Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Di fendo conti? In van s'adopra e stanca Chi'l genio lor bituminoso e crasso Osa destar. Di là dall'alpi è forza Ricercar l'eleganza. E chi giammai, Fuor che il Genio di Francia, osato avrebbe

Su i menoni lavori i Grechi ornati • Recar felicemente? Andò romito • Il Bongusto finora, spaziando ⚫Su le auguste cornici e su gli eccelsi ⚫Timpani de le moli, al Nume sacre E a gli uomini scettrati; oggi ne scende, Vago al fin di condurre i gravi fregi • Infra le man di cavalieri e dame. Tosto forse il vedrem trascinar anco • Su molli veli e nuziali doni ⚫Le Greche travi; e docile trastullo • Fien de la Moda le colonne e gli archi, * Ove sedeano i secoli canuti. » Commercio, alto gridar; gridar : Commercio

All' altro lato de la mensa or odi
Con fanatica voce: e tra'l fragore
D'un peregrino d'eloquenza fiume,
Di bella novità stampate al conio
Le forme apprendi ; onde assai meglio poi
Brillantati i pensier picchin la mente.
Tu pur grida: Commercio; e la tua Dama
Anco un motto ne dica. Empiono, è vero,
Il nostro suol di Cerere i favori,
Che tra i folti di biade, immensi campi
Move sublime, e fuor ne mostra a pena,
Tra le spighe confuso, il crin dorato.
Bacco e Vertunno i lieti poggi intorno
Ne coronan di poma; e Pale amica
Latte ne preme a larga mano, e tônde
Candidi velli, e per li prati pasce
Mille al palato uman vittime sacre.
Cresce fecondo il lin, soave cura
Del verno rusticale; e d'infinita
Serie ne cinge le campagne il tanto
Per la morte di Tisbe arbor famoso.
Che vale or cio? Su le natie lor balze
Redan le capre; ruminando il bue,
Lungo i prati natii, vada; e la plebe,
Non dissimile a lor, si nutra e vesta
De le fatiche sue; ma a le grand' alme,
Di troppo agevol ben schife, Cillenio
Il comodo presenti, a cui le miglia
Pregio acquistino e l'oro; e d'ogn'intorno:
Commercio risonar s'oda, commercio.
Tale da i letti de la molle rosa
Sibari ancor gridar soleva; i lumi
Disdegnando volgea da i campi aviti,

Troppo per lei ignobil cura; e mentre
Cartagin, dura a le fatiche, e Tiro,
Pericolando per l'immenso sale,
Con l'oro altrui le voluttà cambiava,
Síbari si volgea sull'altro lato;
E non premute ancor rose cercando,
Pur di commercio novellava e d'arti.

Ne senza i miei precetti e senza scorta Inerudito andrai, Signor, qualora Il perverso destin dal fianco amato T'allontani a la mensa. Avvien sovente, Che un Grande illustre or l'alpi, or l'o

ceáno

Varca, e scende in Ausonia; orribil ceffo
Per natura o per arte, a cui Ciprigna
Rose le nari, e sale impuro e crudo
Snudo i denti ineguali. Ora il distingue
Risibil gobba, or furiosi sguardi,
Obliqui o loschi; or rantoloso avvolge
Tra le tumide fauci ampio volume
Di voce, che gorgoglia, ed esce alfine,
Come da inverso fiasco onda che goccia.
Or d'avi, or di cavalli, ora di Frini
Instancabile parla; or de' Celestí
Le folgori deride. Aurei monili
E gemme e nastri: gloriose pompe,
L'ingombran tutto; e gran titolo suona
Dinanzi a lui. Qual più tra noi risplende
Inclita stirpe, ch'onorar non voglia
D'un ospite si degno i lari suoi?
Ei però sederà de la tua Dama
Al fianco ancora; e tu lontan da Giuno,
Tra i Silvani caprípedi n' andrai
Presso al marito; e pranzerai negletto
Col popol folto de gli Dei minori.

Ma negletto non già da gli occhi andrai
De la Dama gentil, che a te rivolti, ·
Incontreranno i tuoi. L'aere a quell'urto
Arderà di faville; e Amor con l' ali
L'agiterà. Nel fortunato incontro
I messaggier pacifici dell' alma
Cambieran lor novelle; e alternamente
Spinti rifluiranno a voi con dolce,
Delizioso tremito su i cori.

Tu le ubbidisci allora : o se t'invita
Le vivande a gustar, che a lei vicine
L'ordin dispose; o se a te chiede in vece
Quella, che innanzi a te sue voglie punge
Non col soave odor, ma con le nuove,
Leggiadre forme, onde abbellir la seppe
Dell'ammirato cucinier la mano.
Con la mente si pascono gli Dei
Sopra le nubi del brillante Olimpo;
E le labbra immortali irrita e move

Non la materia, ma il divin lavoro.

Ne intento meno ad ubbidir sarai I cenni del bel guardo, allor che quella Di licor peregrino a i labbri accosta Colmo bicchiere, a lo cui orlo intorno Sérpe dorata striscia; o a cui vermiglia Cera la base impronta, e par che dica : Lungi, o labbra profane; al labbro solo De la Diva, che qui soggiorna e regna, Il castissimo calice si serbi; Ne cavalier con l'alito maschile Osi appannarne il nitido cristallo; Ne dama convitata unqua presuma Di parvi i labbri : e sien pur casti e puri, E quant' esser si può cari all'amore. Nessun' altra è di lei più pura cosa, Chi macchiarla oserá? Le Ninfe in vano, Da le arenose loro urne versando Cento limpidi rivi, al candor primo Tornar vorriéno il profanato vaso, E degno farlo di salir di novo A le labbra celesti, a cui non lice Inviolate approssimarsi a vasi, Che convitati cavalieri, e dame Convitate macchiar co i labbri loro. Tu a i cenni del bel guardo e de la mano, Che, reggendo il bicchier, sospesa ondeg Affettuoso attendi. I guardi tuoi, Sfavillando di gioia, accolgan lieti Il brindisi segreto; e tu ti accingi In simil modo a tacita risposta.

gia,

Immortal come voi, la nostra Musa Brindisi grida all' uno e all' altro amante: All' altrui fida sposa, a cui se' caro; E a te, Signor, sua dolce cura e nostra Come annoso licor Lieo vi mesce, Tale Amore a voi mesca eterna gioia, Non gustata al marito, e da coloro Invidiata, che gustata l'hanno. Véli con l'ali sue sagace oblio Le alterne infedeltà, che un cor dall' altro Potriéno un giorno separar per sempre; E sole a gli occhi vostri Amor discopra Le alterne infedeltà, che in ambo i cori Ventilar possan le cedenti fiamme. Un sempiterno, indissolubil nodo Auguri ai vostri cor volgar cantore. Nostra nobile Musa a voi desía

Sol fin che piace a voi durevol nodo. Dûri fin che a voi piace ; e non si sciolga, Senza che Fama sopra l'ali immense Tolga l'alta novella, e grande n'empia, Col reboato dell' aperta tromba, L'ampia cittade e dell'Enotria i monti

E le piagge sonanti; e, s'esser puote,
La bianca Teti e Guadiana e Tule.
Il mattutino gabinetto, il corso,
Il teatro, la mensa in vario stile
Ne ragionin gran tempo: ognun ne chieda
Il dolente marito; ed ei dall' alto
La lamentabil favola cominci.
Tal su le scene, ove agitar solea
L'ombre tinte di sangue Argo piagnente,
Squallido messo al palpitante Coro
Narrava, come furïando Edipo
Al talamo corresse incestuoso;
Come le porte rovescionne, e come
Al subito spettacolo ristė,
Quando vicina del nefando letto
Vede in un corpo solo e sposa e madre
Pender strozzata, e del fatale uncino
Le mani armossi; e con le proprie mani
A sè le care luci da la testa,
Con le man proprie, misero! strapposse.

Ecco, volge al suo fine il pranzo illustre
Già Como e Dionisio al desco intorno
Rapidissimamente in danza girano
Con la libera Gioia. Ella saltando,
Or questo, or quel de i convitati lieve
Tocca col dito; e al suo toccar scoppietta-
Brillanti, vivacissime scintille, [no
Ch' altre ne destan poi. Sonan le risa;
E il clamoroso disputar s'accende.
La nobil vanità punge le menti;
E l'Amor di se sol, baldo scorrendo,
Porge un scettro a ciascuno, e dice;
Regna.

Questi i concilii di Bellona, e quegli
Penetra i tempii de la Pace. Un guida
I condottieri; a i consiglier consiglio
L'altro dona, e divide e capovolge
Con seste ardite il pelago e la terra.
Qual di Pallade l' arti e de le Muse
Giudica e libra; qual ne scopre acuto
L'alte cagioni e i gran principii abbatte,
Cui creò la Natura, e che tiranni
Sopra il senso de gli uomini regnaro
Gran tempo in Grecia ; e ne la Tosca terra
Rinacquer poi più poderosi e forti.

Cotanto adunque di sapere è dato

A nobil mente? Oh letto, oh specchio, oh

[blocks in formation]

Sia quant' esser si vuole arcana e grande,
Ti spaventi giammai. Se cosa udisti
O leggesti al mattino, onde tu possa
Gloria sperar; qual cacciator che segue
Circuendo la fera, e sì la guida

E volge di lontan, che a poco a poco
S'avvicina a le insidie, e dentro piomba;
Tal tu il sermone altrui volgi sagace,
Finche la cada, ove spiegar ti giovi
Il tuo novo tesor. Se nova forma
Del parlare apprendesti, allor ti piaccia
Materia espor, che favellando ammetta
La nova gemma; e poi che il punto hai
culto,

Ratto la scopri; e sfolgorando abbaglia
Qual altra è mente, che superba andasse
Di squisita eloquenza a i gran convivii.
In simil guisa il favoloso amante
Dell'animosa vergin di Dordona
Ai cavalier, che l'assalien superbi,
Usar lasciava ogni lor possa ed arte;
Poi nel miglior de la terribil pugna
Svelava il don dell' amoroso Mago:
E quei, sorpresi dall'immensa luce,
Cadeano ciechi e soggiogati a terra.
Se alcun di Zoroastro e d'Archimede
Discepol sedera teco a la mensa,
A lai ti volgi; seco lui ragiona;
Suo linguaggio ne apprendi ; e quello poi,
Quas' innato a te fosse, alto ripeti.
Ne paventar quel che l'antica fama
Narro de' suoi compagni. Oggi la diva
Urania il crin compose; e gl'irti alunni,
Smarriti, vergognosi, balbettanti,
Trasse da le lor cave, ove pur dianzi
Col profondo silenzio e con la notte
Tenean consiglio: indi le serve braccia
Fornien di leve onnipotenti, ond' alto
Salisser poi piramidi, obelischi
Ad eternar de' popoli superbi
I gravi casi ; o pur con feri dicchi
Stavan contro i gran letti; o di pignone
Audaci armati, spaventosamente
Cozzavan con la piena; e giù a traverso
Spezzate, dissipate rovesciavano
Le tetre corna, decima fatica
D'Ercole invitto. Ora i selvaggi amici
Urania incivili: baldi e leggiadri
Nel gran mondo li guida, o tra'l clamore
De' frequenti convivii, o pur tra i vezzi
De' gabinetti, ove a la docil Dama,
E al saggio Cavalier mostran qual via
Venere tenga; e in quante forme o quali
Suo volto lucidissimo si cambii.

Nè del Poeta temerai, che beffi
Con satira indiscreta i detti tuoi,
Ne che a maligne risa esponer osi
Tuo talento immortal. Voi l'innalzaste
All'alta mensa; e tra la vostra luce
Beato l'avvolgeste; e de le Muse
A dispetto e d'Apollo, al sacro coro
L'ascriveste de' Vati. Egli 'l suo Pindo
Feo de la mensa: e guai a lui, se quinci
Le Dee sdegnate giù precipitando
Con le forchette il cacciano! Meschino!
Più non potria su le dolenti membra
Del suo infermo Signor chiedere aita
Da la buona Salute; o con alate
Odi ringraziar, nè tesser inni
Al barbato figliuol di Febo intonso.
Più del giorno natale i chiari albori
Salutar non potrebbe, e l'auree frecce
Nomi-sempiternanti all'arco imporre.
Non più gli urti festevoli, o sul naso
L'elegante scoccar d'illustri dita
Fora dato sperare. A lui tu dunque
Non isdegna, o Signor, volger talvolta
Tu' amabil voce; a lui declama i versi
Del dilicato cortigian d'Augusto,
O di quel, che tra Vencre e Liéo
Pinse Trimalcion. La Moda impone,
Ch'Arbitro o Flacco a un bello spirto in-
gombri

Spesso le tasche. Il vostro amico vate
T'udrà, maravigliando, il sermon prisco
Or sciogliere, or frenar, qual più ti piace ;
E per la sua faretra, e per li cento
Destrier focosi, che in Arcadia pasce,
Ti giurerà, che di Donato al paro
Il difficil sermone intendi e gusti.

Cotesto ancor di rammentar fia tempo
I novi Sofi, che la Gallia e l'Alpe,
Esecrando, persegue; e dir qual arse
De' volumi infelici, e andò macchiato
D'infame nota; e quale asilo appresti
Filosofia al morbido Aristippo
Del secol nostro; e qual ne appresti al novo
Diogene, dell' auro spregiatore,
E della opinione de' mortali.

Lor volumi famosi a te verranno,
Da le fiamme fuggendo, a gran giornate
Per calle obliquo; e compri a gran tesoro,
O da cortese man prestati, fiéno
Lungo ornamento al tuo speglio innanzi.
Poi che scorsi gli avrai pochi momenti
Specchiandoti, e a la man garrendo in-
dótta

Del parrucchier; poi che t'avran la sera

Conciliato il facil sonno : allora

A la toilette passeran di quella,
Che comuni ha con te studi e liceo,
Ove, togato, in cattedra elegante
Siede interprete Amor. Ma fia la mensa
Il favorevol loco, ove al Sol esca
De' brevi studi il glorioso frutto.

Qui ti segnalerai co' novi Sofi, Schernendo il fren, che i creduli maggiori Atto solo stimâr l'impeto folle

A vincer de' mortali, a stringer forte
Nodo fra questi, e a sollevar lor speme
Con penne oltre natura alto volanti.
Chi por freno oserà d'almo Signore
A la mente od al cor? Paventi il vulgo
Oltre natura; il debole Prudente
Rispetti il vulgo; e quei, cui dona il vulgo
Titol di Saggio, mediti romito

Il Ver celato; e al fin cada adorando
La sacra nebbia, che lo avvolge intorno.
Ma il mio Signor, com' aquila sublime,
Dietro a i Sofi novelli il volo spieghi.
Perchè più generoso il volo sia,
Voli senz' ale ancor; nè degni 'l tergo
Affaticar con penne. Applauda intanto
Tutta la mensa al tuo poggiare ardito.
Te con lo sguardo e con l'orecchio beva
La Dama, da le tue labbra rapita;
Con cenno approvator vezzosa il capo
Pieghi sovente e il calcolo e la massa
E l'inversa ragion sonino ancora
Su la bocca amorosa. Or più non odia
De le scole il sermone Amor maestro;
Ma l'accademia e i portici passeggia
De' filosofi al fianco, e con la molle
Mano accarezza le cadenti barbe.
Ma guardati, o Signor; guardati, oh dio!
Dal tossico mortal, che fuora esala
Da i volumi famosi; e occulto poi
Sa, per le luci penetrato all' alma,
Gir serpendo ne i cori; e con fallace
Lusinghevole stil corromper tenta
Il generoso de le stirpi orgoglio,
Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli,
Che ciascun de' mortali all' altro è pari;
Che caro a la Natura e caro al Cielo
È, non meno di te, colui che regge
I tuoi destrieri, e quei ch'ara i tuoi campi;
E che la tua pietade e il tuo rispetto
Dovrien fino a costor scender vilmente.
Folli sogni d'infermo! Intatti lascia
Cosi strani consigli; e sol ne apprendi
Quel che la dolce voluttà rinfranca;
Quel che scioglie i desiri; e quel che nutre

La libertà magnanima. Tu questo
Reca solo a la mensa; e sol da questo
Cerca plausi ed onor. Cosi dell' api
L'industrioso popolo, ronzando,
Gira di fiore in fior, di prato in prato ;
E i dissimili sughi raccogliendo,
Tesoreggia nell' arnie: un giorno poi
Ne van colme le pátere dorate
Sopra l'ara de' numi; e d'ogn' intorno
Ribocca la fragrante, alma dolcezza.
Or versa pur dall' odorato grembo
I tuoi doni, o Pomona ; e l' ampie côlma
Tazze, che d'oro e di color diversi
Fregiò il Sassone industre: il fine è giunto
De la mensa divina. E tu da i greggi,
Rustica Pale, coronata vieni
Di melissa olezzante e di ginebro;
E co' lavori tuoi di presso latte
Vergognando t'accosta a chi ti chiede;
Ma deporli non osa. In su la mensa
Potrien, deposti, le celesti nari
Commover troppo, e con volgare olezzo
Gli stomachi agitar. Torreggin solo
Su' ripiegati lini in varic forme
I latti tuoi, cui di serbato verno
Rassodarono i sali, e reser atti
A dilettar con subito rigore
Di convitato cavalier le labbra.

Tu, Signor, che farai poi che fie posto
Fine a la mensa, e che, lieve puntando,
La tua Dama gentil fatto avrà cenno,
Che di sorger è tempo? In piè d'un salto
Balza prima di tutti; a lei t'accosta;
La seggiola rimovi; la man porgi;
Guidala in altra stanza; e più non soffri,
Che lo stagnante de le dapi odore
Il célabro le offenda. Ivi con gli altri
Gratissimo vapor t'invita, ond' empie
L'aria il caffe, che preparato fuma
In tavola minor, cui vela ed orna
Indica tela. Ridolente gomma
Quinci arde intanto; e va lustrando e purga
L'aere profano, e fuor caccia del cibo
Le volanti reliquie. Egri mortali,
Cui la miseria e la fidanza un giorno
Sul meriggio guidâro a queste porte;
Tumultuosa, ignuda, atroce folla
Di tronche membra e di squallide facce
E di bare e di grucce, ora da lungi
Vi confortate; e per le aperte nari
Del divin pranzo il néttare beete,
Che favorevol aura a voi conduce.
Ma non osate i limitari illustri
Assediar, fastidioso offrendo

Spettacolo di mali a chi ci regna.

Or la piccola tazza a te conviene
Apprestare, o Signor, che i lenti sorsi
Ministri poi de la tua Dama a i labbri ;
Or memore avvertir, s'ella più goda,
0 sobria o liberal, temprar col dolce
La bollente bevanda; o se più forse
L'ami così, come sorbir la suole
Barbara sposa, allor che molle assisa
Su' broccati di Persia, al suo signore
Con le dita pieghevoli 'l selvoso
Mento vezzeggia; e la svelata fronte
Alzando, il guarda : e quelli sguardi han
possa

Di far, che a poco a poco di man cada
Al suo signore la fumante canna. [scalda
Mentre il labbro e la man v'occupa e
L'odorosa bevanda, altere cose
Macchinerà tua infaticabil mente:
Qual coppia di destrieri oggi de' il carro
Guidar de la tua Dama : o l'alte moli,
Che su le fredde piagge educa il Cimbro;
O quei, che abbeverò la Drava; o quelli,
Che a le vigili guardie un di fuggiro
Da la stirpe Campana. Oggi qual meglio
Si convenga ornamento a i dorsi alteri :
Se semplici e negletti, o se pomposi
Di ricche nappe e variate stringhe
Andran sull'alto collo i crin volando;
E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbie
Ondeggeranno li ritondi fianchi.
Quale oggi cocchio trionfanti al corso
Vi porterà : se quel, cui l'oro copre,
O quel, su le cui tavole pesanti
Saggio pennello i dilicati finse

Studi dell' ago, onde si fregia il capo
E il bel sen la tua Dama; e pieni vetri
Di freschissima linfa e di fior varii
Gli diede a trascinar. Cotanta mole
Di cose a un tempo sol nell'alta mente
Rivolgerai; poi col supremo auriga
Arduo consiglio ne terrai, non senza
Qualche lieve garrir con la tua Dama.
Servi le leggi tue l'auriga : e intanto
Altre v'occupin cure. Il gioco puote
Ora il tempo ingannare, ed altri ancora
Forse ingannar potrà. Tu il gioco eleggi,
Che due soltanto a un tavoliere ammetta:
Tale Amor ti consiglia. Occulto ardea
Già di ninfa gentil misero amante,
Cai null'altra eloquenza usar con lei, [so;
Fuore che quella de gli occhi, era conces-
Poi che il rozzo marito, ad Argo eguale,
Vigilava mai sempre; e quasi biscia

Ora piegando, or allungando il collo,
Ad ogni verbo con gli orecchi acuti
Era presente. Ohimè! Come con cenni,
O con notata tavola giammai,

O con servi sedotti, a la sua ninfa
Chieder pace ed aita? Ogni d' Amore
Stratagemma finissimo vinceva
La gelosia del rustico marito.
Che più lice sperare? Al tempio ei corre
Del nume accorto, che le serpi intreccia
All'aurea verga, e il capo e le calcagna
D'ali fornisce. A lui si prostra umile;
E in questa guisa, lagrimando, il prega :
<< O propizio a gli amanti, o buon figliuolo
« De la candida Maja; o tu, che d'Argo
« Deludesti i cent' occhi, e a lui rapisti
« La guardata giovenca: i preghi accetta
« D'un amante infelice; e a me concedi,
«Se non gli occhi ingannar, gli orecchi
almeno

« D'un marito importuno ». Ecco, si scote Il divin simulacro ; a lui si china; Con la verga pacifica la fronte Gli percote tre volte e il lieto amante Sente dettarsi ne la mente un gioco, Che i mariti assordisce. A lui diresti, Che l'ali del suo piè concesse ancora Il supplicato Dio: cotanto ei vola Velocissimamente a la sua donna ! Là bipartita tavola prepara, Ov' ebano ed avorio intarsiati Regnan sul piano, e partono alternando In dodici magioni ambe le sponde. Quindici nere d' ebano girelle, E d'avorio bianchissimo altrettante, Stan divise in due parti; e moto e norma Da due dadi gittati attendon, pronte Ad occupar le case, e quinci e quindi Pugnar contrarie. Oh cara a la Fortuna Quella, che corre innanzi all' altre, e seco Ha la compagna, onde il nemico assalto Forte sostenga! Oh giocator felice Chi pria l'estrema casa occupa, e l'altro De le proprie magioni ordin rïempie Con doppio segno; e quindi poi, securo Da la falange, il suo rival combatte, E in proprio ben rivolge i colpi ostili! Al tavolier s'assidono ambidue, L'amante cupidissimo e la ninfa : Quella occupa una sponda, e questi l'altra. Il marito col gomito s' appoggia All'un de' lati; ambi gli orecchi tende; E sotto al tavolier di quando in quando Guata con gli occhi. Or l'agitar de i dadi

« ÖncekiDevam »