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OPERE SCELTE

DI GIUSEPPE PARINI.

IL GIORNO.

ODI, CANZONETTE, SONETTI.

POESIE DIVERSE.

IL VESPRO.- LA NOTTE.

ALLA MODA.

Lever da queste carte i cisposi occhi, già da un secolo rintuzzati; lungi i fluidi nasi de' malinconici vegliardi. Qui non si tratta di gravi ministeri nella patria esercitati; non di severe lezgi; non di annoiante domestica economia, misero appannaggio della canuta età. A te, vezzosissima Dea, che con sì dolci redine oggi temperi e governi la nostra brillante gioventù, a te sola questo piccolo Libretto si dedica e si consagra. Chi è che te qual sommo Nume oggimai non riverisca ed onori; poichè in sì breve tempo se' gianta a debellar la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso, e l'Ordine seccagginoso, tuoi capitali nemici; ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato? Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione, chè forse non n'è indegno, questo piccolo Poemetto. Ta il reca su i pacifici altari, ove le gentili Dame e gli amabili Garzoni sagrificano a sè medesimi le mattutine ore. Di questo solo egli è vago; e di questo solo andra superbo e contento. Per esserti più caro, egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in Versi Sciolti; sapendo; che tu di questi specialmente ora godi, e ti compiaci. Esso non aspira all'immortalità, come altri libri, troppo lasingati da' loro Autori, che in, repentinamente sopravvenendo, hai seppelIti nell'oblio. Siccome egli è per te nato, e consagrato a te sola; così fie pago di vivere quel solo momento, che tu ti mostri sotto un medeSo aspetto, e pensi a cangiarti, e risorgere in più graziose forme. Se a te piacerà di riguar dare con placid' occhio questo Mattino, forse gli sacredera il Mezzogiorno, e la Sera; e il loro Autore si studierà di comporli ed ornarli in modo, che, non men di questo, abbiano ad esserti cari.

IL MATTINO.

GIOVIN Signore, oa te scenda per lungo Di magnanimi lombi ordine il sangue Purissimo, celeste: o in te del sangue Emendino il diffetto i compri onori, E le adunate in terra o in mar ricchezze Dal genitor frugale in pochi lustri : Me precettor d'amabil rito ascolta.

Come ingannar questi noiosi e lenti
Giorni di vita, cui si lungo tedio,
E fastidio insoffribile accompagna,
Or io t' insegnerò. Quali al Mattino,
Quai dopo il Mezzodi, quali la Sera
Esser debban tue cure apprenderai,
Se in mezzo a gli ozii tuoi ozio ti resta
Pur di tender gli orecchi a' versi miei.

Già l' are a Vener sacre e al giocatore
Mercurio, ne le Gallie e in Albione
Devotamente hai visitate; e porti
Pur anco i segni del tuo zelo impressi.
Ora è tempo di posa. In vano Marte
A sè t'invita; chè ben folle è quegli,
Che a rischio de la vita onor si merca:
E tu naturalmente il sangue abborri.
Ne i mesti de la Dea Pallade studi
Ti son meno odïosi: avverso ad essi
Ti feron troppo i queruli ricinti,
Ove l' arti migliori e le scienze,
Cangiate in mostri, e in vane orride larve,
Fan le capaci volte eccheggiar sempre
Di giovanili strida. Or primamente
Odi, quali il Mattino a te soavi
Cure debba guidar con facil mano.

Sorge il Mattino in compagnia dell'Alba Innanzi al Sol, che di poi grande appare Sull' estremo orizzonte a render lieti Gli animali e le piante e i campi e l'onde. Allora il buon villan sorge dal caro Letto, cui da fedel sposa, c i minori Suoi figlioletti intepidîr la notte; Poi sul collo recando i sacri arnesi, Che prima ritrovâr Cerere e Pale, [te Va, col bue lento innanzi, al campo; e scuoLungo il picciol sentier da' curvi rami Il rugiadoso umor, che, quasi gemma, I nascenti del Sol raggi rifrange. Allora sorge il fabbro, e la sonante Officina riapre; e all' opre torna, L'altro di non perfette: o se di chiave Ardua e ferrati ingegni all' inquieto Ricco l'arche assecura, o se d'argento E d'oro incider vuol gioielli e vasi Per ornamento a nuove spose, o a mense.

Mache? Tu inorridisci, e mostri in capo, Qual istrice pungente, irti i capegli Al suon di mie parole ? Ah! non è questo, Signore, il tuo mattin. Tu col cadente Sol non sedesti a parca mensa ; e, al lume Dell' incerto crepuscolo, non gisti Jeri a corcarti in male agiate piume, Come dannato è a far l'umile vulgo.

A voi, celeste prole, a voi, concilio Di Semidei terreni, altro concesse Giove benigno e con altr' arti e leggi Per novo calle a me convien guidarvi.

:

Tu tra le veglie, e le canore scene, E il patetico gioco, oltre più assai Producesti la notte; e stanco al fine, In aureo cocchio, col fragor di calde Precipitose rote, e il calpestio Di volanti corsier, lunge agitasti Il queto aere notturno, e le tenébre Con fiaccole superbe intorno apristi: Siccome allor che il siculo terreno Dall' uno all' altro mar rimbombar feo Pluto col carro, a cui splendeano innanzi Le tede de le Furie anguicrinite,

Cosi tornasti a la magion; ma quivi A novi studi ti attendea la mensa, Cui ricopríen pruriginosi cibi, E licor lieti di Francesi colli, O d' Ispani, o di Toschi, o l' Ongarese Bottiglia, a cui di verde edera Bacco Concedette corona, e disse: siedi De le mense reïna. Al fine il Sonno Ti sprimacciò le morbide coltrici Di propria mano; ove te accolto, il fido Servo calò le seriche cortine; E a te soavemente i lumi chiuse Il gallo, che li suole aprire altrui. Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi Non sciolga da' papaveri tenaci Morfeo prima che, già grande, il giorno Tenti di penetrar fra gli spiragli De le dorate imposte, e la parete Pingano a stento in alcun lato i raggi Del Sol, ch' eccelso a te pende sul capo. Or qui principio le leggiadre cure Denno aver del tuo giorno; e quinci io debSciorre il mio legno, e co' precetti miei Te ad alte imprese ammaestrar cantando. Già i valletti gentili udir lo squillo Del vicino metal, cui da lontano Scosse tua man col propagato moto, E accorser pronti a spalancar gli opposti Schermi a la luce; e rigidi osservaro, Che con tua pena non osasse Febo

[bo

Entrar diretto a saettarti i lumi.
Ergiti or tu alcun poco; e si ti appoggia
A gli origlieri i quai lenti gradando,
All' omero ti fan molle sostegno.
Poi coll' indice destro lieve lieve
Sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua
Quel che riman de la Cimmeria nebbia;
E de' labbri formando un picciol arco,
Dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
Oh! se te in si gentile atto mirasse
Il duro capitan, qualor tra l'armi,
Sgangherando le labbra, innalza un grido,
Lacerator di ben costrutti orecchi,
Onde a le squadre vari moti impone;
Se te mirasse allor, certo vergogna
Avria di sè, più che Minerva il giorno,
Che di flauto sonando, al fonte scorse
Il turpe aspetto de le guance enfiate.

Ma già il ben pettinato entrar di novo
Tuo damigello i' veggo. Egli a te chiede,
Quale oggi più de le bevande usate
Sorbir ti piaccia in preziosa tazza.
Indiche merci son tazze e bevande :
Scegli qual più desii. S'oggi ti giova
Porger dolci a lo stomaco fomenti;
Si che con legge il natural calore
V'arda temprato, e al digerir ti vaglia ·
Scegli 'I brun cioccolatte, onde tributo
Ti dà il Guatimalese e il Caribéo,
Ch' ha di barbare penne avvolto il crine.
Ma se noiosa ipocondría t'opprime;
O troppo intorno a le vezzose membra
Adipe cresce de' tuoi labbri onora
La nettarea bevanda, ove abbronzato
Fuma ed arde il legume, a te d'Aleppo
Giunto e da Moka, che di mille navi
Popolata mai sempre, insuperbisce.

Certo fu d'uopo, che dal prisco seggio Uscisse un regno, e con ardite vele, Fra straniere procelle e novi mostri, E teme e rischi ed inumane fami, Superasse i confin, per lunga etade Inviolati ancora; e ben fu dritto, Se Cortes e Pizzarro umano sangue Non istimar quel ch'oltre l'Oceano Scorrea le umane membra; onde tonando E fulminando, al fin spietatamente Balzaron giù da' loro aviti troni Re Messicani, e generosi Incassi ; Poi che nuove così venner delizie, O gemma degli eroi, al tuo palato.

Cessi'l cielo però, che in quel momento, Che la scelta bevanda a sorbir prendi, Servo indiscreto a te improvviso annunzi

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Mastro, che i piedi tuoi, come a lui pare,
Guida e corregge. Egli all' entrar si fermi
Pitto sul limitare; indi, elevando
Ambe le spalle, qual testudo, il collo
Contragga alquanto; e ad un medesmo
tempo

Inchini 'l mento, e con l'estrema falda
Del piumato cappello il labbro tocchi.
Non meno di costui facile al letto
Del mio Signor t'accosta, o tu, che addestri
A modular con la flessibil voce
Teneri canti; e tu che mostri altrui,
Come vibrar con maestrevol arco
Sal cavo legno armoniose fila.

Ne la squisita a terminar corona
Dintorno al letto tuo manchi, o Signore,
Il precettor del tenero idioma,

Che da la Senna, de le Grazie madre,
Or ora a sparger di celeste ambrosia
Venne all'Italia nauseata i labbri.
All'apparir di lui l'itale voci
Tronche cedano il campo al lor tiranno;
E a la nova ineffabile armonia

De' soprumani accenti, odio ti nasca [bra,
Più grande in sen contro a le impure lab-
Ch'osan macchiarsi ancor di quel sermo-
Onde in Valchiusa fu lodata e pianta [ne,
Gia la bella Francese; ed onde i campi
All' orecchio de i Re cantati furo
⚫Lungo il fonte gentil de le belle acque (1):
Misere labbra, che temprar non sanno
Con le galliche grazie il sermon nostro,
Si che men aspro a' dilicati spirti,
E men barbaro suon fieda gli orecchi!

Or te questa, o Signor, leggiadra schiera Trattenga al novo giorno; e di tue voglie, Irresolute ancora, or l'uno, or l'altro Con piacevoli detti il vano occúpi; Mentre tu chiedi lor, tra i lenti sorsi Dell'ardente bevanda, a qual cantore Nel vicin verno si darà la palma

(1) ALAMANNI, La Coltivazione del Riso.

Sopra le scene; e s' egli è il ver che rieda
L'astuta Frine, che ben cento folli
Milordi rimandò nudi al Tamigi;
O se il brillante danzator Narcisso
Tornerà pure ad agghiacciare i petti
De' palpitanti italici mariti.

Poi che così gran pezzo a' primi albori Del tuo mattin teco scherzato fia, Non senz' aver licenziato prima L'ipocrita Pudore, e quella schifa, Cui le accigliate, gelide matrone Chiaman Modestia; al fine, o a lor talento, O da te congedati, escan costoro. Doman si potrà poscia, o forse l'altro Giorno, a' precetti lor porgere orecchio, Se meno ch'oggi a te cure dintorno Porranno assedio. A voi divina schiatta, Vie più che a noi mortali, il ciel concesse Domabile midollo entro al cerebro; Si che breve lavor basta a stamparvi Novelle idee. In oltre a voi fu dato Tal de' sensi e de' nervi e de gli spirti Moto e struttura, che ad un tempo mille Penetrar puote e concepir vostr' alma Cose diverse; e non però turbarle, O confonder giammai, ma scevre e chiare Ne' loro alberghi ricovrarle in mente.

Il vulgo intanto, a cui non dessi il velo Aprir de' venerabili misteri, Fie pago assai, poi che vedrà sovente Ire e tornar dal tuo palagio i primi D'arte maestri; e con aperte fauci Stupefatto berà le tue sentenze.

Ma giá vegg'io, che le oziose lane Soffrir non puoi più lungamente, e in vano Te l'ignavo tepor lusinga e molce; Però che or te più gloriosi affanni Aspettan l' ore a trapassar del giorno. Su dunque, o voi del primo ordine servi, Che de gli alti Signor ministri al fianco Siete incontaminati; or dunque voi Al mio divino Achille, al mio Rinaldo L'armi apprestate. Ed ecco in un baleno I tuoi valletti a' cenni tuoi star pronti. Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste La serica zimarra, ove disegno Diramasi Chinese; altri, se il chiede Più la stagione, a te le membra copre Di stese infino al pie tiepide pelli. Questi al fianco ti adatta il bianco lino, Che sciorinato poi cada, e difenda I calzonetti; e quei, d'alto curvando Il cristallino rostro, in su le mani Ti versa acque odorate, e da le mani

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