Sotto il taglio fatal; l'altro ve 'l tira. Per le sacrate auguste chiome il tenne La terza Furia, e la sottil rudente Quella quarta recise alla bipenne. Alla caduta dell' acciar tagliente S'apri tonando il cielo, e la vermiglia Terra si scosse, e il mare orribilmente. Tremonne il mondo, e per la maraviglia E pel terror dal freddo al caldo polo Palpitando i Potenti alzar le ciglia. Tremò Levante ed Occidente. Il solo Barbaro Celta in suo furor più saldo Del ciel derise e della terra il duolo: E di sua libertà spietato e baldo Tullo le stolte insegne e le man ladre Nel sangue del suo Re fumante e caldo. E si dolse chè misto a quel del Padre Quello pur anco non scorreva, ahi rabbia! Del regal Figlio e dell' augusta Madre. Tal dilioni un branco, a cui non abbia L'ucciso tauro appien sazie le canne, Anche il sangue ne lambe in su la sabbia. Poi ne' presepi insidiando vanne La vedova giovenca ed il torello, E rugghia, e arrota tuttavia le zanne : Ed ella, che i ruggiti ode al cancello, Di doppio timor trema, e di quell' ugne Si crede ad ogni scroscio esser macello. Tolta al dolor delle terrene pugne Apriva intanto la grand' Alma il volo, Che alla prima Cagion la ricongiugne. E ratto intorno le si fea lo stuolo Di quell' Ombre beate, onde la Fede Stette, e di Francia sanguinossi il suolo. E qual le corre al collo, e qual si vede Stender le braccia, e chi l'amato volto, E chi la destra, e chi le bacia il piede. Quando repente della calca il folto Ruppe un' Ombra dogliosa, e con un rio Di largo pianto sulle guance sciolto, Me, gridava, me me lasciate al mio Signor postrarmi, oh date il passo. E presta Al pie regale il varco ella s'aprío. Dolce un guardo abbassò su quella mesta Luigi: e, Chi sei? disse: e qual ti tocca Rimorso il core! e che ferita è questa? Alzati, e schiudi al tuo dolor la bocca. ё Terror d'Egitto, e d'Israel conforto. E se monta in furor, l'aste e gli stocchi Sa spezzar de' nemici, e par che gridi: Son la forza di Dio, nessun mi tocchi. Questo Leone in Vaticano io vidi Far coll' antico e venerato artiglio Securi e sgombri di Quirino i lidi; E a me, che nullo mi temea periglio, Fe' con un crollo della sacra chioma Tremanti i polsi, e riverente il ciglio. Allor conobbi che fatale è Roma, Che la tremenda vanità di Francia Sul Tebro è nebbia che dal Sol si doma; E le minacce una sonora ciancia, Un lieve insulto di villana auretta D'abbronzato guerriero in su la guancia. Spumava la Tirrena onda suggetta Sotto le Franche prore, e la premea Il timor della Gallica vendetta; E tutta per terror della Scillea Latrante rupe la selvosa schiena Infino all' Alpe l'Appennin scotea. Taciturno ed umil volgea l'arena L'Arno frattanto, e paurosa e mesta Chinava il volto la regal Sirena. Solo il Tebro levava alto la testa, E all' elmo polveroso la sua donna In Campidoglio rimettea la cresta. E divina guerriera in corta gonna Il cor più che la spada all' ire e all' onte Di Rodano opponeva e di Garonna; In Dio fidando, che i trecento al fonte (1) D'Arad prescelse, e al Madianita altero Fe' le spalle voltar, rotta la fronte. In Dio fidando, io dico, e nel severo Che del Varo sommersero l'antenne (2, Bagno di pianto i rai. Per lo dolore La tua Roma fedel pianse con ello. Poi cangiate le lagrime in furore Corse urlando col ferro, ed il mio petto Cerco d'orrende faci allo splendore: E spense il suo magnanimo dispetto Si nel mio sangue, ch'io fui pria di rabbia, Poi di pietade miserando obbietto Eran sangue i capei, sangue le labbia, E sangue il seno; fe' del resto un lago E me, cui tema e amor rendean presago (3) Di maggior danno, e non avea consiglio Più che la morte, combattea l' immago Dell' innocente mio tenero figlio E della sposa, ahi lasso! onde paura Del lor mi strinse, non del mio periglio. Ma come seppi che paterna cura Di Pro salvi gli avea, brillommi il core, E il suo sospese palpitar natura. Lagrimai di rimorso, e sull'errore (4) Che già lunga stagion l'alma travolse, La carità poteo, più che il terrore. Luce dal ciel vibrata allor mi sciolse Dell' intelletto il buio, e il cor pentito Al mar di tutta la pietà si volse. L'ali apersi a un sospiro, e l'infinito Amor nel libro, dove tutto è scritto, Il mio peccato cancello col dito. Ma giustizia mi niega al ciel tragitto, E vagante ombra qui mi danna, intanto Che di Francia non vegga ulto il delitto. Questi mel disse, che mi viene accanto [to (Ed accennò'l suo duca), e che m'ha tolAlla fiumana dell'eterno pianto. Tutte drizzaro allor quell' alme il volto Al celeste campion, che in un sorriso Dolcissimo le labbra avea disciolto. Or tu per l'alto Sir del Paradiso, Che al suo grembo t'aspetta e il ciel disserra, [so) (Prosegui l'Ombra più infiammata in viPer le pene tue tante in su la terra, Alla mia stolta fellonía perdona, Ne raccontar lassù che ti fei guerra. Tacque, e tacendo ancor dicea: Perdona; E l'affollate intorno Ombre pietose Concordemente replicâr: Perdona. Allor l'Alma regal con disïose Braccia si strinse l'avversaria al seno, E dolce in caro favellar rispose : Questo amplesso ti parli, e noto appieno Del Re, del padre il core e dell'amico Ti faccia, e sgombri il tuo timor terreno. Amai, potendo odiarlo, anco il nemico; Or m'è tolto il poterlo, e l'alma spiega Più larghi i voli dell' amore antico. Quindi là dove meglio a Dio si prega, Il pregherò che presto ti discioglia Del divieto fatal che qui ti lega. Se i tuoi destini intanto, o la tua voglia Alla sponda giammai ti torneranno, Ove lasciasti la trafitta spoglia; Per me trova le due che là si stanno (5) Mie regali Congiunte, e che gli orrendi Piangon miei mali, ed il più rio non sanLieve sul capo ad ambedue discendi [no. Pietosa vision (se la tua scorta Lo ti consente), e il pianto ne sospendi. Di tutto che vedesti annunzio apporta Alle dolenti: ma del mio morire Deh! sia l'immago fuggitiva e corta. Pingi loro piuttosto il mio gioire, Pingi il mio capo di corona adorno Che non si frange, nè si può rapire. Di' lor che feci in sen di Dio ritorno, Ch'ivi le aspetto, e là regnando in pace, Le nostre pene narreremci un giorno. Vanne poscia a quel grande, a quel verace Nume del Tebro, in cui la riverente Europa affissa le pupille e tace; Al sommo Dittator della vincente Repubblica di Cristo, a Lui che il regno Sorti minor del core e della mente: Digli che tutta a sua pietà consegno La Franca Fede combattuta; ed Egli Ne sia campione e tutelar sostegno. Digli che tuoni dal suo monte, e svegli L'addormentata Italia, e alla ritrosa Le man sacrate avvolga entro i capegli; Si che dal fango suo la neghittosa Alzi la fronte; e sia delle sue tresche Contristata una volta e vergognosa. Digli che invan l'Ibere e le Tedesche Dall' Olimpo sentir, parmi che Pio Quindi vêr Lui di tutto il dover mio Ritrar terrena fantasía gli ardori, [lo L'eterea volta, e ogni altra stella un vePonsi alla fronte, e di pallor si tinge; Tal fiammeggiava di siderco zelo, E fra mille seguaci Ombre festose Tale ascendeva la bell' Alma al cielo. Rideano al suo passar le macstose Tremule figlie della luce, e in giro Scotean le chiome ardenti e rugiadose. Ella tra lor d'amore e di desiro Sfavillando s'estolle, infin che giunta Dinanzi al Trino ed increato Spiro, Ivi queta il suo volo, ivi s'appunta In tre sguardi beata, ivi il cor tace E tutta perde del desio la punta. Poscia al crin la corona del vivace Amaranto immortal, e sulle gote Il bacio ottenne dell'eterna pace. E allor s'udiro consonanze e note D'ineffabil dolcezza, e i tondi balli Ricominciår delle stellate rote. Più veloci esultarono i cavalli Portatori del giorno, e di grand' orme Stampar l'arringo degli eterei calli. Gioiva intanto del misfatto enorme L'accecata Parigi, e sull' arena Giacea la regal testa e il tronco informe. E il caldo rivo della sacra vena La ria terra bagnava, anco più ria Di quella che mirò d'Atreo la cena. Nuda e squallida intorno vi venía Turba di larve di quel sangue ghiotte, E tutta di lor bruna era la via. Qual da fesse muraglie e cave grotte Sbucano di Mineo l'atre figliuole, Quando ai fiori il color toglie la notte; Ch'ir le vedi e redire, e far carole Sul capo al viandante, o sovra il lago, Finchè non esce a saettarle il Sole; Non altrimenti a volo strano e vago D'ogni parte erompea l'oscena schiera, Ed ulular s'udiva, a quell' immago Che fan sul margo d'una fonte nera I lupi sospettosi e vagabondi A ber venuti a truppa in su la sera. Correan quei vani simulacri immondi Al sanguigno ruscel, sporgendo il muso L'un dall' altro incalzati e sitibondi. Ma in guardia vi sedea nell' arme chiuso Un fiero Cherubin che, steso il brando, Quel barbaro sitir rendea deluso. E le larve a dar volta, e mugolando A stiparsi, e parer vento che rotto Fra due scogli si vada lamentando. Prime le quattro comparían che sotto Poc' anzi al taglio dell' infame scure L'infelice Capeto avean tradotto. Di quei tristi seguían l'atre figure (7) Che d'uman sangue un di macchiar le glebe Là di Marsiglia nelle selve impure. Indi a guisa di pecore e di zebe Venia lorda di piaghe il corpo tutto D'Ombre una vile miserabil plebe. Ed eran quelli che fecondo e brutto Del proprio sangue fecero il mal tronco Che die di libertà si amaro il frutto. Altri forato il ventre, ed altri ha cionco Di capo il busto, e chi trafitto il lombo, monco; E tutti intorno al regio sangue un rombo, Un murmure facean, che cupo il fiume Dai cavi gorghi ne rendea rimbombo. Ma lungi li tenea la punta e il lume Della celeste spada, che mandava Su i foschi cefli un pallido barlume. Scendi, Pieria Dea, di questa prava Masnada i più famosi a rammentarme, Se l'orror la memoria non ti grava. Dimmi tu, che li sai, gli assalti e l'arme Onde il Soglio percossero e la Fede, E di nobile bile empi il mio carme. Capitano di mille alto si vede (8) Di due tali accigliate anime ree, Ove stillato ogni venen si bee. Finse l'altra del fosco Americano (12) Tonar la causa; e regi e sacerdoti Col fuimine feri del labbro insano. Dove te lascio, che per l'alto roti (13) Si strane ed empie le comete, e il varco D'ogni delirio apristi a' tuoi nipoti? E te, che contro Luca e contro Marco (14), E contro gli altri duo cosi librato Scocchi lo stral dal sillogistic' arco? Questa d'insania tutta e di peccato Tenebrosa falange il fronte avea Dal fulmine celeste abbrustolato. E della piaga il solco si vedea Mandar fumo e faville, e forte ognuno Di quel tormento dolorar parea. Curvo il capo, ed in lungo abito bruno Venia poscia uno stuol quasi di scheltri, Dalle vigilie attriti e dal digiuno. Sul ciglio rabbassati ha i larghi feltri, Impiombate le cappe, e il pie sì lento, Che le lumacce al paragon son veltri. Ma sotto il faticoso vestimento Celan ferri e veleni; e qual tra' vivi, Tal vanno ancor tra' morti al tradimento. Dell' Ipocrito d' Ipri ei son gli schivi Settator tristi, per via bieca e torta Con Cesare e del par con Dio cattivi. Si crudo è il Nume di costor, si morta, Si ripiena d'orror del ciel la strada, Che a creder nulla, e a disperar ne porPer lor sovrasta al Pastoral la Spada, [ta. Per lor tant' alto il Soglio si sublima, Ch' alfine è forza che nel fango cada. Di lor empia fucina uscì la prima Favilla, che segreta il casto seno Della Donna di Pietro incende e lima. Nè di tal peste sol va caldo e pieno Borgofontana, ma d'Italia mia Ne bulica e ne pute anco il terreno. Ultimo al fier concilio comparía (15), E su tutti gigante sollevarse Coll'omero sovran si discopría, E colle chiome rabbuffate e sparse, Colui che al discoperto e senza tema Venne contro l' Eterno ad accamparse; E ne sfidò la folgore suprema, Secondo Capaneo, sotto lo scudo D'un gran delirio ch'ei chiamò Sistema. Dinanzi gli fuggía sprezzato e nudo De' minor spettri il vulgo: anche Cocito N'avea ribrezzo, ed aborría quel crudo. Poich' ebber densi e torvi circuito Il cadavero sacro, ed in lui sazio Lo sguardo, e steso sorridendo il dito; Con fiera dilettanza in poco spazio Strinsersi tutti, e diersi a far parole, Quasi sospeso il sempiterno strazio. A me (dicea l'un d'essi) a me si vuole Dar dell' opra l'onor, che primo osai Spezzar lo scettro, e lacerar le stole. A me piuttosto; a me che disvelai De' Potenti le frodi (un altro grida), E all'uom dischiusi sul suo dritto i rai. Perchè l'uom surga, e il suo tiranno uccida, Uop'e (ripiglia un altro) in pria dal fianco Dell'eterno timor torgli la guida. Questo fe' lo mio stil leggiadro e franco, E il sal Samosatense, onde condita (16) L'empietà piacque, e l'uom di Dio fu stanco. Allor fu questa orribil voce udita : I' fei di più, che Dio distrussi : e tacque; Ed ogni fronte apparve sbigottita. Primamente un silenzio cupo nacque, Poi tal s'intese un mormorio profondo, Che lo spesso cader parea dell' acque, Allor che tutto addormentato è il mondo. CANTO QUARTO. BATTE a vol più sublime aura sicura A dannaggio di Francia il mondo tutto: Tale il senno supremo era di Dio. Canterò l'ira dell' Europa e il lutto, Canterò le battaglie, ed in vermiglio Tinto de' fiumi e di due mari il flutto. E d'altro pianto andar bagnata il ciglio La bell' alma vedrem, di che la Diva Mi va cantando l' aflannoso esiglio. Il bestemmiar di quei superbi udiva La dolorosa, ed acennando al duce La fiera di Renallo ombra cattiva, Come, disse, fra' morti si conduce Colui? Di polpe non si veste e d'ossa? Non bee per gli occhi tuttavia la luce? El'altro: La sua salma ancor la scossa (1) Di morte non senti; ma la governa Dentro Marsiglia d'un demón la possa: E l'alma geme fra i perduti eterna mente perduta; nè a tal fato è sola, Ma molte, che distingue Ira superna. E in Erebo di queste assai ne vola Dall' infame congréga, in che s'affida Cotanto Francia, ahi stolta! e si consoQuindi un demone spesso ivi s'annida [la. In uman corpo, e scaldane le vene, E siede e scrive nel Senato e grida; Mentre lo spirto alle cocenti pene D' Averno si martira. Or leva il viso, E vedi all'uopo chi dal ciel ne viene. Levò lo sguardo; ed ecco all' improvviso Là dove il Cancro il piè d'Alcide abbranca E discende la via del Paradiso, Ecco aprirsi del ciel le porte a manca Su i cardini di bronzo; e una virtude Intrinseca le gira e le spalanca. Risonò d'un fragor profondo e rude Dell'Olimpo la volta, e tre guerrieri Calar fur visti di sembianze crude. Nere sul petto le corazze, e neri Nella manca gli scudi, e nereggianti Scorrean le chiome della bionda testa Per lo collo e per l'omero ondoggianti. La volubile bruna sopravvesta Da brunc penne ventilata addietro Rendea rumor di pioggia e di tempesta. Del sopracciglio sotto l'arco tetro Uscían lampi dagli occhi, uscía paura, E la faccia parea bollente vetro. Questi, e l'altro campion seduto a cura Dell' estinto Luigi, Angeli sono Di terrore, di morte e di sventura. Venir son usi dell' Eterno al trono Quando acerba a' mortai volge la sorte E rompe la ragion del suo perdono. D'Egitto il primo l'incruente porte (2) Nell' arcana percosse orribil notte, Che fur de' padri le speranze morte. L'altro è quel che sul campo estinte erotte Lasciò le forze che il superbo Assiro (3) Contro l'umile Giuda avea condotte. Dalla spada del terzo i colpi usciro (4), Che di pianto sonanti e di ruina Fischiar per l'aure di Sion s'udiro, Quando la provocata ira divina Al mite genitor fe' d'Absalone Caro il censo costar di Palestina. L'ultimo fiero volator garzone (5) Uno è de' sei cui vide l'accigliato Ezechiello arrivar dall' Aquilone, In mano aventi uno stocco affilato, E percotenti ognun che per la via Del Tau la fronte non vedean segnato. Tale e tanta dal ciel se ne venía Dei procellosi Arcangeli possenti La terribile e nera compagnia; Come gruppo di folgori cadenti Sotto povero ciel, quando sparute Taccion le stelle, e fremon l'onde e i venti. Il sibilo senti delle battute Ale Parigi; ed arretrò la Senna E il Bebricio Pirene, e lungo e roco Corse un lamento per la mesta Ardenna. Al lor primo apparir dier ratto il loco L'assetate del Tartaro caterve, Mosche lo sciame che alla beva intento |