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Salve! ed il vale 'una mortale

Non disdegnar;

Che un altro vivere

Ha nel futuro,

Oltre l'imperio
Di morte oscuro

Che non ha termine;

Mentre fia spento
Nel firmamento
Il tuo brillar.

Ma or sei la nuvola
Che all'occidente
È di te splendida
Soävemente,

Qual d'oro e porpora
Contesto velo,
A tutto il cielo
Parla di te.

Or sei la candida

Che ti somiglia, Che bee la gloria Dalle tue ciglia, Spiega il volubile Arco sottile, Quasi un monile Sciolto al suo re.

Ma qua! s'alza da valle protonda
Lenta a sera la nebbia e vi posa,
E la valle ricopre com'onda

Che improvvisa dai monti sgorgo;
Tal nell'alma in quest'ora dubbiosa
Un'angoscia mi sorge segreta :
Mi s'addoppia il dolore alla meta
Di quei giorni che il duolo segnò !
Così un nappo d' amaro veleno
Tutto l'aspro nel fondo raccoglie
E la morte avvalora nel seno

Del meschino che il nappo vuotò.

Ne gia in pianto il mio duolo si scioglie,
Volgo asciutte le dome pupille
Nell'azzurro, alle vive scintille
Che la vigile notte destò.

Tranquillo delirio

Di tenero amore Da' raggi molteplici Piovea nel mio core Ne' giorni più placidi Che ratti passar. Pensava che gli angeli Ei fosser d'un Nume Veglianti con ansia Nel trepido lume,

La stirpe degli uomini
Chiamati a guardar.

Ma poscia che l'empio
Io vidi elevato,
Ed una progenie
Ignota al peccato
Attrita dal turbine
Di tutti i dolor,

E vidi, dall' orrido Scontrarsi alle guerre, Reddir nella gloria L'iniquo a sue terre, E vano negli ordini Del giusto il valor;

Mi parver caratteri
D'un aspro linguaggio,
A scherno degli uomini
Chiamante al paraggio
La terra, quest' atomo
Che Dio ci donò;

E dir che l'Altissimo
Che senza misura,
E innumeri genera
I mondi, non cura
Un grano di polvere
Che nato oblio.

Tale il tristo pensier mi ragiona.
Del passato mi grida la voce
Dispietata che mai non perdona
Al mio core memorie di duol.
Sulla terra straniera è una croce
Sempre scossa dai venti del mare,
V'è una tomba, ove mai non appare
Donna in pianto che baci quel suol.

Son dieci anni che il vento ti scote,
Solitario arboscello, sul monte!
Oh potessi alle spiagge remote
A baciarti sui venti volar!
Dunque è vero?... Oscurossi la fronte
Scintillante del fiero consiglio,
Che lui trasse alla terra d'esiglio
Donde invano promise tornar?

Ali! che sempre nel cor mi rimbomba La funesta parola, o fratello (1),

(1) Poggiolini, unico fratello della Giuseppina, giovine di bellissime speranze, fu de' trentaquattro studenti lombardi che, lasciato lo studio di Pavia, corsero nel 1821 a chiedere un moschetto a' Piemontesi, insorti per trar di servaggio l'Italia. Svanite le speranze di loro, dovettero cercar rifuggio in Ispagna, dove provarono con atti eroici, nelle misere guerre dal 21 al 23, di qual tempra erano i loro petti. Il Poggiolini morì in Catalogna di nobilissime ferite ricevute dai soldati detti della Fede, i quali inferociti dal coraggio del prode italiano, avuto il cadavere di lui, ne fecero miserabile strazio. (L'Editore.)

Che narrò la ferita e la tomba
E la speme che il braccio t'armò!
Ne bastava al mio pianto un avello,
Ch'anco al padre lo schiuse il Signore ;
Oh ritratti, memoria, dal core
Che durarne lo strazio non può!

LE MEMORIE DELL' INFANZIA.

ODE.

Qual se fra dense tenebre
Di procellosa notte
Spunta una stella fulgida
Fra le nubi interrotte,
Al navigante trepido
È duce il suo splendor;

Tal mi sei scorta, o amabile
Compagna, infra le oscure
Nebbie dei di che scorsero,
Ne le gioconde cure,
Se le fuggenti imagini
Richiamo intorno al cor.
E spesso amo di riedere,
Amica, ai di beati,
Come colui che volgesi
Ai lidi abbandonati,
E ne sospira, e tacito
Solca l'immenso mar.

Oh bella età, del candido
Riso, del cor perenne!
Sola fonte di palpito
Erane il di solenne
Che in arena femminea
Scendevasi a lottar.

Oh come scorrean rapide
L'ore dell' ozio, quando
Era nostra delizia
Il conversare errando
Pei viali lunghissimi
Erbe cogliendo e fior!

Ovvero a gara correre
Nella pianura erbosa,

Poi stanche al rezzo assidersi
E con lena affannosa
Dell'ambita vittoria
Contendersi l'onor.

Indi con orme tacite
Spiare ove s'annidi
Il grillo solitario,
Seguendone gli stridi,
E dopo un lungo avvolgersi
Farlo prigione alfin.

E quando imbruna l'acre

Seguir con passo errante
L'amica delle tenebre,
La lucciola brillante,
Che invan tra fiori aggirasi,
E farne gemma al crin.
O la luce patetica
Contemplar della luna,
Se maestosa e candida
Fende una nube bruna,
E starsi immote e tacite
Col guardo volto al ciel.
Poi rapite dall' estasi
E dal celeste incanto,
La voce aurea disciogliere
Quasi inspirate al canto,
Celebrando di placida
Notte il trapunto vel.

Rammento quelle pergole
U' sovra seggi erbosi
Raccolti in picciol numero
Pingeansi spaventosi
Spettri apparsi nell' acre
E alati cavalier.

O lucide meteore

A cui nel seno apparve
Un drago, o intorno ai tumuli
Delle evocate larve,

L'errar con passo aereo
Come nebbia leggier.

Quindi le veglie e i tremiti,
La notte e le sembianze
Vedeansi di fantasime
Che movean fiere danze,
O udiasi il lungo gemito
D'un'ombra che si duol.
Oh fortunati i palpiti
D'imaginato affanno !
Felici le vigilie
Di puerile inganno
Figlie o di tetre imagini,
Fuggenti al primo sol.

LA ZINGARA.

CANZONETTA PER MUSILA.

Qua la mano, Giulia bella, E ti dico la ventura... Del tuo nascere la stella Lieti giorni t'assicura : Non ti prema del presente Se t'arride l'avvenir... Ma non odi, e all'oriente Volgi il guardo con desir?

Nella palma oh! quanti io miro
Fortunati e strani eventi !
Tu sarai d'un re sospiro
Al compir degli anni venti...
Ma che pensi? E nozze e trono
Non lusingano il tuo cor?...
O indovina più non sono,
O tu nutri ascoso amor.

Tra' guerrier di Palestina
Si travaglia il tuo diletto,
Più dell'essere regina
Caro è a te quel giovinetto;
Ma da te non fia diviso
Lunga pezza il cavalier...
Or mi guardi con un riso?
L'indovina ha colto al ver.
Si dicea la vecchierella
Per carpir poche monete;
Le credea la meschinella:
Furo entrambe un giorno liete.
Scorso un lustro, l'indovina
Giulia in pianto ritrovò,
Perchè mai da Palestrina
Il guerrier non ritornò.

LA SORRENTINA.

CANZONETTA POPOLARE NAPOLETANA.

Io ti vidi a Piedigrotta
Tutta gioia, tutta festa,
Da la mamma eri condotta,
Ori e perle avevi in testa,
Un corpetto gallonato,
La pettiglia di broccato,
Una gonna cremesina,
Un sorriso da incantar,
E la bella Sorrentina
Ti sentivo domandar.

Da quel giorno non ho pace,
Notte e di sospiro e gemo,
Più la pesca non mi piace,
In disuso ho posto il remo...
La mia povera barchetta
A Sorrento affretta affretta,
Ogni sera, ogni mattina
lo qui vengo a lamentar;
Ma tu, ingrata, o Sorrentina,
Non ascolti il mio penar.

Mi rattrista la bonaccia,

Mi sgomenta la procella,
Se non miro la tua faccia,
Sola mia fidata stella.

L'altro giorno in gran periglio

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Nella tempesta che m'incalza e preme Unico porto.

Peccai; convien che lavi il fallo mio In abbondevol pianto,

Ma in mezzo del dolor s'innalzi a Dio
Festoso il canto.

D'ogni profano inutile contento
Che il cieco mondo apprezza,
La lacrima del vero pentimento
Ha più dolcezza!

Nel nome tuo, Signor, feci a me guerra!..

E tu si grande sei,

Che quanto avea di ben per me la terra Io ti cedei!...

È più dolce del sospiro Che una madre esalerȧ, Nell'istante benedetto Che il suo nato bacerà,

Quell'affetto che si spande Dall'essenza più gentil, Dello spirito che anela Farsi agli angeli simil. Ah! di lui ripieno, o cara, Il mio cor per te sarà! Prendi un bacio; - egli suggella Santo patto d'amistȧ.

ISABELLA ROSSI,

DA FIRENZE.

LA NANNA.

NEL seno maternc
Riposa cor mio!
Ti salvi di Dio
La somma pietà!

La Vergin ti guardi
Membrandosi il figlio,
E piova dal ciglio
Benigno fulgor!
Ti cuoprin con l'ali
Gli spirti celesti,
Di cui tu rivesti
L'imago quaggiù!

Nel grembo materno,
Bell' angel, riposa,
Qual boccio di rosa
Cui l'aura cullò!...

Oh dormi, leggiadro
Bambino diletto!
Vicina al tuo letto
Vegliando starò.

Poi, quando ti desti,
Baciarti prometto,
E porgerti il petto
Ricolmo d'umor.

L'AMICIZIA.

È più puro della brina Che lucente irrora i fior, Più soave del sorriso

Che fa bello un primo amor; –

A GUALTIERO.

Dolce com' arpa angelica Suona d'amor parola, Tu la dicesti, e rapida Di sfera in sfera vola, Mista agli eterni cantici Dell' Increato Amor.

« Ama!» è l'accento mistico Che l'universo unisce, Ove ogni santo palpito Principia e in un finisce.« Ama!» è la voce altissima Che suona in ogni cor. Quando la terra allegrasi, Quando sfavilla il sole, O la rugiada tepida Bagna de' fior l'ajuole, « Ama! » sussurra l'aura Con placido alitar.

<< Ama! un arcano brivido Dice, se in ciel stellato Splende la luna, e tremulo Qual guardo innamorato, Vibra il suo raggio candido Nel sottoposto mar.

Ama, Gualtiero! infondesi
Novella vita al cuore
Quando risponde all'anima
Santa armonia d'amore...
Vieni, rinnuova i fervidi
Giuri d'eterna fè. -

Io gli ricambio; - emanino
Dall'alme nostre uniti,-
Più degl'incensi arabici
Saranno a Dio graditi,
Poichè suggellan l'ordine
Che alla natura Ei diè.

CINZICA DE' SISMONDI.

CANTICA.

....Tutti fuggivano; in tanta trepidazione sola una donna della famiglia Sismondi chiamata Cinzica, invece di seguire i fuggiaschi, passò sola fra i musulmani, destò i consoli nel loro palazzo, fece suonare la campana d'allarme....

(SISMONDI, Rep. it., cap. v.)

I.

Una brezza leggera increspa l'onda Del limpid' Arno, ed i Pisani ostelli Chiudon gente tranquilla.-Alta è la notte: Non risplende la luna, ed il riposo Dell'intiera natura invita al sonno Fino il superbo che l'altera mente Pasce nei sogni della gloria, e il mesto Che perde le speranze, e l'amoroso Che palpita ad un nome, ed il ribaldo Che cova nel pensier sangue e rapina. Ecco di remi un agitar lontano!... Sirompeil fiotto.-Un murmure sommesso, Indistinto s'appressa, e le galere Carche d'armati rimontando il fiume Portan gli audaci Mori a Pisa in seno. Musa ritto alla prua stringe l'acciaro Con altero cipiglio, e d'un sorriso Che la strage promette incuora i suoi. Lunge è la forte gioventù Pisana Ita a salvar dagli infedeli artigli L'avvilita Calabria, a cui la tema Toglie il valor per liberar se stessa.De' miseri abbattuti il pianto invano Non udirono i prodi, ed alle spose, Alle case paterne un santo addio Dier, volgendo le antenne al lido estremo, Ove d'Italia il suol diletto ha fine. Cosi, deserta dei suoi figli, stava Quasi inerme al periglio ed all' offesa, La città valorosa, e Musa astuto Librò le proprie forze e l'altrui sceme :Piomba inatteso, ed un tremendo grido Di minaccia e di morte alza la turba Degli Arabi seguaci. - Il fuoco avvolge Già con torbide spire i primi tetti Che si specchian nell'Arno, e sopra il ponSi lanciano i feroci. - Allor si sente Un ululo, un compianto, un lamentio Di persone fuggenti : il fero evento Si dipinge più tetro entro la mente Degli atterriti cittadin : si crede

[te

Un flagello di Dio : non si domanda

Chi reca il lutto e la ruina; in fronte
Porta ognun lo spavento. È di sotterra
La falange dei demoni venuta. »
Urla un vecchio tremante, e si ripete
Il folle detto fra gl'imbelli, a cui
Sprona il piede il timor, manca l'ardire.-
Non invocan soccorso,
e niuno il senno
Implora de' più saggi, e niun rammenta
Il valor de' più forti, e sol lo scampo
Ripongon nella fuga... Ecco fra tanti
Ciechi spirti smarriti, ecco una donna,
Cinzica de' Sismondi, appar sublime
Quasi celeste vision! - lampeggia
L'ispirato suo sguardo: accesa il volto
Di vivido color mostra qual arda
Alma virile in delicato petto.
Impavida si avanza: oppon la destra
Agli urti di chi fugge, e di chi preme :
Rompe la calca, e la leggiadra testa
Non piega in faccia agli assalenti. Un forte
Assoluto voler par che la spinga,

Par che miri una mèta, e non vacilla
Nel desio di toccarla. Il labbro ha chiuso,
Ma sembra che favelli. - Al sen raccoglie
Con moto di pudor la sciolta veste
Che indossò nel tumulto, e franco il piede
Pon su lubrica via molle di sangue.
Secura di se stessa impone un misto
Di rispetto e stupore, e va fra i mille
Quasi regina che comanda e passa.
Parte della città non ode ancora
Il romor della zuffa. - Ancora i Mori
Non varcarono il ponte, e nel palagio
Dormon securi i consoli. Lo scampo
Della patria e de' suoi vede la donna
Starsi fra quelle mura, e là si è volta.
II.

« Cittadini, lasciate le piume,
a Accorrete: la patria vi appella!
« Sulla riva sinistra del fiume

<< Stan la morte, l'incendio, il terror.-
Maledetto chi sorge più tardo,

α

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