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• Opponete co' petti un confin!
« Una donna vi desta, v’incita,
. E mill' altre v' imploran col pianto!...
• Se tardate, la schiatta abborrita
« Nel servaggio l'afflitte trarrà.»
Cosi parla la forte Sismondi,-
Una voce, poi dieci, poi cento,
Fan risposta al magnanimo accento,
Pisa, Pisa! salvarti, o morir! »
Come romba di scosso terreno,
Come roco muggir d' oragano,
Come tuono che segue il baleno
Scoppia l'ira d'un santo furor.-
Son discesi dagli alti palagi,
Sono usciti dai bassi abituri,
E di brandi, di lance e di scuri
Splende il taglio già pronto a ferir.

Lento tocco di mesta campana,
Ripetuto dall'eco dei colli,
Chiama i figli che in parte lontana
Non udrebber dell' armi il fragor. -
Niuno è sordo all'appello de' duci,
E nell'ora di tanto periglio
Solo un voto, ed un solo consiglio
Spinge tutti allo stesso sentier. -

Per la patria che il braccio gli chiede,
Benchè nuovo allo scontro dell'armi,
Or guerriero ciascuno si crede,
E maggior di se stesso si fa. -
Ah! di patria col nome possente
Trasmutati si sono in eroi!...
Fuggi, Musa, t'invola co' tuoi! -
Senti l'urlo di morte forier!...

III.

Son rotte le schiere, battuti i nemici.-
Venite, Pisani, le spade vittrici
Posate in omaggio di Cinzica al piè! [de,

Fu tromba di guerra ch' esalta ed accen-
Fu scudo, fu torre che copre e difende,
La donna che a scampo l' Eterno ci diè.

Giuditta novella, sfidando la morte Ci tolse all' obbrobrio d'infami ritorte, Sottrasse all'eccidio la cara città.

Votiva una pietra l'Eccelsa rammenti Che in petto a futuri, se fiacchi, se spenti, Riaccenda quel fuoco che pari non ha! IV.

Donne, cantiam di Cinzica Che nel notturno orrore Surse qual stella fulgida Guida a smarrite prore,

E con sua luce vivida

Le nubi in ciel fugò!

Non come rosa, o mammola,
Ma come querce annosa
Stette di fronte al turbine,
Ne si mostrò pensosa,
Quando per torci ai barbari
Vita ed onor rischio. —

Madri! donzelle! un palpito
D'alto sentir vi scuota!
Sol per l'amore, e timide
Nate non siete... e vuota
Fia la missione altissima
Se vi avvilite il cuor.-

Come un profumo emanasi
Dai fior che i sensi avviva,
Tal nella donna un mistico
Poter s'asconde ; e viva
Prova onorata è Cinzica,
Del femminil valor!

A. SCACERNI PROSPERI,

DA FERRARA.

ELEGIA

NELL'INAUGURazione del BUSTO DEL MAR-
chese guido vILLA GIA PRESIDENTE DEL-
L'OSPITALE DE SANTI GIACOMO ED ANYA
IN FERRARA.

QUANDO disciolta dal terreno ammanto
Libera ergesti il volo al tuo Fattore,
Anima bella, e noi lasciasti in pianto;

E in te, cinta di lutto e di squallore,
Piangea la patria inconsolabilmente
De' suoi figli il più caro ed il migliore :

Tanta doglia mi punse e si cocente
Che cor non ebbi allo spettacol tetro
Di tua funebre pompa esser presente.
Ne te vidio sul lugubre ferétro
Trarre alla tomba, nė suonarti intorno
Di morte intesi il lamentevol metro (:
Sola col mio dolor quel tristo giorno
Co' caldi voti e co' sospir frequenti
Io ti seguia nell'immortal soggiorno.
Quando a onorarti poi concordi e inten-
I patrj cigni sulla cetra eburna {ti (2)

(1) La pompa funebre era preceduta dalla banda militare.

(2) Poco dopo la morte di questo illustre soz getto si adunarono gli accademici Ariostea: al dolore per la recente sua perdita e le lodi di ta formarono l'argomento della maggior parte de loro componimenti,

ANTICHE E MODERNE.

Mesti temprano cantici e concenti,

La mia a trattar negletta e taciturna
M'accinsi io pure, e sparger volli anch'io
De' fior di Pindo la tua gelid' urna;

Ma fioco il canto usci dal labbro mio,
E l'inutile plettro invan tentai,
Chè in me il dolor potea più che il desio :
Quello prevalse allor, questo frenai;
E l'ardua troppo al debole mio ingegno,
La temeraria impresa abbandonai;

Chè troppo lungi da tant'alto segno
Vidi dover restar mie basse rime,
E temei che tu pur le avessi a sdegno :
Tu, a cui, sedente sull' eterne cime,
Laude non dee salir minor del vero
Ed ineguali al tuo merto sublime.

Vorre' il silenzio mio serbare austero;
Ma quel desio che in me s'accese allora,
Or più che allora infiamma il mio pensiero.

Ma più del labbro è il cor ch'oggi te onoChè viva il cor la rimembranza serba [ra, Di tue virtudi, e serberalla ognora.

Come la falce in prato i fiori e l'erba, Così abbatte il superbo, e in cieca fossa Morte il rovescia più di lui superba;

Ma scende invan la sua fatal percossa
Sull' uom giusto ed umile; ei regna, ei vive,
Benchè soggiacer sembri alla sua possa.

Sempre risonerà su queste rive,
Guido, il tuo nome, e già la patria storia
I tuoi fasti alla tarda età descrive.

Ve' fra il plauso comun, cinta di gloria
Tua effigie sculta in quel marmoreo busto
Ergersi ad eternar la tua memoria;

E s'erge nell'albergo ampio e vetusto,
Che in sen gli egri e mendici accoglie e cu-
E per te andrà di nuova luce onusto. [ra,
Colme de' doni tuoi senza misura,
Ah! è ben dover che questo sia concesso,
Amato pegno a quelle sacre mura.

T'era gradito il lor recinto, e spesso
Di tua bontà spargendo i varj essetti,
Quivi ti stavi a quegli afflitti appresso;

E aggirandoti intorno ai duri letti
Conforto d'incredibile dolcezza
Lor porgevi or coll' opre ed or co' detti.

Si specchi in te chi gl' infelici sprezza
Sol perchè più benigna ebbe fortuna,
E il fasto lo circonda e l'alterezza.

Tu pur grande nascesti e in nobil cuna; Ma de' miseri a te la schiera umile Spregevole non parve, nè importuna :

E mai nessun di loro avesti a vile, Chè a tutti aprivi quel tuo cor pietoso,

Non so se più benefico o gentile.

La desolata vedova, lo sposo,
In te gli orfani figli il padre amante
Trovaro, e al lungo lagrimar riposo.

Oh quante volte penetrasti e quante,
Guidato da pietà, squallido tetto
Quasi angel sceso dalle spere sante!

E a chi nato fra gli agi, e poi negletto
Dalla volubil sorte, assai più rea
Ch'era a tacerla da vergogna astretto,
Ampio e occulto soccorso ognor porgea
La generosa tua provida mano!
E' la baciava, e di piacer piangea.
Umiltà si bell' opre ascose invano;
Le fêr palesi mille lingue e mille
Da questo patrio suolo al più lontano.

Quest'altro è ben che arder cittadie ville
E côrre armato in campo infausti allori
Di pianto aspersi e di sanguigne stille:

Te non fer chiaro si fatali onori,
Spirto gentil, chè sol t'era dovuto
Quello maggior di conquistare i cori.

Tu sparger vedi sul tuo cener muto
Lagrime vere e non mentite lodi,
Del comune dolor mesto tributo.

E mentre sciolto da' terrestri nodi,
Di tue bell' opre il meritato frutto
In seno a Dio lieto raccogli e godi,

Ve' per te rinnovarsi il nostro lutto,
E tua effigie onorando, il primo affanno
Sopito appena ridestarsi tutto;

Ma sebben ci rammenti il nostro danno,
Cara e sacra ella sia sempre fra noi,
Ei padri ai figli ognor l'additeranno
Le tue virtù narrando e i pregi tuoi.

ROSA TADDEI,

DA NAPOLI.

ALLA CONTESSA FARINI,

DOLENTE PER LA MORTE DEL PADRE.

VERSI tu vuoi pel padre
Che rapi la morte

Da me,
che un egual sorte
Fa degna di pietà.
Non ha parole un core
Straziato dai martiri,
Ed altro che sospiri
E lagrime non ha.

Per noi non ha natura
Più immagini giulive;

Ché per metà sol vive Chi perde il genitor.

Ma almen tu baciar puoi
La terra ov'è sepolto;
E a me, infelice! è tolto
Questo conforto ancor.

lo che i miei giorni erranti Trar deggio ognor nel duolo, Più non vedrò quel suolo Ch'ultimo asil gli diė.

Ne posero morendo
In tomba a lui daccanto,
Più degna assai di pianto,
Più misera di te.

A NOVELLO PARROCCO.

EPISTOLA.

Dalle sponde del Mela, ov'io m' assido, A te per sangue ed amistà congiunto (1), Spesso torna il pensiero, e al patrio nido.

E nel mirar la cima a che sei giunto Inno di laude intono al Re del cielo, Chet' ha benigno alla grand' opra assunto.

Oh te beato! in misterioso velo
Nel vigneto d' Engaddi il pie' riponi,
Ove ecceder non può caldo nè gelo.

E la ricolmo degli eletti doni,
Che non han pregio che adeguar li possa,
A Dio t'innalzi, e col tuo Dio ragioni.

Con quel Dio che vesti di carne e d'ossa L'increato suo spirto, e amante volle Solima far del proprio sangue rossa, [le, Con quel Dio che i redenti a gloria estolE sugli altari vi fa dir con Lui: Ecco l'agnel che le peccata tolle. Parmi udirlo con te parlar di nui, E confortarti a quella cura istessa Che fu la meta degli affetti sui.

Oh in qual atto d'amore ei ti s' appressa! Oh di qual viva luce ti riveste! Oh qual parte di grazia è a te concessa!

Per man ti prende, ed in sentiero agreste T'addita pascolanti pecorelle Sparse per le colline e le foreste.

Di fango maculata avean la pelle; Ma guidandole al fonte cristallino Tornar le fe' qual pria candide e belle.

Per indrizzarle tutte ad un cammino Uopo ei non ha d'adoperar vincastro; Basta la voce del labbro divino.

(1) L'epistola è scritta a nome di un congiunto del buon sacerdote.

Ma vespertino appare il lucid' astro Che richiama all'ovil lo sparso armento, E fa noto al pastore il suo disastro.

Ahi le contò sull' alba, ed eran cento; Una fra quella greggia, una ne manca, Nè al suo presepe può tornar contento. Si guarda addietro, innanzi, a destra,

a manca,

Col noto suono a ritornar la esorta;
Ma invan la voce, invan le ciglia stanca.
Dolente al pecoril la greggia scorta,
E chiusa appena n' ha la sbarra, ei nede
Ove lo zel di carità lo porta.

Di qua, di là volge e rivolge il piede, La richiama più volte, e via si caccia Su per balze e dirupi, infin che vede

Sparsi fiocchi di lana, orrida traccia Che fra i dumi lasciò quella smarrita, Cui corre incontro con aperte braccia. Teme la pecorella sbigottita, Meritato castigo al proprio errore, Sotto i colpi di lui lasciar la vita;

Ma quel pastor tutto dolcezza e amore Pietosamente la raccoglie in seno, E d'ogni tema le conforta il core:

Chè se accorto a vederla era egli meno, Dalle sue tane il lupo ingordo uscia, E di lei facea pasto al ventre osceno

Cosi tu pur dovrai veloce e pia Stender la mano alle accecate genti Che avran perduta di virtù la via,

E col suon di soavi e miti accenti
Umile e fido imitator di Cristo
Pungere i cori, e illuminar le menti.

Non atterrir colla minaccia il tristo,
Non disperarlo di perdon, se vuoi
Far di quell' alma il prezioso acquisto.

Segui l'esempio di chi offri per noi
Al lupo, invece dell'agnella, il petto
Onde ridurla negli ovili suoi:

Sarai d'onor, di riverenza obbietto All'uom che t'oda e volga in te le ciglia; Del popolo l'amor, di Dio lo eletto, Presidio e gioja della tua famiglia.

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Veglian sopra la scossa muraglia
Assetati, derisi, languenti,
Per la notte levando lamenti,
I guerrier dell'oppressa città;
E paventan che nova battaglia
Degli Assirj trionfo sarà.

Al chiaror delle fioche lucerne,
Scarmigliate ne' crudi perigli,
Pe' mariti pregando, pe' figli,
Stan le donne dinanzi all' altar.
Altre all'orlo dell' arse cisterne
Forsennate sen vanno a spirar.

Della luna par sangue la faccia ;
Piangon gli astri coperti d'un velo;
Da lontano rimbomban pel cielo
Cupi tuoni che han l'eco ne' cor:
De' celesti a chi va la minaccia,
La nuov'alba a chi reca dolor? [te,
S'ode un grido che appella: accorre-
Demolite, varcate le porte;
Non servaggio v' attende, non morte,
De' prodigi vedrete il maggior;
Per le tende, pei valli vedrete
Negli Assirj diffuso il terror.

Chi è costei che solleva cruenta, Boccheggiante, sul pugno una testa? Ogni turba a lei vola, s'arresta, Tace, agghiaccia alla vista fatal : È caduto che più vi sgomenta? Nel cimento qual ferro preval?

:

Chi è costei? del deriso Istraello È salvezza inchinate Giuditta : Fra' nemici, fra l'armi l'invitta, Sola, inerme, sollecita usci. Ferve il popol; del canto novello Al trionfo ella il guida così:

Lode al Nume che veglia, che regge La sua plebe, e gli estrani confonde: Dalla terra profana, dall' onde Guido salve le prime tribù:

Tutti un segno ne strinse, una legge, Arse tutti l'istessa virtù.

Cinque forti al novel condottiero, Minacciando, giuraron battaglia; Ei non teme, discende, si scaglia, De' fuggenti perseguita il vol: Parla al sole l'eletto guerriero E la luce prolunga del sol!

Fulminato il crudel Madianita, Che non osan le lance di Giuda?

E trionfo la guerra più cruda;
De' trionfi s'accresce la fè.
Chi dell' armi alla prova t'irrita,
Istrael, chi presume con te?

Smisurato l'orribil gigante Ogni ardire sgomenta, ogni possa; Ma già scaglia l'ardita percossa, Già lo coglie l'ignoto pastor : Son più diri nel diro sembiante Gli atti estremi, l'estremo furor. Di Betulia chi regge la figlia Sola, intatta nel campo deliro? Tronco immane l' indomito Assiro Senza moto, senz' ira restò. De' nemici la fronte, le ciglia Già l'eterna vendetta segnò.

Allungata una mano di foco, Nel profano vegliar delle notti, Ecco annunzia a' potenti corrotti La ruina ch' estrema sarà : Ne' covili d'inospito loco Altri bruto co' bruti vivrà.

Ma pietoso, ma provido a' figli Circoncisi, d'Abramo alla terra, Ogni rischio trionfa, ogni guerra, Della pace prolungane i di: Nella gioia, gran Dio, ne' perigli Il tuo popol t'adori così.

ALLE DONNE SICILIANE.

No, benchè il tempo muta
La fortuna de' regni e delle genti,
Non han foglia perduta

Le tue belle corone, o patria mia!
I sensi e le parole

Vivon di quanti meditar nascosi
Negli ozj generosi :

Vivono ancor gli altissimi portenti
De' gagliardi vetusti,
Vincitor ne' cimenti,

Fra palme, e spade, e riversati busti.
Deh! si lieto per noi rifulga il sole,
Deh! come il cor desia,

In noi l'ardire de' Sicani eroi,
L'antica tempra si rifonda in noi.

Se l'infingarda etade

I petti nostri al paragon non chiama Dell'ira e delle spade,

Oh ne' caldi pensier, nell' opre oneste Si riconforti l'alma!

Assai più giova di tenzoni e d'armi

La bell'arte de' carmi,

Che il sorriso di pace e gli ozj brama,
E ne lusinga e regge
A magnanima fama,

D'ogni affetto maestra e d'ogni legge.
Vile chi sdegna degli eroi la palma :
Saprà, nelle funeste

Cure invilito e ne' piacer bugiardi,

Come il rossor, se pur l'infiamma, è tardi.
E da quest' almo suolo
Arditamente d' animosa donna
Aprivan gl'inni il volo.

Oh quel vanto perchè più non s'agogna
Nel libero pensiero?

Perchè l'umili cure e l'ozio indegno
Tolgon foco all' ingegno,

Se qui di senno e di virtù colonna,
Qui preparava Nina,
Disdegnando la gonna,

Al divino Alighier l'arpa divina?

Deh, mel credete, ch'io favello il vero :
Il celarsi è vergogna.

Sorgete, o care, e della patria stanza
Con voi sorga l'ardire e la speranza.
Giovinezza non dura

Sulle gote vermiglie e sul bel crine
Per letizie o per cura,

E tutti spegne dell' etade il gelo
Quanti fiorian diletti,

Sin che si scavi all'ultima percossa
Un' obliata fossa.

Deh men crudeli di quaggiù le spine

Il bell' oprar ne renda,

Ben nate cittadine,

E del loco natio l'amor v'accenda!
Più sicure dovizie agl' intelletti

Non piovono dal cielo,

Ne soave lusinga o dolce incanto

È qui verace, ove sol dura il pianto.

Sicilia in noi riscossa

Rintegrerà l'indomito ardimento,

Le leggi sue,

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Ahi smisurato divampava intorno

Il morbo furibondo,

E le rapia l'alme più calde, i primi

Esemplari sublimi!

Senz'ira, senza onor,

Un popol si moria

Derelitto, sgomento,

senza cimento

Per le case dolenti e per la via.

Quanti del sogno che più ride al mondo
Eran sul primo giorno,

Quando s'affanna irrequieto il core,
Ne' dolci voti e nel desio d'onore!
O sfortunati nostri,

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