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Tal si dilegua l'infernal ciurmaglia;
Ed altri una pendente nuvoletta,
D'ira sbuffando, a lacerar si scaglia;
Sovra il mar tremolante altri si getta,

E sveglia le procelle; altri s'avvolve
Nel nembo genitor della saetta;
Si turbina taluno entro la polve,
E tal altro col guizzo del baleno
Fende la terra, e in fumo si dissolve.
Dal sacro intanto orror del tempio usciéno
Di mezzo all'atterrate are deserte
Due Donne in atto d'amarezza pieno (7).
L'una velate, e l'altra discoperte

Le dive luci avea, ma di gran pianto
D'ambo le gote si parean coverte.
Era un vel bianco della prima il manto
Che parte cela, e parte all' intelletto
Rivela il corpo immaculato e santo.
Una veste inconsutile di schietto

Color di fiamma l'altra si cingea,
Siccome il pellican piagata il petto.
E nella manca l'una e l'altra Dea,

E nella dritta in mesto portamento
Una lucida coppa sostenea.
E sculto ciascheduna un argomento
Avea di duolo, in bei rilievi espresso
Di nitid' oro e di forbito argento.
In una sculto si vedea con esso (8)

Il figlio e la consorte un Re fuggire
Pensoso più di lor che di sé stesso.
Eun dar subito all'arme, ed un fremire

Di cruda plebe, e dietro al fuggitivo, Siccome veltri dal guinzaglio, uscire; Poi tra le spade ricondur cattivo,

E tra l'onte quel misero innocente Morto al gioire, ed al patir sol vivo. Mirasi dopo una perversa gente (9)

Cercar furendo a morte una Regina, Dir non so se più bella o più dolente; Ed ancisi i custodi alla meschina,

E per rabbia delusa (orrendo a dirsi !) Trafitto il letto e la regal cortina. V'era l'urto in un'altra, ed il ferirsi (10)

Di cinquecento incontro a mille e mille, E dell'armi il fragor parea sentirsi. Formidabile il volto e le pupille,

La Discordia scorrea tra l' irte lance, Tra la polve, tra 'l fumo e le faville, E i tronchi capi e le squarciate pance, Agitando la face che sanguigna

De' combattenti scoloria le guance.
Vienle appresso la Morte che digrigna

I bianchi denti, ed i feriti artiglia
Con la grand' unghia antica e ferrugigna.

E pria l'anime felle ne ronciglia

[ta

Fuor delle membra, e le rassegna in fretFumanti e nude all'infernal famiglia; Poi, ghermite le gambe, ne si getta

I pesanti cadaveri alle spalle,

Nè più vi bada, e innanzi il campo netta.
Dietro è tutto di morti ingombro il calle;

Il sangue a fiumi il rio terreno ingrassa,
E lubrico s'avvia verso la valle.
Scorre intorno il Furor coll'asta bassa,
Scorre il Tumulto temerario, e il Fato
Ch'un ne percuote, ed un ne salva e pas-
Scorre il lacero Sdegno insanguinato, [sa.
E l'Orror co' capelli in fronte ritti,
Come l'istrice gonfio e rabbullato.
Al fine in compagnia de' suoi delitti

Vien la proterva Libertà Francese,
Ch'ebbra il sangue si bee di quei trafitti :
E son si vivi i volti e le contese,

Che non tacenti, ma parlanti e vere Quelle immagini credi e quell' offese. Altra scena di pianto, onde il pensiere (11)

Rifugge, e in capo arricciasi ogni pelo, Nella terza scultura il guardo fere. Sacro all'inclita Donna del Carmelo

Apriasi un tempio, e distendea la notte Sul primo sonno de' mortali il velo. Se non che dell' oscure Artiche grotte Languían le mute abitatrici al cheto Raggio di luna indebolite e rotte. Strascinavasi quivi un mansueto

Di ministri di Dio sacro drappello,
Ch'empio dannava popolar decreto.
Un barbaro di lor si fea macello:

Ed ei, che schermo non avean di scudo
Al calar del sacrilego coltello,
Pietà, Signor, porgendo il collo ignudo,
Signor, pietà, gridavano: e venia
In quella il colpo inesorato e crudo.
Cadean le teste, e dalle gole uscia

Parole e sangue; per la polve il nome
Di Gesù gorgogliando e di Maria.
El'un su l'altro' si giacean siccome
Scannate pecorelle, e fean ribrezzo
L'aperte bocche e le riverse chiome.
La luna il raggio ai visi esangui in mezzo
Pauroso mandava e verecondo,

A tanta colpa non ben anco avvezzo;
Ed implorar parea d'un vagabondo

Nugolo il velo, ed affrettar raminga
Gli atterriti cavalli ad altro mondo.
Chi mi darà le voci, ond' io dipinga

Il subbietto feral che quarto avanza,
Si ch'ogni ciglio a lagrimar costringa?

Uom d'affannosa, ma regal sembianza, A cui, rapita la corona e il regno, Sol del petto rimasta è la costanza, Venía di morte a vil supplizio indegno

Chiamato, ahi lasso ! e vel traevan quelli Che fur dell'amor suo poc'anzi il segno. Quinci e quindi accorrean sciolte i capelli Consorte e suora ad abbracciarlo, e gli occhi

Ognuna avea conversi in due ruscelli. Stretto al seno egli tiensi in su i ginocchi Un dolente fanciullo, e par che tutto Negli amplessi e ne'baci il cor trabocchi; E sì gli dica: Da' miei mali istrutto

Apprendi, o figlio, la virtude, e cógli Di mie fortune dolorose il frutto. Stabile e santo nel tuo cor germogli (12) Il timor del tuo Dio, nè mai d' un trono Mai lo stolto desir l'alma t' invogli. E se l'ira del Ciel si tristo dono

Faratti, il padre ti rammenta, o figlio; Ma serba a chi l' uccide il tuo perdono. Questi accenti parea, questo consiglio Profferir l'infelice; e chete intanto

Gli discorrean le lagrime dal ciglio. Piangean tutti d'intorno, e dall'un canto

Le fiere guardie impietosite anch'esse Sciogliean, poggiate sulle lance, il pianCotai sul vaso acerbi fatti impresse [to.

L'artefice divino; e se vietato,

Se conteso il dolor non gliel avesse, Il resto de' tuoi casi effigiato

V'avria pur anco, o Re tradito, e degno Di miglior scettro e di più giusto fato. E ben lo cominciò, ma l' alto sdegno

Quel lavoro iuterruppe, e alla pietate Cesse alfin l'arte, ed all'orror l'ingegno. Poichè di doglia piene e d'onestate

Si fur l'alme due Dive a quel feroce Spettacolo di sangue approssimate, Sul petto delle man fêro una croce,

E sull'illustre estinto il guardo fise Senza moto restârsi e senza voce, Pallide e smorte come due recise

Caste viole, o due ligustri occulti, Cui nè l'aura nè l'alba ancor sorrise. Poi con lagrime rotte da' singulti

Baciar l' augusta fronte, e ne serraro Gli occhi nel sonno del Signor sepulti; Ed il corpo composto amato e caro, Vi pregar sopra l'eterno riposo, Disser l'ultimo vale, e sospiraro. inquindi riverente atto pietoso Il sacro sangue, di che tutto orrendo

Era intorno il terreno abbominoso, Nell'auree tazze accolsero piangendo,

Ed ai quattro guerrier vestiti a bruno Le presentar spumanti, una dicendo: Sorga da questo sangue un qualcheduno Vendicator, che col ferro e col foco Insegua chi lo sparse; nè veruno Del delitto si goda, nè sia loco

Che lo ricovri: i flutti avversi ai flutti, I monti ai monti, e l'armi all' armi invoIl tradimento tradimento frutti; [co. L'esiglio, il laccio, la prigion, la spada Tutti li perda, e li disperda tutti. E chi sitia più sangue per man cada (13) D'una virago, ed anima funebre A dissetarsi in Acheronte vada. E chi riarso da superba febre (14)

Del capo altrui si fea sgabello al soglio, Sul patibolo chiuda le palpebre ; E gli emunga il carnefice l'orgoglio;

Ne ciglio il pianga; nè cor sia che, fuora Del suo tardi morir, senta cordoglio. La veneranda Dea parlava ancora,

E gia fuman le coppe, e a quei campioni
Il cherubico volto si scolora;
Pari a quel della Luna, allor che promi
Ruota i pallidi raggi, e in giù la tira
Il poter delle Tessale canzoni.
E l'occhio sotto l'elmo un terror spira,
Che buia e muta l'aria ne divenne,
E tremò di quei sguardi e di quell'ira.
Dei quattro opposti venti in su le penne
Tutti a un tempo fêr vela i Cherubini,
Ed ogni vento un Cherubin sostenne.
Gia il Sol lavava lagrimoso i crini
Nell'onde Maure, e dal timon sciogliea
Impauriti i corridor divini;

Che la memoria ancor retrocedea
Dal veduto delitto; e chini e mesti
Espero all' auree stalle i conducea :
Mentre la notte di pensier funesti
E di colpe nudrice e di rimorsi

Le mute riprendea danze celesti.
Quando per l'aria cheta erte levorsi
Le quattro oscure vision tremende,
El' una all' altra tenea volti i dorsi.
Giunte la dove la folgore prende

L'acuto volo, e furibonda il seno Della materna nuvola scoscende; Inversero le coppe, e in un baleno

Imporporossi il cielo, e delle stelle Livido fessi il virginal sereno. Inversero le coppe, e piobber quelle Il fatal sangue, che tempesta roggia

Par di vivi carboni e di fiammelle. Sotto la strana rubiconda pioggia Ferve irato il terren che la riceve E rompe in fumo; e il fumo in alto pogEi petti invade penetrante e lieve [gia, E le menti mortali, e fa che d'ira Alto incendio da tutte si solleve. Arme fremon le genti, arme cospira L'Orto e l'Occaso, l'Austro e l'Aquilone, E tuttaquanta Europa arme delira. Quind' escono del fier Settentrione (15) L'Aquile bellicose, e coll' artiglio Sfrondano il Franco tricolor bastone. Quinci move dall' Anglico coviglio Il biondo imperator della foresta Il tronco stelo a vendicar del Giglio. Al fraterno ruggito alza la testa (16) L'Annoverese impavido cavallo, E il campo colla soda unghia calpesta. D'altra parte sdegnosa esce del vallo E maestosa la gran Donna Ibera Al crudele di Marte orrido ballo;

E scossa la cattolica bandiera,

In su la rupe Pirenea s' allaccia, Tratto il brando e calata la visiera : E la Celtica putta alto minaccia,

E l'osceno berretto alla ribalda [cia. Scompiglia in capo, e per lo fango il cacMa del prisco valor ripiena e calda

La Sovrana dell' Alpi in su l'entrata Ponsi d'Italia, e ferma tiensi e salda; E alla nemica la fatal giornata (17)

Di Guastalla e d'Assietta ella rammenta, El'ombra di Bellisle invendicata, Che rabbiosa s'aggira, e si lamenta

In val di Susa, e arretra per paura Qualunque la vendetta ancor ritenta. Mugge frattanto tempestosa e scura

Da lontan l'onda della Sarda Teti,

Scoglio del Franco ardire e sepoltura. Mugge l'onda Tirrena, irrequieti

Levando i flutti, e non aver si pente Da pria sommersi i mal raccolti abeti. Mugge l'onda d' Atlante orribilmente, Mugge l'onda Britanna, e al suo muggito Rimormorar la Baltica si sente. Fin dall'estremo Americano lito Il mar s'infuria, e il Lusitan n'ascolta Nel buio della notte il gran ruggito. Sgomentossi, ristette, e a quella volta Drizzo l'orecchio di BASVILLE anch'essa L' attonit' Ombra in suo dolor sepolta. Palpitando ristette, e alla convessa

Region sollevando la pupilla Traverso all'onda sanguinosa e spessa, Vide in su per la truce aria tranquilla Correr spade infocate; ed aspri e cupi N'intesei cozzi, ed un clangor di squilla. Quindi gemere i boschi, urlar le rupi, E piangere le fonti, e le notturne Strigi solinghe, e ulular cagne e lupi. E la quiete abbandonar dell'urne

Pallid' ombre fur viste, e per le vie Vagolar sospirose e taciturne; Starsi i fiumi, sudar sangue le pie

Immagini de' templi, ed involato Temer le genti eternamente il die. O pietosa mia guida, che campato

M' hai dal lago d'Averno, e che mi porti A sciogliere per gli occhi il mio peccato; Certo di stragi e di sangue e di morti [de? Segni orrendi vegg'io: ma come ?e donE a chi propizie volgeran le sorti? Al suo duca si disse, e avea feconde Di pianto la Francese Ombra le ciglia. Vienne meco, e il saprai : l'altro risponde (18); Ed amoroso per la man la piglia.

NOTE.

CANTO PRIMO.

(1) Ad illustrazione di questo passo giova qui riferire alcuni brani del capo I, v. 9 e segg. dell' Apocalisse: Ego Joannes, etc. fui in insula, quæ appellatur Patmos, propter verbum Dei et testimonium Jesu... Et conversus vidi septem candelabra aurea: et in medio septem candelabrorum aureorum similem filio hominis... et habebat in dextera sua stellas septem... Et posuit dexteram suam super me dicens :... Septem stella Angeli sunt septem Ecclesiarum et candelabra septem, septem Eccle

siæ sunt.

(2) Nel principiare dell' anno 1793 i Francesi avevano mandata nel Mediterraneo un' armata per impadronirsi dell' isola di Sardegna. La navigazione su quel mare in quella stagione era pericolosa, e perciò infelice fu l'esito di tale spedizione. Pochi giorni appunto prima della morte di Basseville replicate e fierissime tempeste maltrattarono i legni francesi, e li respinsero dalla Sardegna.

(3) Il generale francese Anselme nel 1792 aveva conquistata la città e contea di Nizza, sostenuto dalla parte del mare dall' ammiraglio Truguet. Oneglia oppose all' invasione una gagliarda resistenza.

(4) Il fatto qui descritto avvenne in Marsiglia, fu riferito ne' Giornali d' allora, e precedette la morte di Basseville.

(5) Avignone fu teatro di turbolenze feroci al cominciare della francese Rivoluzione. Alcuni cittadini chiedevano di far parte della Francia, altri restavano fedeli alla Santa Sede, alla quale da più secoli erano sudditi. Mentre gli animi erano agitati e discordi, non senza qualche spargimento di sangue, giunse colà il famoso Jourdan, detto il coupe-téte, e vi menò grandissima strage. Avignone ed il Contado Venassino furono quindi incorporati alla Francia dall' Assemblea Costituente poco innanzi del suo terminare.

(6) Camisardi appellaronsi gli eretici delle Cevennes (montagne molto alte della Linguadocca, che danno il nome al paese circonvicino, dette dai Latini Gebenna), i quali sotto pretesto di religione si ribellarono contra Lodovico XIV. II maresciallo Villars tentò di vincerli colla prudenza nell'anno 1703, e finalmente il maresciallo Berwick riuscì a sottometterli esterminandone la maggior parte. L'origine del nome Camisard è oscura per gli stessi Francesi, Chi lo deriva da camisade, terinine di guerra, che vale assalto fatto per sorpresa, giacchè tali furono quelli di cotesti montanari; chi da camise, che in qualche luogo di Francia dicesi invece di chemise, e ciò per la foggia del lor vestimento; chi da altro, ma tutti con poca certezza.

(7) Arari chiamavano gli antichi quel fiume che ora è detto la Saône (e dagli Italiani la Sona), il quale ha la sua sorgente nelle montagne dette Vosges, ed entra nel Rodano vicino a Lione. La ragione del chiamar la sua onda stupida e irreso luta si ha nelle parole di Giulio Cesare, Bell. Gall., lib. 1, c. 12: Flumen est Arar quod per fines Eduorum et Sequanorum in Rhodanum influit incredibili lenitate, ita ut oculis, in utram partem fluat, judicari non possit. Onde segnis è detto anche da Plinio, e pigerrimus da Silio. Ligeri, la Loira, altro fiume che nasce nel Vivarais pacse della Linguadocca, e, trascorsa gran parte della Francia, cade nell' Oceano.

(8) Chiama falda Tigurina il poeta quel tratto di paese sulla sponda della Saône dove Cesare sorprese la quarta parte dell' esercito degli Elvezii che non aveva ancora tragittato il fiume, e la sbaragliò. Egli appoggiasi all' autorità di Cesare medesimo, il quale dice nel primo libro della Guerra Gallica: Is pagus appellabatur Tigurinus. Quello che segue negli altri due versi allude pure a quanto narra lo stesso autore de' Commentarii: Hic pagus unus quum domo exisset, pa. trum nostrorum memoria, L. Crassum consulem interfecerat, et ejus exercitum sub jugum miserat : ita sive casu, sive consilio deorum immortalium, quæ pars civitatis Helvetiæ insignem calamitatem populo romano intulerat, ea princeps panas persolvit.

(9) Nivernum dicevasi dai Latini quella città che ora appellasi Nevers. È notissimo che nell'anno 1429 sotto le mura di Orleans una donzella nata di poveri genitori in Domremi, per nome Giovanna d'Arc, battè gl' Inglesi vincitori, li costrinse a levare l'assedio dalla città, e rassicurò sulla fronte di Carlo VII la corona di Francia, ch' egli era sul punto di perdere. È pur noto che questa eroina, detta comunemente la pulcella di Orléans, caduta in mano degl' Inglesi, fu condannata siccome strega ed abbruciata sulla piazza del mercato di Rouen.

(10) Sinus Aquitanicus veniva detto dai Latini quel tratto di Oceano che è tra la Bretagna e la Biscaglia.

(11) Che bellicoso fosse il canto de' Bardi, quando pure nol mostrassero le poesie di Ossian, la esistenza del quale taluni non vogliono ammettere, basta a provarlo, tralasciando le altre autorità, quella di Lucano nel primo della Farsaglia:

Vos quoque, qui fortes animas belloque peremtas
Laudibus in longum vates dimittitis ævum,
Plurima securi fudistis carmina Bardi.

Chiomati poi appella qui il poeta i Bardi della Gallia Celtica e perchè abitavan essi nella parte di Gallia che dicevasi comata, e perchè dovevano

avere una cura particolare di lasciar crescere i loro capelli. Pare che questo costume di conservare la chioma sia tutto proprio de' poeti, giacche intonso fingesi il loro Dio Apolline, e Virgilio chiama crinito quell' Iopa ch' egli introduce a cantare alla mensa di Didone le dottrine del massimo Atlante.

CANTO SECONDO.

(1) L'Empietà.

(2) Diagora nacque in Melo, una delle Cicladi. Tra molti scrittori antichi che di lui parlarono ecco come si esprime Cicerone nel primo libro De natura Deorum: Plerique, quod maxime verisimile est, et quo omnes duce natura vehimur, deos esse dizerunt: dubitare se Protagoras: nullos esse omnino Diagoras Melius, et Theodorus Cy rendicus putaverunt. Fu perciò detto comunemente l'Ateo; e perchè osò pubblicamente sostenere le orribili sue dottrine, gli Ateniesi lo senten. ziarono a morte, alla quale essendosi egli sottratto colla fuga, non solamente fecero promulgare dal banditore la condanna di lui, ma comandarono ancora che fosse scolpita in una colonna di bronzo la taglia che colui il quale uccidesse Diagora riceverebbe un talento, e due ne avrebbe quegli che lo consegnasse vivo.-Quanto ad Epicuro, gli eruditi, dopo Gassendo, si studiano di purgarlo dalla taccia di aver fatta consistere tutta la felicità nello accontentamento dei sensi. Cicerone però, Diogene Laerzio e tutti gli antichi, cominciando dai tempi di Epicuro medesimo e venendo fino a quelli del canonico di Digne, tennero unanimamente non solo ch' egli fosse empio nella dottrina, ma che insinuasse apertamente la voluttà. L'universale consentimento da niuno poi è meglio confermato, che dal più elegante di tutti i panegiristi di Epicuro, da quel Lucrezio il quale in aurei versi ne cantò le riprovate dottrine.

(3) Circoscrive il mese di gennaio ed il giorno 21 di esso, nel quale circa le ore dieci prima del mezzogiorno perdette la vita sul palco l' infelice Luigi XVI, correndo l'anno 1793.

(4) I Druidi erano sacerdoti, maestri, legislatori degli antichi Galli. I loro dei Eso e Teutate corrispondevano a Marte ed a Mercurio. Essi pretendevano di placarli con vittime umane. Le selve erano i luoghi consecrati ai loro sanguinosi misteri, e fra le altre una ve n'avea assai celebre presso Marsiglia, distrutta per comando di Giulio Cesare. Nel libro vi dei Commentarii della Guerra gallica è ampiamente descritto che casa fossero cotesti Druidi. E Lucano nel libro ni della Farsaglia in bellissimi versi dipinge l'atterramento del mentovato bosco di Marsiglia. Giova riferire i seguenti:

Hanc non ruricola Panes, nemorumque potentes
Sylwani Nymphæque tenent, sed barbara ritu
Sacra deum, structa sacris feralibus are;
Omnis et humanis lustrata cruoribus arbos.

(5) Luigi XVI giunto sul palco indirizzò ai circostanti queste parole: Francesi, io muoio innocente; perdono a' miei nemici; desidero che la

mia morte.... Il generale Santerre comandò allora che si battessero i tamburi, collo strepito de' quali impedì che si udisse più oltre la voce del Re, e che gli animi del popolo non cedessero forse al sentimento della pietà.

(6) Roberto Francesco Damiens tentò di ammazzare Lodovico XV, stando questo re per montare in carrozza nel cortile di Versailles, la sera del 5 gennaio 1757. Avendo fallito il colpo, il re medesimo, leggermente ferito, lo ravvisò, onde fu preso e condannato a morte. - Giangiacomo Anckarstroem, o Ankastroom, gentiluomo svedese, assassinò con un colpo di pistola Gustavo III re di Svezia, che trovavasi ad una festa di ballo in Stocolma, nella notte 15 marzo 1792; ed egli poi perdette la vita sul patibolo nel giorno 29 di aprile, dopo di essere stato frustato tre giorni per la città. Francesco Ravaillac uccise in Parigi, nel giorno 14 di maggio 1610, Enrico IV vincitore e padre de' suoi sudditi, e fu giustiziato nel giorno 27 dello stesso mese. — Quel quarto che colla mano si nasconde lo scritto, è Giacomo Clement, il quale nel 1589 assassinò Enrico III a Saint-Cloud nel primo di agosto. Gli annali della Chiesa detestano il fatto di costui, il quale era frate dell' ordine de' predicatori: perciò il poeta si astenne dal nominarlo.

CANTO TERZO.

(1) Stando gli Amaleciti ed i Madianiti accampati nella valle di Jezrael, Iddio comandò a Gedeone di scegliere al fonte di Arad trecento guerrieri d'Israele, i quali di nottetempo suonando le trombe e gridando: La spada del Signore e di Gedeone, sparsero lo scompiglio nel campo numeroso di que' neinici del nome Israelita, e li misero in fuga. Le circostanze di questo fatto vedile nel capo vi del libro de' Giudici.

(2) Si è già detto nelle postille al Canto I che l'armata francese era stata dispersa al principiare dell'anno 1793 sulle coste della Sardegna da fierissime tempeste. Ora è da aggiungere che le soldatesche le quali la componevano erano parte di quelle che stanziavano nella contea di Nizza. Perciò il poeta chiama antenne del Varo le navi mandate al conquisto della Sardegna. Tutti sanno che il Varo scorre nelle vicinanze di Nizza.

(3) Vedi le Notizie intorno Basseville,

car. 249.

a

(4) Fu stampato nella narrazione pubblicata in Roma nel giorno 16 gennaio 1793, che Basseville vicino a morte dichiarò, prima di ricevere í sagramenti della chiesa : Di ritrattare i giuramenti da sè fatti, e di detestare ogni atto contrario alla religione cattolica nel quale fosse caduto. È detto nella medesima che i sentimenti co' quali esso andò incontro al suo fine furono tutti di edificazione, di rassegnazione e di pietà, e che solo fu udito (come si avvertì nelle sopra. citate Notizie) lagnarsi di morire vittima di un pazzo. Pel quale intendeva un certo la Flotte che volendo ad ogni costo far innalzare in Roma le

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