffrir.
Un saluto a te, sol, che tramonti, Un saluto al tuo raggio che more, Mentre obliquo dardeggia su i moɛti La fuggente letizia del di.
Della terra tu fosti l'amore, Dacchè prima il tuo sguardo s'accese, E nell'ampio dei cieli si stese,
E altri monti di luce vesti.
Salve! e ti sgorghino Dall' ampie vene Innumerevoli Come l'arene
I lunghi secoli.
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