• Opponete co' petti un confin! Lento tocco di mesta campana, Per la patria che il braccio gli chiede, III. Son rotte le schiere, battuti i nemici.- Fu tromba di guerra ch' esalta ed accen- Giuditta novella, sfidando la morte Ci tolse all' obbrobrio d'infami ritorte, Sottrasse all'eccidio la cara città. Votiva una pietra l'Eccelsa rammenti Che in petto a futuri, se fiacchi, se spenti, Riaccenda quel fuoco che pari non ha! IV. Donne, cantiam di Cinzica Che nel notturno orrore Surse qual stella fulgida Guida a smarrite prore, E con sua luce vivida Le nubi in ciel fugò! Non come rosa, o mammola, Madri! donzelle! un palpito Come un profumo emanasi A. SCACERNI PROSPERI, DA FERRARA. ELEGIA NELL'INAUGURazione del BUSTO DEL MAR- QUANDO disciolta dal terreno ammanto E in te, cinta di lutto e di squallore, Tanta doglia mi punse e si cocente (1) La pompa funebre era preceduta dalla banda militare. (2) Poco dopo la morte di questo illustre soz getto si adunarono gli accademici Ariostea: al dolore per la recente sua perdita e le lodi di ta formarono l'argomento della maggior parte de loro componimenti, ANTICHE E MODERNE. Mesti temprano cantici e concenti, La mia a trattar negletta e taciturna Ma fioco il canto usci dal labbro mio, Chè troppo lungi da tant'alto segno Vorre' il silenzio mio serbare austero; Ma più del labbro è il cor ch'oggi te onoChè viva il cor la rimembranza serba [ra, Di tue virtudi, e serberalla ognora. Come la falce in prato i fiori e l'erba, Così abbatte il superbo, e in cieca fossa Morte il rovescia più di lui superba; Ma scende invan la sua fatal percossa Sempre risonerà su queste rive, Ve' fra il plauso comun, cinta di gloria E s'erge nell'albergo ampio e vetusto, T'era gradito il lor recinto, e spesso E aggirandoti intorno ai duri letti Si specchi in te chi gl' infelici sprezza Tu pur grande nascesti e in nobil cuna; Ma de' miseri a te la schiera umile Spregevole non parve, nè importuna : E mai nessun di loro avesti a vile, Chè a tutti aprivi quel tuo cor pietoso, Non so se più benefico o gentile. La desolata vedova, lo sposo, Oh quante volte penetrasti e quante, E a chi nato fra gli agi, e poi negletto Quest'altro è ben che arder cittadie ville Te non fer chiaro si fatali onori, Tu sparger vedi sul tuo cener muto E mentre sciolto da' terrestri nodi, Ve' per te rinnovarsi il nostro lutto, Ma sebben ci rammenti il nostro danno, ROSA TADDEI, DA NAPOLI. ALLA CONTESSA FARINI, DOLENTE PER LA MORTE DEL PADRE. VERSI tu vuoi pel padre Da me, Per noi non ha natura Ché per metà sol vive Chi perde il genitor. Ma almen tu baciar puoi lo che i miei giorni erranti Trar deggio ognor nel duolo, Più non vedrò quel suolo Ch'ultimo asil gli diė. Ne posero morendo A NOVELLO PARROCCO. EPISTOLA. Dalle sponde del Mela, ov'io m' assido, A te per sangue ed amistà congiunto (1), Spesso torna il pensiero, e al patrio nido. E nel mirar la cima a che sei giunto Inno di laude intono al Re del cielo, Chet' ha benigno alla grand' opra assunto. Oh te beato! in misterioso velo E la ricolmo degli eletti doni, Con quel Dio che vesti di carne e d'ossa L'increato suo spirto, e amante volle Solima far del proprio sangue rossa, [le, Con quel Dio che i redenti a gloria estolE sugli altari vi fa dir con Lui: Ecco l'agnel che le peccata tolle. Parmi udirlo con te parlar di nui, E confortarti a quella cura istessa Che fu la meta degli affetti sui. Oh in qual atto d'amore ei ti s' appressa! Oh di qual viva luce ti riveste! Oh qual parte di grazia è a te concessa! Per man ti prende, ed in sentiero agreste T'addita pascolanti pecorelle Sparse per le colline e le foreste. Di fango maculata avean la pelle; Ma guidandole al fonte cristallino Tornar le fe' qual pria candide e belle. Per indrizzarle tutte ad un cammino Uopo ei non ha d'adoperar vincastro; Basta la voce del labbro divino. (1) L'epistola è scritta a nome di un congiunto del buon sacerdote. Ma vespertino appare il lucid' astro Che richiama all'ovil lo sparso armento, E fa noto al pastore il suo disastro. Ahi le contò sull' alba, ed eran cento; Una fra quella greggia, una ne manca, Nè al suo presepe può tornar contento. Si guarda addietro, innanzi, a destra, a manca, Col noto suono a ritornar la esorta; Di qua, di là volge e rivolge il piede, La richiama più volte, e via si caccia Su per balze e dirupi, infin che vede Sparsi fiocchi di lana, orrida traccia Che fra i dumi lasciò quella smarrita, Cui corre incontro con aperte braccia. Teme la pecorella sbigottita, Meritato castigo al proprio errore, Sotto i colpi di lui lasciar la vita; Ma quel pastor tutto dolcezza e amore Pietosamente la raccoglie in seno, E d'ogni tema le conforta il core: Chè se accorto a vederla era egli meno, Dalle sue tane il lupo ingordo uscia, E di lei facea pasto al ventre osceno Cosi tu pur dovrai veloce e pia Stender la mano alle accecate genti Che avran perduta di virtù la via, E col suon di soavi e miti accenti Non atterrir colla minaccia il tristo, Segui l'esempio di chi offri per noi Sarai d'onor, di riverenza obbietto All'uom che t'oda e volga in te le ciglia; Del popolo l'amor, di Dio lo eletto, Presidio e gioja della tua famiglia. Veglian sopra la scossa muraglia Al chiaror delle fioche lucerne, Della luna par sangue la faccia ; Chi è costei che solleva cruenta, Boccheggiante, sul pugno una testa? Ogni turba a lei vola, s'arresta, Tace, agghiaccia alla vista fatal : È caduto che più vi sgomenta? Nel cimento qual ferro preval? : Chi è costei? del deriso Istraello È salvezza inchinate Giuditta : Fra' nemici, fra l'armi l'invitta, Sola, inerme, sollecita usci. Ferve il popol; del canto novello Al trionfo ella il guida così: Lode al Nume che veglia, che regge La sua plebe, e gli estrani confonde: Dalla terra profana, dall' onde Guido salve le prime tribù: Tutti un segno ne strinse, una legge, Arse tutti l'istessa virtù. Cinque forti al novel condottiero, Minacciando, giuraron battaglia; Ei non teme, discende, si scaglia, De' fuggenti perseguita il vol: Parla al sole l'eletto guerriero E la luce prolunga del sol! Fulminato il crudel Madianita, Che non osan le lance di Giuda? E trionfo la guerra più cruda; Smisurato l'orribil gigante Ogni ardire sgomenta, ogni possa; Ma già scaglia l'ardita percossa, Già lo coglie l'ignoto pastor : Son più diri nel diro sembiante Gli atti estremi, l'estremo furor. Di Betulia chi regge la figlia Sola, intatta nel campo deliro? Tronco immane l' indomito Assiro Senza moto, senz' ira restò. De' nemici la fronte, le ciglia Già l'eterna vendetta segnò. Allungata una mano di foco, Nel profano vegliar delle notti, Ecco annunzia a' potenti corrotti La ruina ch' estrema sarà : Ne' covili d'inospito loco Altri bruto co' bruti vivrà. Ma pietoso, ma provido a' figli Circoncisi, d'Abramo alla terra, Ogni rischio trionfa, ogni guerra, Della pace prolungane i di: Nella gioia, gran Dio, ne' perigli Il tuo popol t'adori così. ALLE DONNE SICILIANE. No, benchè il tempo muta Le tue belle corone, o patria mia! Vivon di quanti meditar nascosi Vivono ancor gli altissimi portenti Fra palme, e spade, e riversati busti. In noi l'ardire de' Sicani eroi, Se l'infingarda etade I petti nostri al paragon non chiama Dell'ira e delle spade, Oh ne' caldi pensier, nell' opre oneste Si riconforti l'alma! Assai più giova di tenzoni e d'armi La bell'arte de' carmi, Che il sorriso di pace e gli ozj brama, D'ogni affetto maestra e d'ogni legge. Cure invilito e ne' piacer bugiardi, Come il rossor, se pur l'infiamma, è tardi. Oh quel vanto perchè più non s'agogna Perchè l'umili cure e l'ozio indegno Se qui di senno e di virtù colonna, Al divino Alighier l'arpa divina? Deh, mel credete, ch'io favello il vero : Sorgete, o care, e della patria stanza Sulle gote vermiglie e sul bel crine E tutti spegne dell' etade il gelo Sin che si scavi all'ultima percossa Deh men crudeli di quaggiù le spine Il bell' oprar ne renda, Ben nate cittadine, E del loco natio l'amor v'accenda! Non piovono dal cielo, Ne soave lusinga o dolce incanto È qui verace, ove sol dura il pianto. Sicilia in noi riscossa Rintegrerà l'indomito ardimento, Le leggi sue, Ahi smisurato divampava intorno Il morbo furibondo, E le rapia l'alme più calde, i primi Esemplari sublimi! Senz'ira, senza onor, Un popol si moria Derelitto, sgomento, senza cimento Per le case dolenti e per la via. Quanti del sogno che più ride al mondo Quando s'affanna irrequieto il core, |