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Entro a i sonanti bóssoli comincia;
Ora il picchiar de' bossoli sul piano;
Ora il vibrar, lo sparpagliar, l'urtare,
Il cozzar de' due dadi; or de le mosse
Pedine il martellar. Torcesi e freme
Sbalordito il geloso: a fuggir pensa;
Ma rattienlo il sospetto. Il romor cresce,
Il rombazzo, il frastono, il rovinío.
Ei più regger non puote; in piedi balza,
E con ambe le man tura gli orecchi.
Tu vincesti, o Mercurio: il cauto amante
Poco disse; e la bella intese assai.

Tal ne la ferrea età, quando gli sposi
Folle superstizion chiamava all'armi,
Giocato fu. Ma poi che l'aureo fulse
Secol di novo, e che del prisco errore
Si spogliaro i mariti, al sol diletto
La Dama e il Cavalier volsero il gioco,
Che la necessità scoperto avea.
Fu superfluo il romor : di molle panno
La tavola vestissi, e de' patenti
Bossoli 'I sen. Lo schiamazzio molesto
Tal rintuzzossi; e durò al gioco il nome (1),
Che ancor l'antico strepito dinota.

IL VESPRO.

MA de gli augelli e de le fere il giorno E de' pesci squamosi e de le piante E dell' umana plebe al suo fin corre. Già sotto al guardo de la immensa luce Sfugge l'un mondo; e a berne i vivi raggi Cuba s'affretta e il Messico e l'altrice Di molte perle California estrema; E da' maggiori colli e dall'eccelse Rocche il Sol manda gli ultimi saluti All'Italia fuggente; e par che brami Rivederti, o Signor, prima che l'Alpe O l'Appennino o il mar curvo ti celi A gli occhi suoi. Altro finor non vide, Che di falcato mietitore i fianchi, Su le campagne tue piegati e lassi; E su le armate mura or braccia, or spalle, Carche di ferro; e su le aëree capre De gli edificii tuoi man scabre e arsicce; E villan polverosi innanzi a i carri, Gravi del tuo ricolto; e su i canali E su i fertili laghi, irsuti petti

(1) Il Poeta allude al gioco detto il trictrac.

Di remigante, che le alterne merci
A' tuoi comodi guida ed al tuo lusso:
Tutti ignobili aspetti. Or colui veggia,
Che da tutti servito, a nullo serve

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Pronto è il cocchio felice. Odo le rote, Odo i lieti corsier, che all' alma sposa, E a te suo fido cavalier nodrisce Il placido marito. Indi la pompa Alrettasi de' servi; e quindi attende, Con insigni berretti e argentee mazze, Candida gioventù, che al corso agogna I moti espor de le vivaci membra; E nell' audace cor forse presume A te rapir de la tua bella i voti. Che tardi omai? Non vedi tu, com' ella Già con morbide piume a i crin leggieri La bionda, che svani, polve rendette, E con morbide piume in su la guancia Fe' più vermigile rifiorir che mai Le dall' aura predate, amiche rose? Or tu, nato di lei ministro e duce L'assisti all' opra e di novelli odori La tabacchiera e i bei cristalli aurati Con la perita mano a lei rintégra. Tu il ventaglio le scegli, adatto al giorno, E tenta poi fra le giocose dita, Come agevole scorra. Oh qual con lieti, Ne ber celati a te, guardi e sorrisi, Plaude la dama al tuo sagace tatto!

Ecco, ella sorge, e del partir dà cenno. Ma non senza sospetti e senza baci A le vergini ancelle il cane affida, Al par de' giochi, al par de' cari figli Grave sua cura e il misero dolente, Mal tra le braccia contenuto e i petti, Balza e guaisce in suon, che al rude vulgo Ribrezzo porta di stridente lima; E con rara celeste melodía Scende a gli orecchi de la Dama e al core. Mentre così fra i generosi affetti E le intese blandizie e i sensi arguti E del cane e di sè la Bella oblía Pochi momenti, tu di lei più saggio Usa del tempo e a chiaro speglio innante I bei membri, ondeggiando, alquanto libra Su le gracili gambe; e con la destra, Molle verso il tuo sen piegata e mossa, Scopri la gemma, che i bei lini annoda; E in un di quelle, ond'hai sì grave il dito, L'invidiato folgorar cimenta : Poi le labbra componi; ad arte i guardi Tempra, qual più ti giova; e a te sorridi. Alfin, tu da te sciolto, ella dal cane, Ambo alfin v' appressate. Ella da i lumi

Spande sopra di te quanto a lei lascia
D'eccitata pietà l'amata belva;
E tu sopra di lei da gli occhi versi
Quanto in te di piacer destò il tuo volto.
Tal seguite ad amarvi: e insieme avvinti,
Ya a lei sostegno, ella di te conforto,
Itene cmai de' cari nodi vostri
Grato dispetto a provocar nel mondo.
Qual primiera sarà, che da gli amati
Voi, sul Vespro nascente, alti palagi
For conduca, o Signor, voglia leggiadra?
Fia la santa Amista, non più feroce,
Qual ne' prischi eccitar tempi godea
La per l'altro a morir gli agresti eroi;
Ma placata e innocente al par di questi,
Ocde la nostra età sorge si chiara,
Di Giove alti incrementi. Oh, dopo i tardi
De la specchio consigli, e dopo i giochi,
Dopo le mense, amabil Dea! tu insegni,
Cause il giovin marchese al collo balzi
Del giovin conte; e come a lui di baci
Legote imprima; e come il braccio annode
L'uno al braccio dell'altro; e come insieme
Passeggino, elevando il molle mento,
E volgendolo in guisa di colomba;
E palpinsi e sorridansi e rispondansi
Con un vezzoso te. Tu, fra le dame,
Sal mobil arco de le argute lingue
I già pronti a scoccar dardi trattieni,
S altra giugne improvviso, a cui rivolti
Pendean di gia: tu fai, che a lei presente
Non osin dispiacer le fide amiche;
To le carche faretre a miglior tempo
Di serbar le consigli. Or meco scendi ;
E i generosi ulici e i cari sensi

Meco detta al mio eroe; tal che famoso
Per entro al suon de le future etadi
E a Pilade s' eguagli, e a quel che trasse
Il buon Teséo da le Tenarie foci.

Se da i regni, che l'Alpe o il mar divide
Dall' Italico lido, in patria or giunse
I caro amico, e da i perigli estremi
Sorge & arcano mal, che in dubbio tenne
Lunga stagione i fisici eloquenti:
Magnanimo garzone, andrai tu forse,
Trepado ancora per l' amato capo,
A porger voti sospirando? Forse,
Con alma dubbia e palpitante, i detti
E i guardi e il viso esplorerai de' molti,
Che il giudizio di voi, menti si chiare,
Fra i primi assunse d' Esculapio alunni?
O di leni origlieri all'omer lasso
Porrai sostegno, e vital sugo a i labbri
Offrirai di tua mano? O pur, con lieve

Bisso il madido fronte a lui tergendo, E le aurette agitando, il tardo sonno Inviterai a fomentar con l' ali

La nascente salute? Ah! no; tu lascia,
Lascia, che il vulgo di si tenui cure
Le brevi anime ingombri ; e d'un sol atto
Rendi l'amico tuo felice a pieno.

Sai, che fra gli ozii del mattino illustri,
Del gabinetto al tripode sedendo,
Grand' arbitro del bello, oggi creasti
Gli eccellenti nell'arte. Onor cotanto
Basti a darti ragion su le lor menti
E sull' opre di loro. Util ciascuno
A qualch' uso ti fia. Da te mandato
Con acuto epigramma, il tuo poeta
La mentita virtù trafigger puote
D'una bella ostinata; e l' elegante
Tuo dipintor può con lavoro egregio
Tutti dell' amicizia, onde ti vanti,
Compendiar gli ufici in breve carta :
O se tu vuoi, che semplice vi splenda
Di nuda maestade il tuo gran nome;
O se in antica lapide imitata
Inciso il brami; o se, in trofeo sublime
Accumulate, a te mirarvi piace
Le domestiche insegne; indi un lione
Rampicar furibondo; e quindi l'ale
Spiegar l' augel che i fulmini ministra ;
Qua timpani e vessili e lance e spade;
E là scettri e collane e manti e velli,
Cascanti argutamente. Ora ti vaglia
Questa carta, o Signor, serbata all'uopo
Or fia tempo d'usarne. Esca, e con ess
Del caro amico tuo voli a le porte
Alcun de' nunci tuoi : quivi deponga
La téssera beata, e fugga, e torni
Ratto sull' orme tue, pietoso eroe,
Che, già pago di te, ratto a traverso
E de' trivii e del popolo dilegui.
Già il dolce amico tuo, nel cor commosso,
E non senza versar qualche di pianto
Tenera stilla, il tuo bel nome or legge,
Seco dicendo: Oh ignoto al duro vulgo
Sollievo almo de' mali! Oh sol concesso
Facil commercio a noi alme sublimi
E d'affetti e di cure! Or venga il giorno,
Che si grate alternar nobil veci
A me sia dato! Tale, sbadigliando,
Si lascia da la man lenta cadere
L'amata carta; e te, la carta e il nome
Soavemente in grembo al sonno oblía.

Tu fra tanto colà rapido il corso Declinando intraprendi, ove la dâma, Co' labbri desiosi e il premer lungo

Del ginocchio sollecito, ti spigne
Ad altre opre cortesi. Ella non meno
All'imperio possente, a i cari moti
Dell' amistà risponde. A lei non meno
Palpita nel bel petto un cor gentile.

Che fa l'amica sua? Misera! Jeri,
Qual fusse la cagion, fremer fu vista
Tutta improvviso, ed agitar repente
Le vaghe membra. Indomito rigore
Occupolle le cosce, e strana forza
Le sospinse le braccia. Illividiro
I labbri, onde l'Amor l'ali rinfresca;
Enfiò la neve de la bella gola;
E celato candor, da i lini sparsi
Effuso, rivelossi a gli ochi altrui.
Gli Amori si schermiron con la benda:
E indietro rifuggironsi le Grazie.
In vano il cavaliere, in van lo sposo
Tento frenarla, in van le damigelle,
Che su lo sposo e il cavalier e lei
Scorrean col guardo; e poi, ristrette in-
sieme,

Malignamente sorrideansi in volto.
Ella, truce guatando, curvò in arco
Duro e feroce le gentili schiene;
Scalpitò col bel piede; e ripercôsse
La mille volte ribaciata mano
Del tavolier ne le pugnenti sponde.
Livida, pesta, scapigliata e scinta,
Al fin stancò tutte le forze; e cadde
Insopportabil pondo sopra il letto.

Ne fra l'intime stanze, o fra le chiuse
Gemine porte il prezioso evento
Tacque ignoto molt' ore. Ivi la Fama
Con uno il colse de' cent' occhi suoi ;
E il bel pegno rapito usci portando
Fra le adulte matrone, a cui segreto
Dispetto fanno i pargoletti Amori,
Che de la maestà de gli otto lustri
Fuggon, volando a più scherzosi nidi.
Una è fra lor, che gli altrui nodi or cela
Comoda e strigne; or d' ispida virtude
Arma suoi detti; e furibonda in volto
E infiammata ne gli occhi, alto declama,
Interpreta, ingrandisce i sagri arcani
De gli amorosi gabinetti ; e a un tempo
Odiata e desiata, eccita il riso
Or co' propri misteri, or con gli altrui.
La vide, la notò, sorrise alquanto
La volatile Dea; disse: Tu sola

Sai vincere il clamor de la mia tromba. Disse, e in lei si muto. Prese il ventaglio, Prese le tabacchiere, il cocchio ascese; E là venne trottando, ove de' Grandi

È il consesso più folto. In un momento
Lo sbadigliar s'arresta; in un momento
Tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri
Si raccolgono in lei : ed ella al fine
E ansando, e percotendosi, con ambe
Le mani, le ginocchia, il fatto espone,
E del fatto le origini riposte.
Riser le dame allor, pronte domane
A fortuna simíl, se mai le vaghe
Lor fantasie commoverà negato

Da i mariti compenso a un gioco avverso
O in faccia a lor, per deità maggiore,
Negligenza d'amante; o al can diletto
Nata subita tosse: e rise ancora
La tua dama con elle; e in cor dispose
Di teco visitar l' egra compagna.

Ite al pietoso uficio; itene or dunque.
Ma lungo consigliar dûri tra voi,
Pria che a la meta il vostro cocchio arrive.
Se visitar, non già veder l'amica,
Forse a voi piace, tacita a le porte
La volubile rota il corso arresti ;
E il giovanetto messaggier, salendo
Per le scale sublimi, a lei v'annunzii
Si, che voi non volenti ella non voglia.
Ma se vaghezza poi ambo vi prende
Di spiar chi sia seco, e di turbarle
L'anima un poco, e ricercarle in volto
De' suoi casi la serie : il cocchio allora
Entri; e improvviso ne rimbombi e frema
L'atrio superbo. Egual piacere inonda
Sempre il cor de le belle, o che opportune,
O giungano importune a le lor pari.

Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all' altro Già premonsi, abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno;

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Già strette per la man, co' dotti fianchi
Ad un tempo amendue cadono a piombo
Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto
Vibra al cor dell'amica ; e a i casi allude
Che la fama narrò : quella repente
Con un altro l'assale. Una nel viso
Di bell'ire s'infiamma; e l'altra i vaghi
Labbri un poco si morde: e cresce intanto
E quinci ognor più violento e quindi
Il trepido agitar de i duo ventagli.
Così, se mai, al secol di Turpino,
Di ferrate guerriere un paro illustre
Si scontravan per via, ciascuna ambiva
L'altra provar quel che valesse in arme;
E dopo le accoglienze oneste e belle,
Abbassavan lor lance, e co' cavalli
Urtavansi feroci; indi infocate

Di magnanima stizza, i gran tronconi
Gittavan via de lo spezzato cerro,
E correan con le destre a gli elsi enormi.
Ma di lontan per l'alta selva fiera
La messaggier con clamoroso suono
Venir s'udiva galoppando; e l'una
Richiamare a Re Carlo, o al campo l'altra
Del giovane Agramante. Osa tu pure,
Osa, invitto Garzone, il ciuffo e i ricci,
Si ben finti stamane, all' urto esporre
De' ventagli sdegnati; e a nuove imprese
La tua bella invitando, i casi estremi
De la pericolosa ira sospendi.

Oh solenne a la patria, o all'orbe intero
Giorno fausto e beato, al fin sorgesti
Di non più visto in ciel roseo splendore
A sparger l'orizzonte! Ecco, la sposa
Dirami eccelsi l'inclit' alvo al fine
Seravo di maschia desiata prole
La prima volta. Da le lucid' aure
Fu il nobile vagito accolto a pena,
Che cento messi a precipizio usciro,
Con le gambe pesanti e lo spron duro
Stimolando i cavalli, e il gran convesso
Dell'etere sonoro alto ferendo

Di scutiche e di corni: e qual si sparse
Per le cittadi popolose, e diede
A i famosi congiunti il lieto annunzio ;
E qual, per monti a stento rampicando,
Trovo le rocche e le cadenti mura
De' prischi feudi, ove la polve e l'ombra
Abita e il gufo; e i rugginosi ferri
Sopra le rote mal sedenti, al giorno
Di novo espose, e fe' scoppiarne il tuono;
Ei gioghi de' vassalli e le vallée
Ampie e le marche del gran caso empiéo.
Ne le Muse devote, onde gran plauso
Venne l'altr'anno agl'imenei felici,
Gia si tacquero al parto. Anzi, qual suole
La su la notte dell'ardente agosto
Turba di grilli, e, più lontano ancora,
Innumerabil popolo di rane,
Sparger d'alto frastuono i prati e i laghi,
Mentre cadon su lor, fendendo il buio,
Lucide strisce, e le paludi accende
Fiamma improvvisa, che lambisce e vola;
Tal sorsero i cantori a schiera a schiera;
E tal piovve su lor foco febéo,
Che di motti ventosi alta compagine
Fe' dividere in righe, o in simil suono
Uscir pomposamente. Altri scoperse
In que' vagiti Alcide; altri d'Italia
Il soccorso promise; altri a Bizanzio
Minaccio lo sterminio. A tal clamore

Non ardi la mia Musa unir sue voci;
Ma del parto divino al molle orecchio
Appresso non veduta; e molto in poco
Strinse, dicendo: Tu sarai simile
Al tuo gran genitore

Già di cocchi frequente il corso splen-
E di mille, che là volano rote, [de;
Rimbombano le vie. Fiero per nova
Scoperta biga il giovane leggiadro,
Che cesse al carpentier gli aviti campi,
Là si scorge tra i primi. All' un de' lati
Sdraiasi tutto, e de le stese gambe
La snellezza dispiega. A lui nel seno
La conoscenza del suo merto abbonda,
E con gentil sorriso arde e balena
Su la vetta del labbro; o da le ciglia,
Disdegnando, de' cocchi signoreggia
La turba inferior. Soave intanto
Egli alza il mento, e il gomito protende;
E mollemente la man ripiegando,
I merletti finissimi sull' alto
Petto si ricompon con le due dita.
Quinci vien l'altro, che pur oggi al cocchio
Da i casali pervenne; e già s' ascrive
Al concilio de' Numi. Egli oggi impara
A conoscere il vulgo; e già da quello
Mille miglia lontan sente rapirsi
Per lo spazio de' cieli. A lui davanti
Ossequiosi cadono i cristalli

De' generosi cocchi, oltrepassando;
E il lusingano ancor, perchè sostegno
Sia de la pompa loro. Altri ne viene,
Che di compro pur or titol si vanta;

E

pur s'affaccia ; e pur gli orecchi porge;
E pur sembragli udir da tutti i labbri
Sonar le glorie sue. Mal abbia il lungo
De le rote stridore e il calpestio
De' ferrati cavalli e l'aura e il vento,
Che il bel tenor de le bramate voci
Scender non lascia a dilettargli il core.
Di momento in momento il fragor cresce,
E la folla con esso. Ecco le vaghe,
A cui gli amanti per lo di solenne
Mendicarono i cocchi. Ecco le gravi
Matrone, che gran tempo arser di zelo
Contro al bel mondo, e dell' ignoto corso
La scelerata polvere dannaro;

Ma poi che la vivace, amabil prole [ne,
Crebbe, einvitar sembrò con gli occhi Ime-
Cessero al fine; e le tornite braccia,
E del sorgente petto i rugiadosi
Frutti prudentemente al guardo apriro
De i nipoti di Giano. Affrettan quindi

Le belle cittadine, ora è più lustri,
Note a la Fama, poi che a i tetti loro
Dedussero gli Dei, e sepper meglio
E in più tragico stil da la teletta
A i loro amici declamar l'istoria
De' rotti amori, ed agitar repente
Con celebrata convulsion la mensa,
Il teatro e la danza. Il lor ventaglio
Irrequieto sempre or quinci, or quindi
Con variata eloquenza esce e saluta.
Convolgonsi le belle: or sull' un fianco,
Or su l'altro si posano, tentennano,
Volteggiano, si rizzan, sul cuscino
Ricadono pesanti ; e la lor voce
Acuta scorre d'uno in altro cocchio.

Ma ecco al fin, che le divine spuse
Degl' Italici eroi vengono anch'esse.
lo le conosco a i messaggier volanti,
Che le annuncian da lungi, ed urtan fieri
E rompono la folla; io le conosco
Da la turba de' servi, al vomer tolti,
Perche oziosi poi di retro pendano
Al carro trionfal con alte braccia.
Male a Giuno ed a Pallade Minerva
E a Cinzia e a Citeréa mischiarvi osate
Voi, pettorute Najadi e Napée,
Vane di piccol fonte o d'umil selva,
Che a gli Egipani vostri in guardia diede
Giove dall'alto. Vostr' incerti sguardi,
Vostra frequente inane maraviglia,
E l'aria alpestre ancor de' vostri moti
Vi tradiscono, ahi lasse! e rendon vana
La multiplice in fronte a i palafreni
Pendente nappa, ch'usurpar tentaste,
E la divisa, onde copriste il mozzo
E il cucinier, che la seguace corte
Accrebber stanchi, e i miseri lasciaro,
Canuti padri di famiglia soli

Ne la muta magion serbati a chiave.
Troppo da voi diverse esse ne vanno
Ritte ne gli alti cocchi alteramente;
E a la turba volgare, che si prostra,
Non badan punto. A voi talor si volge
Lor guardo negligente, e par che dica:
Tu ignota mi sei; o nel mirarvi,
Col compagno susurrano ridendo.

Le giovinette madri de gli eroi
Tutto empierono il corso; e tutte han seco
Un giovinetto eroe, o un giovin padre
D'altri futuri eroi, che a la teletta,
A la mensa, al teatro, al corso, al gioco
Segnaleransi un giorno; e fien cantati,
S'io scorgo l'avvenir, da tromba, eguale
A quella, che a me diede Apollo, e disse:

Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti
Del secol tuo. Sol tu manchi, o pupilla
Del più nobile mondo: ora ne vieni;
E del rallegrator dell'universo
Rallegra or tu la moribonda luce.

Già târda a la tua dama, e già con essa
Precipitosamente al corso arrivi.
Il memore cocchier serbi quel loco,
Che voi dianzi sceglieste; e voi non osi
Tra le ignobili rote al vulgo esporre,
Se star fermi a voi piace; ed oltre scorra,
Se di scorrer v'aggrada, e a i guardi altrui
Spiegar gioie novelle e nuove paci,
Che la pubblica fama ignori ancora.
Ne conteso a te fia per brevi istanti
Uscir del cocchio; e sfolgorando intorno,
Qual da repente spalancata nube,
Tutti scoprir di tua bellezza i rai,
Nel tergo, ne le gambe e nel sembiante,
Simile a un Dio; poi che a te, non meno
Che all' altro Semideo, Venere diede
E zazzera leggiadra e porporino
Splendor di gioventù, quando stamane
A lo speglio sedesti. Ecco, son pronti
Al tuo scendere i servi. Un salto ancora
Spicca, e rassetta gl'increspati panni
E le trine sul petto; un po' t'inchina;
A i lucidi calzari un guardo volgi;
Ergiti, e marcia dimenando il fianco.
O il Corso misurar potrai soletto,
Se passeggiar tu brami; o tu potrai
Dell' altrui dame avvicinarti al cocchio,
E inerpicarti, ed introdurvi il capo
E le spalle e le braccia, e mezzo ancora
Dentro versarte. Ivi salir tant' alto
Fa le tue risa, che da lunge le oda
La tua dama, e si turbi, ed interrompa
Il celiar de gli eroi, che accorser tosto
Tra il dubbio giorno a custodirla, intanto
Che solinga rimase. Oh sommi Numi,
Sospendete la Notte; e i fatti egregi
Del mio giovin Signor splender lasciate
Al chiaro giorno! Ma la Notte segue
Sue leggi inviolabili, e declina
Con tacit'ombra sopra l'emispero;
E il rugiadoso piè lenta movendo,
Rimescola i color vari, infiniti;

E via gli sgombra con l'immenso lembo
Di cosa in cosa; e, suora de la morte,
Un aspetto indistinto, un solo volto
Al suolo, a i vegetanti, a gli animali,
A i grandi ed a la plebe, equa permette ;
Ei nudi insieme e li dipinti visi

De le belle confonde e i cenci e l'oro;

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