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Mirate e inorridite. Oh popol cieco,
Nelle geste d'onor codardo, e solo
Coraggioso al delitto, ecco del tuo
Gracco l'imprese: Emilian strozzato,
Lentulo trucidato, ingombra tutta
Roma di stragi, e le più illustri vite
In estremo periglio. E che più resta
Al suo furore? e noi, che facciam noi?
Aspettiam forse che costui ci sveni
Fra' domestici Dei le spose, i figli,
E noi sovr'essi? Eh prendavi vergogna
Della vostra viltà, dell' error cieco
Che vi fece adorarlo. lo, rivestito
Di quel poter che a pubblica salute
Il senato m' affida, io vi dichiaro
Gracco nemico della patria, e a prezzo
Ne pongo la rea testa che consacro
Agl' infernali Dei. - Padri, stendiamo
Tutti la man su quest' esangue, e tutti
Giuriam di vendicarlo.

(I Senatori stendendo la mano sul ca-
davere.)

Il giuro.

OPIMIO.

Or parte

Di voi prenda la via speditamente
Della porta Capena, ed accompagni
Agli aviti sepolcri l'onorato
Cadavere. Con meco il resto venga.
Via gl'indugi. - Littori, alto le scuri;
Soldati, all' armi; senatori, il ferro
Fuor delle toghe: ardire. Io vi precedo.

ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

LICINIA.

QUAL lugubre silenzio ! ohimè, qual mesta
Solitudine! il Foro abbandonato,
Le vie deserte, nè passar vegg'io
Che dolorose inorridite fronti

Di lagrimanti vecchi; altro non odo
Che gemito di madri, ed ululato
E singulti di spose che, plorando,
Ridomandano i figli ed i mariti.

E anch'io qui gemo, e ridomando al cielo
Il crudel che nel pianto m'abbandona.
Si, crudele, tu, Cajo! E lo potesti,
Tu lasciarmi potesti! e tutte indarno

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Restituita, allor che Fulvio ad ira
Nuovamente il commosse; e della strage
Ch'or si consuma, eccitatore, e a un tempo
Fu vittima egli stesso. Ora nel mezzo
Della mischia è il tuo sposo, e la sua vita,
Non vo' ingannarti, in gran cimento. Io
corsi

Per fargli scudo del materno petto,
Per porgli almanco nelle mani un ferro,
Chè un ferro il tengo. Ma l'immensa folla
Vietollo; e d'ogni parte in un momento
Di pugnali, di lance e di trafitti
Circondata mi vidi, e a qui tornarmi
Ogni sentier preciso. Io nondimeno
Mossi animosa in mezzo all'armi, e l'armi
Mi diér per tutto riverenti il passo.
Mentre che fra le stragi e fra le grida
Altri accorre, altri fugge, ed io, la sponda
Del Velabro tenendo, inorridita
Sollecitava a questa volta il piede,
In lontananza vidi... oh Dio! che vidi!..
E che racconto io mai?

LICINIA.

Madre, finisci Di straziarmi; prosegui. E che vedesti, Di', che vedesti?

CORNELIA.

Oh figlia !... aste, bipenni, E snudati pugnali, e senatori E littori e soldati, e innanzi a tutti L'implacabile Opimio: e dove ei corra, Contro qual seno sian tant' armi ed ire, Tu l'intendi... Ma, deh! non darti in preda A dolor disperato. Alto è il periglio Del tuo consorte, mo più alto, credi, Il suo coraggio; e vi son Numi in cielo.

LICINIA.

[dre, Sì, ma non giusti. Ed in quai Numi, o maAver più speme? In quelli al cui cospetto Fu l'innocente tuo Tiberio ucciso? Vuoi che da questi del mio sposo attenda La salvezza? Da questi? Oh me deserta! Misero Cajo! A chi dovrolla io dunque Dimandar? Chi sarà che ti soccorra? Meglio mi fôra supplicar le tigri; Meglio mi fora dimandarla ai venti, Alle burrasche, al mar che tu sfidasti Per qui venire a salvar Roma oppressa. Oh della patria amor fatale! Oh cruda Della virtù mercede! Or dove, ahi lassa! Dove il pie porterò, che del perduto Mio consorte il pensier non mi persegua? Qui la ragion del popolo ei tonava, E i perversi atterri : quivi la plebe

SCENA VIII.

Suo padre il saluto; suo salvatore
Colà i legati delle genti; a tutti
Ei largia beneficii; era di tutti
La speranza, l'appoggio; e tutti, oh vili!
L'abbandonår. Deh, voi, romani colli,
Voi vendicate la virtù tradita,
Scotete i fianchi, rovesciate al piano
Questa iniqua città, che nido è fatta
Di tiranni e d'ingrati, e me sovr' essi,
Me seppellite nelle sue ruine.

CORNELIA.

Mi sbrana il cor.

SCENA VI.

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Da' Cretensi inseguito, e dimandando
A tutti un ferro per morir da forte,
E negandolo tutti, l'infelice
Con virtù disperata a darsi in preda
De' nemici correa, di vita schivo
E prodigo dell' alma. Le preghiere
Istanti, e molte de' rimasti amici
Lo distornar con forza dal feroce
Proponimento, e un pio dover gli féro
Di serbarsi alla patria, che precetto
Di vivere ne fa quando il morire
Inutilmente ad essa è codardia,
E il vivere coraggio. Allor, da tanto
Pregar forzato ei più che persuaso,
Torse le piante, e ricovrossi al bosco
Consecrato alle Furie.

CORNELIA.

... E che racconti Tu de' Gracchi alla madre? Una vil fuga Posto ha in salvo il mio figlio?

TERZO CITTADINO.

A sgherri infami

Dovea dar egli con più vil partito Così nobile vita?

CORNELIA.

E non avevi

Tu dunque un ferro?

TERZO CITTADINO.

Pe' nemici il ferro; Per gli amici il mio sangue : e questo, o donna,

Dato gli avrei se mel chiedea. - Furente
Per lo scampo di Cajo, Opimio intanto
Co' feroci patrizi e i suoi di Creta
Sagittari crudeli un dispietato
Fa macello de' nostri, e d'ogni parte
I resistenti uccide, e ne' fuggenti
Saettar fa la morte. In sul Sublicio

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DI UGO BASSEVILLE,

CANTICA.
(1794.)

NOTIZIE.

NICOLA GIOVANNI DE BASSEVILLE era nativo d'Abbeville, città riguardevole della Francia, e dopo Amiens la più popolata della Piccardia inferiore, rinomatissima per l' eccellenza delle sue tinte, di cui provvede tutta l'Europa. Il padre di lui, che ivi esercitava l'arte del tintore, osser vando dei talenti nel figlio, e desiderando migliorarne la fortuna e la condizione, l' incamminò per la strada ecclesiastica. Il giovane, per secondare la paterna intenzione più che la propria inclinazione che lo traeva particolarmente verso le belle lettere, si applicò di proposito agli studi teologici ; nei quali cadde in sospetto, che la purità delle massime non andasse del pari colla rapidità del profitto. Comunque sia, ottenuta prestamente una cattedra di teologia, prestamente se ne dimise; e lasciati quegli studi all' indole sua non confacenti, si abbandonò nuova. mente all'amenità delle lettere, e si portò à cercare nell' antica Parigi un'altra fortuna.

Ivi giunto s'insinuò, destro com'era, nella grazia d'un gran personaggio, che seco il tenne qualche tempo in qualità di bibliotecario e di bello spirito. Fu allora, che due giovani Americani delle colonie inglesi essendo capitati a Parigi con raccomandazioni particolari a quel Ministero, fu scelto il Basseville (forse per la mediazione dell' illustre suo protettore) a compagno ed aio di questi due viaggiatori nel giro che intrapresero della Germania: nel che egli liberò così bene il suo debito, che ne fu premiato colla cospicua pensione di tremila lire; nelle quali consistè tutta la privata sua rendita.

Durante il detto viaggio scontrossi a Berlino con Mirabeau il maggiore; quello cioè che nelle prime scosse del regno di Francia, mostrò e fè valere de' vizi e de' talenti pari alla grandezza di quel tempo calamitoso; e consonando di mas. sime e d'opinioni, si strinse con esso in legami di particolare amicizia.

Nella sua dimora a Berlino, quella reale Accademia lo ascrisse a' suoi membri, con uno de' quali sostenne un'acre contesa letteraria sul me rito degli Scrittori Francesi, che l' altro aveva malmenati in certo suo libro. Fu questi il celebre Carlo Denina Istoriografo del gran Federico, autore dell' opera tanto applaudita delle Rivoluzioni d'Italia, e dell'altra tanto mediocre dell' Istoria letteraria della Grecia, e di un' altra an

cora di minor merito, intitolata Bibliopea, o sia l'Arte di compor libri.

Di là Ugo venne in Olanda a fine d'istruirsi profondamente nel commercio: e scrisse sopra il commercio medesimo un poema, che dicesi, non facesse torto al suo autore. Pubblicò in appresso gli Elementi di Mitologia coll' analisi d'Ovidio, di Omero e di Virgilio, opera ragionata, e nei giornali di Francia ricordata con lode: compose inoltre un volume di poesie d'ogni genere, le quali lo palesarono uomo di brillante immaginazione, e insieme di depravati costumi : avendole sparse in più luoghi di quelle scellerate ed empie eleganze, delle quali Marot aprì la fonte, da cui venne inondata (così non fosse!) e contaminata tutta la Francia. Nel 1784, epoca della pubbli cazione de' suoi Elementi di Mitologia, pubblicò pure un libro intitolato: Mescolanze erotiche ed esotiche; ed il Compendio della vita di Francesco Le Fort cittadino di Ginevra e Ministro di Pietro il Grande.

Cominciò intanto la Rivoluzione, il più grande e il più funesto degli avvenimenti politici che siano mai accaduti sul globo; rivoluzione, che spaventa il pensiero quando vuolsi meditarla, e a cui la tarda posterità difficilmente presterà fede. Nei primi tempi della medesima egli fu abbastanza giusto per attenersi al partito del Re; e lo fece conoscere nella sua qualità d'uno de' compilatori del giornale, che aveva per epigrafe : Il faut un Roi aur Français; ed era intitolato : Mercurio Nazionale, o Giornale di Stato e del Cittadino, che fini nel 1791. Lo stesso sentimento avea sviluppato anche nella Istoria, che intraprese, della Rivoluzione, pubblicata nel 1790 in due tomi e dedicata al marchese de La Fayette suo grande amico; e indi a non molto magnificamente ristampata, ma non terminata, sotto il titolo: Memorie istoriche e critiche della rivoluzione di Francia con tutte le operazioni dell' Assemblea nazionale. Dalla lettura di quest'opera è agevole cosa il comprendere, che i suoi principii non tendevano allora a quel democratico fanatismo, a cui sedotto o dal timore o dall' ambizione o dal bisogno, o da tutti insieme questi motivi, si diede sventuramente in appresso. Lo stile è facile e pronto, ma non esattissimo: e questa sua prodigiosa facilità di esporre e colorire le proprie idee gli costituiva una certa ardita ma naturale eloquenza, che ingannava e persuadeva. Aggiungi significante compostezza di volto, pa

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