IL VESPRO.- LA NOTTE. ALLA MODA. Lever da queste carte i cisposi occhi, già da un secolo rintuzzati; lungi i fluidi nasi de' malinconici vegliardi. Qui non si tratta di gravi ministeri nella patria esercitati; non di severe lezgi; non di annoiante domestica economia, misero appannaggio della canuta età. A te, vezzosissima Dea, che con sì dolci redine oggi temperi e governi la nostra brillante gioventù, a te sola questo piccolo Libretto si dedica e si consagra. Chi è che te qual sommo Nume oggimai non riverisca ed onori; poichè in sì breve tempo se' gianta a debellar la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso, e l'Ordine seccagginoso, tuoi capitali nemici; ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato? Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione, chè forse non n'è indegno, questo piccolo Poemetto. Ta il reca su i pacifici altari, ove le gentili Dame e gli amabili Garzoni sagrificano a sè medesimi le mattutine ore. Di questo solo egli è vago; e di questo solo andra superbo e contento. Per esserti più caro, egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in Versi Sciolti; sapendo; che tu di questi specialmente ora godi, e ti compiaci. Esso non aspira all'immortalità, come altri libri, troppo lasingati da' loro Autori, che in, repentinamente sopravvenendo, hai seppelIti nell'oblio. Siccome egli è per te nato, e consagrato a te sola; così fie pago di vivere quel solo momento, che tu ti mostri sotto un medeSo aspetto, e pensi a cangiarti, e risorgere in più graziose forme. Se a te piacerà di riguar dare con placid' occhio questo Mattino, forse gli sacredera il Mezzogiorno, e la Sera; e il loro Autore si studierà di comporli ed ornarli in modo, che, non men di questo, abbiano ad esserti cari. IL MATTINO. GIOVIN Signore, oa te scenda per lungo Di magnanimi lombi ordine il sangue Purissimo, celeste: o in te del sangue Emendino il diffetto i compri onori, E le adunate in terra o in mar ricchezze Dal genitor frugale in pochi lustri : Me precettor d'amabil rito ascolta. Come ingannar questi noiosi e lenti Già l' are a Vener sacre e al giocatore Sorge il Mattino in compagnia dell'Alba Innanzi al Sol, che di poi grande appare Sull' estremo orizzonte a render lieti Gli animali e le piante e i campi e l'onde. Allora il buon villan sorge dal caro Letto, cui da fedel sposa, c i minori Suoi figlioletti intepidîr la notte; Poi sul collo recando i sacri arnesi, Che prima ritrovâr Cerere e Pale, [te Va, col bue lento innanzi, al campo; e scuoLungo il picciol sentier da' curvi rami Il rugiadoso umor, che, quasi gemma, I nascenti del Sol raggi rifrange. Allora sorge il fabbro, e la sonante Officina riapre; e all' opre torna, L'altro di non perfette: o se di chiave Ardua e ferrati ingegni all' inquieto Ricco l'arche assecura, o se d'argento E d'oro incider vuol gioielli e vasi Per ornamento a nuove spose, o a mense. Mache? Tu inorridisci, e mostri in capo, Qual istrice pungente, irti i capegli Al suon di mie parole ? Ah! non è questo, Signore, il tuo mattin. Tu col cadente Sol non sedesti a parca mensa ; e, al lume Dell' incerto crepuscolo, non gisti Jeri a corcarti in male agiate piume, Come dannato è a far l'umile vulgo. A voi, celeste prole, a voi, concilio Di Semidei terreni, altro concesse Giove benigno e con altr' arti e leggi Per novo calle a me convien guidarvi. : Tu tra le veglie, e le canore scene, E il patetico gioco, oltre più assai Producesti la notte; e stanco al fine, In aureo cocchio, col fragor di calde Precipitose rote, e il calpestio Di volanti corsier, lunge agitasti Il queto aere notturno, e le tenébre Con fiaccole superbe intorno apristi: Siccome allor che il siculo terreno Dall' uno all' altro mar rimbombar feo Pluto col carro, a cui splendeano innanzi Le tede de le Furie anguicrinite, Cosi tornasti a la magion; ma quivi A novi studi ti attendea la mensa, Cui ricopríen pruriginosi cibi, E licor lieti di Francesi colli, O d' Ispani, o di Toschi, o l' Ongarese Bottiglia, a cui di verde edera Bacco Concedette corona, e disse: siedi De le mense reïna. Al fine il Sonno Ti sprimacciò le morbide coltrici Di propria mano; ove te accolto, il fido Servo calò le seriche cortine; E a te soavemente i lumi chiuse Il gallo, che li suole aprire altrui. Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi Non sciolga da' papaveri tenaci Morfeo prima che, già grande, il giorno Tenti di penetrar fra gli spiragli De le dorate imposte, e la parete Pingano a stento in alcun lato i raggi Del Sol, ch' eccelso a te pende sul capo. Or qui principio le leggiadre cure Denno aver del tuo giorno; e quinci io debSciorre il mio legno, e co' precetti miei Te ad alte imprese ammaestrar cantando. Già i valletti gentili udir lo squillo Del vicino metal, cui da lontano Scosse tua man col propagato moto, E accorser pronti a spalancar gli opposti Schermi a la luce; e rigidi osservaro, Che con tua pena non osasse Febo [bo Entrar diretto a saettarti i lumi. Ma già il ben pettinato entrar di novo Certo fu d'uopo, che dal prisco seggio Uscisse un regno, e con ardite vele, Fra straniere procelle e novi mostri, E teme e rischi ed inumane fami, Superasse i confin, per lunga etade Inviolati ancora; e ben fu dritto, Se Cortes e Pizzarro umano sangue Non istimar quel ch'oltre l'Oceano Scorrea le umane membra; onde tonando E fulminando, al fin spietatamente Balzaron giù da' loro aviti troni Re Messicani, e generosi Incassi ; Poi che nuove così venner delizie, O gemma degli eroi, al tuo palato. Cessi'l cielo però, che in quel momento, Che la scelta bevanda a sorbir prendi, Servo indiscreto a te improvviso annunzi Mastro, che i piedi tuoi, come a lui pare, Inchini 'l mento, e con l'estrema falda Ne la squisita a terminar corona Che da la Senna, de le Grazie madre, De' soprumani accenti, odio ti nasca [bra, Or te questa, o Signor, leggiadra schiera Trattenga al novo giorno; e di tue voglie, Irresolute ancora, or l'uno, or l'altro Con piacevoli detti il vano occúpi; Mentre tu chiedi lor, tra i lenti sorsi Dell'ardente bevanda, a qual cantore Nel vicin verno si darà la palma (1) ALAMANNI, La Coltivazione del Riso. Sopra le scene; e s' egli è il ver che rieda Poi che così gran pezzo a' primi albori Del tuo mattin teco scherzato fia, Non senz' aver licenziato prima L'ipocrita Pudore, e quella schifa, Cui le accigliate, gelide matrone Chiaman Modestia; al fine, o a lor talento, O da te congedati, escan costoro. Doman si potrà poscia, o forse l'altro Giorno, a' precetti lor porgere orecchio, Se meno ch'oggi a te cure dintorno Porranno assedio. A voi divina schiatta, Vie più che a noi mortali, il ciel concesse Domabile midollo entro al cerebro; Si che breve lavor basta a stamparvi Novelle idee. In oltre a voi fu dato Tal de' sensi e de' nervi e de gli spirti Moto e struttura, che ad un tempo mille Penetrar puote e concepir vostr' alma Cose diverse; e non però turbarle, O confonder giammai, ma scevre e chiare Ne' loro alberghi ricovrarle in mente. Il vulgo intanto, a cui non dessi il velo Aprir de' venerabili misteri, Fie pago assai, poi che vedrà sovente Ire e tornar dal tuo palagio i primi D'arte maestri; e con aperte fauci Stupefatto berà le tue sentenze. Ma giá vegg'io, che le oziose lane Soffrir non puoi più lungamente, e in vano Te l'ignavo tepor lusinga e molce; Però che or te più gloriosi affanni Aspettan l' ore a trapassar del giorno. Su dunque, o voi del primo ordine servi, Che de gli alti Signor ministri al fianco Siete incontaminati; or dunque voi Al mio divino Achille, al mio Rinaldo L'armi apprestate. Ed ecco in un baleno I tuoi valletti a' cenni tuoi star pronti. Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste La serica zimarra, ove disegno Diramasi Chinese; altri, se il chiede Più la stagione, a te le membra copre Di stese infino al pie tiepide pelli. Questi al fianco ti adatta il bianco lino, Che sciorinato poi cada, e difenda I calzonetti; e quei, d'alto curvando Il cristallino rostro, in su le mani Ti versa acque odorate, e da le mani |