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Chè il fiume col fragor di sua caduta
Fa divenir la gente e sorda e muta.

La potreste suonar gighe e furlane,
Là far trilli, passaggi e ricercate,
Che quelle nazion catadupane
Non udirebber le vostre suonate,
Nè potrebbe distinguersi tra' sordi
Il vostro suon se accordi o se discordi.
Ma qui tra noi nella canora Italia,
Ove armonica abbiam l'anima ei sensi,
E dove appena usciti siam di balia
Par che cantori a divenir si pensi;
Un falso tuon da più fastidio e smania
Che un febril parossimo, un' emicrania.
Cosa il vostro guardian, cosa diria,
Se in cattedra montar volesse il cuoco,
E ai novizi sipegar teologia,

La pentola e il paiol lasciato al fuoco,
E in vece di trattar la cazzaruola,
Far pretendesse il baccelliere in scuola?

E pure a un cuoco accorderei piuttosto
Che in cattedra dicesse uno sproposito,
Che in cucina sciupar lesso ed arrosto,
Ed intingoli far malapproposito ;
Più gravemente assai mi par che pecchi,
Se alcun ci strazia l'anima e gli orecchi.
Il confuso rumor di fuse e crome,
Il disgustoso orribile frastuono,
La dissonanza irregolar, cui nome
Usate dar di musica e di suono,
Con tal forza il cervel mi urta e mi pesta,
Che per gran tempo mi rimbomba in testa.

Cosi chi lungamente andò per barca, Ed il contrasto udi d'Affrico e Noto, E poi sul patrio lido appena sbarca, Per grazia ricevuta appende il voto; O dorma solo o colla sposa insieme Sempre gli sembra udire il mar che freme.

La musica, che ha origine celeste Ed è si bella e dilettevol cosa, Deforme in guisa tal voi la rendeste, Che in vostre mani è divenuta esosa; Le avete tolta e grazia e leggiadria, E non si sa che diavolo si sia.

Mi ricordo aver letto in un autore, Che, se Alessandro Magno il suono udia, Montava in tanta collera e furore Che dava sempre in qualche frenesia: L'ira che in lui destava il suono, or voi Col vostro suono la destate in noi.

Che se non fosse pel timor d'Iddio E per riguardo alle genti del mondo, Quando vi odo suonar non so quel ch'io Farei spinto da strano estro iracondo;

So ben che faccio ogni sforzo che posso
Per non mettervi fin le mani addosso.

E io potrei provar con più d'un passo
E cogli esempii tratti dal Vangelo,
Che per toglier lo scandalo ed il chiasso,
Non saria riprobabile tal zelo,
Chè talor la mia testa entusiastica
Si picca anche di storia ecclesiastica.
E so che Cristo colla sferza in mano
Cacciò dal Tempio, a forza di frustate,
Color che vi facevano il baccano
Vendendo alle persone ivi adunate
Di polleria venale ampio apparato,
Come alla fiera stessero o al mercato.

E forse Egli provò con questo esempio, Che color che vi fan confusione Si devono cacciar fuori del Tempio A forza anche di frusta e di bastone : Or dunque giudicar lascio a voi stesso Se trattarvi del par non sia permesso.

Se suonate un' antifona, un mottetto, Un vespero, una messa, un tantum ergò, Si suscita uno strepito ed un ghetto Nel luogo sacro e d'orazione albergo, Che la chiesa si cangia in sinagoga, Onde in risa ed in belle ognun si sfoga.

Credea talun che l'armonie celesti Che con i moti lor fanno le sfere, Modello sian dell' armonia di questi Terrestri accordi che ci dan piacere ; Ma quel vostro suonar cosi bestiale, È d'un gusto diabolico e infernale.

Quando un tempo a suon d'organo e di

cetra

Intuonava i suoi cantici il Salmista,
In cui talor da Dio perdono impetra,
E s'allegra talor, talor s'attrista,
Con armonico suono e dolce canto
Destava in Israello or gaudio or pianto.
E se laudate in cymballis dicea,
Dicea benè sonantibus ancora,

E con ciò chiaramente dir solea,
Che nella chiesa, ove il gran Dio si adora,
Non si deve far strepito insolente,
Ma si deve suonar soavemente.

E nel dì della gran dedicazione
Un grato suono d'organi s'udía
Nel tempio risuonar di Salomone,
Che l'aere intorno di docezza empía.
E il popol rispondea in varii modi,
Lieto cantando del gran Dio le lodi.

E in vero quando è il suon soave e grato Cagiona inesplicabile dolcezza,

E un sentimento molle e delicato,

Ed un moto nel cuor di tenerezza;
Ma se il suono non è grato e perfetto
Sollecita la collera e il dispetto.

Quindi se in chiesa qualche sinfonia
Coll'organo suonate, io fo scommessa
Che per la rabbia il popolo va via.
E perde bisognando anche la messa;
Onde il suon ch'eccitar dovrebbo al bene
Occasion di scandalo diviene.

Talora alla campagna il villanello D'un campanaccio al suon raccoglie e chiama,

Al solito alveare od al coppello

Qualche sbandato stuol d'api che sciama;
Ma voi col suon dell' organo fugate
Le genti nelle chiese radunate.

Che se smania si strana e insuperabile
Desta l'organo in voi, perchè piuttosto
Non vi comprate un organin portabile?
Che non potrebbe incomodarvi il costo,
E, sempre che si vuol, suona qualora
Si giri un certo manico di fuora.

Con tal organo in collo il vagabondo Terrazzan di Germania e di Savoia Assai sovente errando va pel mondo; Con quello voi minor fastidio e noia

Almen dareste agli uditor profani,
Saltimbanchi imitando e ciarlatani.
Rammentar col vostr' organo mi fate
D'Astolfo il corno, che quando s'udía
Fuggivano le genti spaventate,
Ei cuori più costanti intimoría,
Ed ognuno a quel suon fuggia veloce
Come i diavoli fuggono la croce.

[ta
Mainnoltre il vostro suon fastidio appor-
Ai bruti, e in lor produce effetti strani,
Chè al liminar della sacrata porta
Spesso quando suonate urlano i cani,
Come sogliono fare allorchè tuona,
O loro altro rumor l'orecchia introna.
Se suonando la cetera Anfione
Corse il tonno ad udir, corse il delfino;
Se colla lira Orfeo calmò Plutone,
E addormentò il trifauce mastino,
Il vostro organo dà tali molestie
Che fa lungi fuggire uomini e bestie.

Risoluzione adunque, e fate voto
Non esser più coll'organo molesto,
E non turbare il popolo devoto;
Ed agli altri tre voti unite questo;
Ma vorrei, per parlar tra voi e me,
Che l'osservaste più degli altri tre.

POESIE LIRICHE.

ANACREONTICHE.

NON CURA IL POETA DI CANTAR GUERRE OD ARTI, MA SOLO CANTA DI AMORE PER PIACERE ALLE donne.

Io non vo' di squadre armate
Cantar l'ire sanguinose,
E le guerre detestate

Dalle madri e dalle spose;

Nè cercar vo' negli oggetti
Che al mio sguardo offre Natura,
Di si strani e varii effetti
La cagione incerta, oscura.
Gaio umor, placido ingegno
A me dièro amici i numi,
E da grave aspro contegno
Alienissimi costumi.

Cantar vo' di Dori e Fille,
Ed esporre in dolce stile
Idee facili e tranquille,
Grate sempre a un cor gentile;
Aureo crin, pupille nere,
Molli sdegni e molli amori,
Cose tai che con piacere
Legger possa e Fille e Dori.

Donne belle che ascoltate
Di mie rime il vario suono,
Se mie rime a voi son grate,
Più non vo'; contento io sono.
Abbia pur suo nobil vanto
La famosa argiva tromba,
Che cantò quei che del Xanto
Su le rive ebber la tomba.

Ne men denno in pregio aversi
Quelle menti alte e divine
Che raccor potêro in versi
Filosofiche dottrine :

Io temprar di quella cetra
Vo' le corde argute e pronte
Per cui va famoso all' etra
L'amoroso Anacreonte.

Pien di grazia e di vivezza Canti Bacco, o canti Amore, Di un piacer, di una dolcezza Sempre nuova inonda il core.

Voglia il Ciel che in parte anch'io

Sparger possa i versi miei
Di quel vezzo e di quel brio,
Dono sol de' sommi Dei;
Sicchè mai del compiacente
Genio vostro io non abusi,
E non stanchi a voi la mente
Con pensieri oscuri, astrusi :
Ma si appaghi e si riposi
La tranquilla fantasia
Su i concerti dilettosi
Della facil poesia.

Ne crediate, o donne care,
Ch'io nel cor nutra desio
Che varcati e monti e mare
Sia famoso il nome mio :

Gli alti pregi io non mi ascrivo
De' gran vati e degli eroi :
Donne mie, s'io canto e scrivo,
Scrivo e canto sol per voi.

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Su i campi libici

Ampie semente,

E ognor fa a Cerere

Voti e promesse,
Se giunga a mietere

La ricca messe :

Chi sotto il carico
D'elmo e lorica
Affronta intrepido
L'oste nemica;

Onde alto e celebre
Onor riporte,
Che a prezzo vendesi
Di sangue e morte :
Chi fra giuridici
Studi s'involve,
E l'altrui dubbia
Ragion risolve:

E chi ognor vigile
In suo pensiero
Sostien le pubbliche
Cure d'impero.
lo, finché Apolline
Carmi m'ispira
Al suon di eburnea
Etrusca lira,

Finchè spregevole
Non mi deprime
Povertà sordida,
Che i spirti opprime,
Non curo i splendidi
Fastosi onori,
Di Creso e di Attalo
Sprezzo i tesori ;
Në me fra vigili
Cure vedrai
La pace perdere
Del cuor giammai;

Ne dietro correre
A un dubbio bene,
Frutto tardissimo

Di lunghe pene.
Ponmi fra gli orridi
Geli di Scizia,
O nella inospita
Arsa Negrizia;
Ponmi fra i strepiti
Di città lieta,
O in solitudine
Tranquilla e cheta :
Ognor lietissimo
Ognor beato

Vivrò nell' aureo
Mediocre stato.

Tra lusinghevoli
Desir fallaci
Passano, o Fillide,
I di fugaci;

E intanto perdesi
Ogni momento,
In cui non godesi
Pace e contento:
Perciò, se placide
Mi volgi, o Fille,
Quelle bellissime
Care pupille;

Se i pronti cantici
Mi detta Amore,
Loquela armonica
Di un lieto core;
Benchè la frigida
Vecchiezza il crine
Mi venga a spargere
Di bianche brine,
Sul verde margine
Del tosco fiume,
Ripieno l'animo
Del sacro nume,
Spesso fra i lirici
Canori vati
M'udirai tessere
I carmi usati :
Udirai spandere
La cetra mia
Anacreontica
Dolce armonia:

E sempre, o Fillide,
Sarai, qual sei,
Soggetto amabile
De' carmi miei.

A DORI

STUDIOSA DI FILOSOFIA

LA DISSUADE DALL' APPLICARSI AI FILOSOFICI STUDI.

LASCIA una volta, o Doride,

Le gravi cure e i studi,
Su cui si intenta ed avida
E ti affatichi e sudi.

Perchè passar la tenera
Giovin età che fugge,
In frenesia si strania,
Che ti consuma e strugge?
Che importa a te se Venere

Del Sol traversa il disco,

Se noto fu il fenomeno,

O ignoto al tempo prisco?

O qual furor di apprendere

La causa che colora
Di ascension si lucida
La boreale aurora?

Se allor chiaro riverbero
L'aere dal Sol riceve,
O se nel di, qual fosforo,
De'rai solar s'imbeve?

O se dal cerchio torrido
Spinta l'eterea luce
Intorno al pigro e frigido
Polo si aduna e luce?

Qual nodo impercettibile
Alla corporea salma
Con armonia mirabile
Insiem congiunge l'alma ?

Come irritati i muscoli
Scuotansi pronti al moto,
E come sia de' tendini
O nullo il senso o ignoto ?
Come ogni lieve e minima
Sensazion de' nervi
Pronta si porti all' anima,
Ne moto in quei si osservi?
Tu fai restarmi attonito,
Vezzosa Dori mia,

E non poss' io comprendere
Come possibil sia

Che così bella e giovine,

Ogni piacer tu lasci,
E ognor di filesofici
Gravi pensier ti pasci.

Chè ogni qualvolta, o Doride,
A farti omaggio io venni,
Te su i quadrati e i circoli
Fissa talor rinvenni;

L'occhio talor di limpido
Cristal convesso eletto
Armar ti vidi, e scernere
Alcun minuto insetto;

Talor di corpi elettrici
L'attrazion cercavi,
O l'oscillar de' pendoli
Col discender de' gravi.

Lascia una volta, o Doride,
Lascia si strano impegno,
Che il gaio umor t'intorbida,
E stanca il molle ingegno.
In su le carte assidui
Sudino al caldo, al gelo
Color, che il mento coprono
D'ispido e folto pelo ;

O quei che smunti e pallidi
Tuttora han per costume
Di trarre intere e vigili
Le notti al tardo lume.
Tu non déi leggi e regole
D'alto saper proporre,
Ne al gran savio dell' Anglia
Nuovi sistemi opporre ;

Ne mai vedrà te femmina
La gioventù toscana
Su le famose cattedre
Spiegar dottrina arcana.
Atti più dolci e facili
E assai più molle cura,
O gentil Dori amabile,
Ti destino Natura.

La lingua al canto sciogliere,
Doride mia, tu devi,
E il piè danzando muovere
Con passi giusti e lievi;

O dal sonoro cembalo
Or lieta trarre, or grave
Con dotta mano e rapida
Bell' armonia soave;
Ovver leggiadri esprimere
In gallica favella
Sensi che più convengano
A giovin donna e bella.

Fia tuo piacer degl' itali
Vati che il mondo onora,
Ornar la mente e pascere
Coi dolci carmi ancora.

Degna pur sia di laude
Ninfa gentil, se apprende
De' tempi in su le storie
Gli eventi e le vicende :

Se di tai pregi, o Doride,
Ti appagherai soltanto,
Avrai distinto e celebre
Fra chiare donne il vanto.

Ma di te indegne credere
L'arti non déi del sesso;
Chè arte a natura aggiugnere
Talora è a voi permesso.

Come più al volto addicesi
Orna e disponi il crine,
E gentilmente adattati
Le fogge pellegrine;

Che ingrata al Ciel benefico
Donna con fier dispregio,
Ne oscurar dee, né ascondere
Di sua bellezza il pregio.

Cosi su i cor, su gli animi, Doride mia vezzosa,

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