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Né veder mi concede all' aere cieco, Qual de' cocchi si parta, o qual rimanga Solo all'ombre segrete; e, a me di mano Tolto il pennello, il mio Signore avvolge Per entro al tenebroso, umido velo.

LA NOTTE.

Ne tu contenderai, benigna Notte,
Che il mio Giovane illustre io cerchie guidi
Con gli estremi precetti entro al tuo regno.
Gia di tenebre involta e di perigli,
Sola, squallida, mesta alto sedevi
Sa fa timida terra. Il debil raggio
De le stelle remote e de' pianeti,
Che nel silenzio camminando vanno,
Rompea gli orrori tuoi sol quanto è d'uopo
A sentirli vie piu. Terribil ombra
Giganteggiando si vedea salire

Su per le case e su per l'alte torri,
Di teschi antiqui seminate al piede;
Eúpape, e guli, e mostri, avversi al Sole,
Svolazzavan per essa, e con ferali
Stridi portavan miserandi augurii;
E lievi dal terreno e smorte fiamme
Di su di giù vagavano per l'aëre,
Orribilmente tacito ed opaco;
E al sospettoso adultero, che lento
Col cappel su le ciglia, e tutto avvolto
Nel mantel se ne gia con l'armi ascose,
Colpieno il core, e lo strignean d'affanno.
E fama e ancor, che pallide fantasime,
Lungo le mura de i deserti tetti,
Spargean lungo acutissimo lamento,
Cui di lontan per entro al vasto buio
Ieani rispondevano ululando.

Tal fosti, o Notte, allor che gl'inclitʼavi,
Oude pur sempre il mio Garzon si vanta,
Eran duri ed alpestri, e con l'occaso
Cadean, dopo lor cene, al sonno in preda;
Fin che l' Aurora, sbadigliante ancora,
Li richiamasse a vigilar sull' opre
De i per novo cammin guidati rivi,
E su i campi nascenti ; onde poi grandi
Furo i nepoti e le cittadi e i regni.

Ma ecco Amore; ecco la madre Venere; Ecco del gioco, ecco del fasto i Genii, Che trionfanti per la notte scorrono; Per la notte, che sacra è al mio Signore. Tutto davanti a lor, tutto s'irradia

Di nova luce. Le nimiche tenebre
Fuggono riversate, e l' ali spandono
Sopra i covili, ove le fere e gli uomini,
Da la fatica condannati dormono.
Stupefatta la Notte intorno vedesi
Riverberar, più che dinanzi al Sole,
Auree cornici, e di cristalli e spegli
Pareti adorne, e vestimenti vari,
E bianche braccia, e pupillette mobili,
E tabacchiere preziose, e fulgide
Fibbie ed anella, e mille cose e mille.
Così l'eterno caos, allor che Amore
Sopra posovvi e il fomento con l'ale,
Senti il generator moto crearse;
Senti schiuder la luce; e se medesmo
Vide meravigliando, e tanti aprirse
Tesori di natura entro il suo grembo.

O de' miei studi generoso Alunno,
Tu seconda me dunque, or ch'io t'invito
Glorie novelle ad acquistar, là dove
O la veglia frequente o l'ampia scena
I grandi eguali tuoi degna de gli avi
E de i titoli loro e di lor sorte
E de i pubblici voti ultima cura,
Dopo le tavolette e dopo i prandi
E dopo i corsi clamorosi occupa.

Ma dove, ahi dove senza me t'aggiri, Lasso! da poi che in compagnia del Sole T'involasti pur dianzi a gli occhi miei? Qual palagio ti accoglie, o qual ti copre Da i nocenti vapor, ch' Espero mena, Tetto arcano e solingo; o di qual via L'ombre ignoto trascorri, ove la plebe, Affrettando tenton, s'urta e confonde? Ahime! tolgalo il ciel, forse il tuo cocchio, Ove il varco e più angusto, il cocchio altrui Incontro violento : e qual de i duo Retroceder convenga, e qual star forte, Dispútano gli aurighi, alto gridando. Sdegna, egregio Garzon, sdegna d'alzare Fra il rauco suon di Sténtori plebei Tu' amabil voce; e taciturno aspetta, Sia che all' un piaccia riversar dal carro Lo suo rivale, o riversato anch'esso Perigliar tra le rote, e te per l'alto De lo infranto cristal mandar carpone. Ma l'avverso cocchier, d'un picciol urto Pago, sen fugge, o d'un resister breve: Alfin libero andrai. Tu, non per tanto, Doman chiedi vendetta, alto sonare Fa il sacrilego fatto; osa, pretendi; E i tribunali minimi e i supremi Sconvolgi, agita, assorda; il mondo s'empia Del grave caso; e per un anno almeno

Parli di te, de' tuoi corsier, del cocchio
E del cocchiere. Di si fatte cose,
Voi, progenie d' eroi, famosi andate
Ne le bocche de gli uomini gran tempo.
Forse indiscreto parlator trattiene
Te con la dama tua nel voto corso.
Forse a nova con lei gara d'ingegno
Tu mal cauto venisti: e già la bella
Teco del lungo repugnar s'adira;
Già la man, che tu baci, arretra, e tenta
Liberar da la tua; e già minaccia
Ricovrarsi al suo tetto, e quivi sola
Involarse ad ognuno, in fin che il sonno
Venga pietoso a tranquillar suoi sdegni.

In van chiedi merce; di mente in vano
A lei te stesso sconsigliata incolpi.
Ella niega placarse; il cocchio freme
Dell'alterno clamore; il cocchio intanto
Giace immobil fra l'ombre; e voi, sue care
Gemme, il Bel Mondo impaziente aspetta.
Ode il cocchiere al fin d'ambe le voci
Un comando indistinto; e bestemmiando
Sferza i corsieri, e via precipitando
Ambo vi porta e mal sa dove ancora.
Folle! Di che temei? Sperdano i venti
Ogni augurio infelice. Ora il mio eroe
Fra l'amico tacer del voto corso
Lieto si sta la fresca ora godendo,
Che dal monte lontan spira, e consola.
Siede al fianco di lui lieta non meno
L'altrui cara consorte. Amor nasconde
La incauta face; e il fiero dardo alzando,
Allontana i maligni. O nume invitto,
Non sospettar di me; ch'io già non vegno
Invido esplorator, ma fido amico
De la coppia beata, a cui tu vegli.
E tu, Signor, tronca gl' indugi. Assai [ma
Fur gioconde quest' ombre, allor che pri-
Nacque il vago desio, che te congiunse
All' altrui cara sposa, or son due lune.
Ecco, il tedio a la fin serpe tra i vostri
Così lunghi ritiri : e tempo è omai,
Che in più degno di te pubblico agone
Splendano i genii tuoi. Mira la Notte,
Che col carro stellato alta sen vola
Per l'eterea campagna, e a te col dito
Mostra Tésco nel ciel, mostra Pollúce,
Mostra Bacco ed Alcide e gli altri egregi,
Che per mille d'onore ardenti prove
Cola fra gli astri a sfolgorar saliro. [ta.
Svégliati a i grandi esempi ; e meco affret-

Loco è, ben sai, ne la città famoso,
Che splendida matrona apre al notturno
Concilio de' tuoi pari, a cui la vita

Fora, senza di ciò, mal grata e vile.
Ivi le belle e di feconda prole
Inclite madri ad obliar sen vanno
Fra la sorte del gioco i tristi eventi
De la sorte d'amore, onde fu ! giorno
Agitato e sconvolto. Ivi le grandi
Avole auguste, e i genitor leggiadri
De' già celebri eroi il senso e l'onta
Volgon de gli anni a rintuzzar fra l'ire
Magnanime del gioco. Ivi la turba
De la feroce gioventù divina
Scende a pugnar con le mirabil' arme
Di vaghi giubboncei, d'atti vezzosi,
Di bei modi del dir, stamane appresi;
Mentre la vanità fra il dubbio marte
Nobil furor ne' forti petti inspira;
E con vario destin dando e togliendo
Le combattute palme, alto abbandona
I leggieri vessilli all'aure in preda.

Ecco che già di cento faci e cento
Gran palazzo rifulge. Multiforme
Popol di servi baldanzosamente
Sale, scende, s' aggira. Urto e fragore
Di rote, di flagelli e di cavalli,
Che vengono, che vanno, e stridi e fischi
Digente, che domandan, che rispondono,
Assordan l'aria all' alte mura intorno.
Tutto è strepito e luce. O tu, che porti
La dama e il cavalier, dolci mie cure,
Primo di carri guidator, qua volgi;
E fra il denso di rote arduo cammino
Con olimpica man splendi; e d'un corso
Subentrando i grand' atrii, a dietro lascia
Qual pria le porte ad occupar tendea.
Quasi a propria virtù plauda al gran fatto
Il generoso eroe, plauda la bella,
Che con l'agil pensier scorre gli aurighi
De le dive rivali, e novi al petto
Sente nascer per te teneri orgogli.

Ma il bel carro s'arresta; e a te la Dama,
A te, prima di lei sceso d'un salto,
Affidata, o Signor, lieve balzando,
Col sonante calcagno il suol percote.
Largo dinanzi a voi fiammeggi e gronde,
Sopra l'ara de' numi ad arder nato,
Il tesoro dell' api; e a lei da tergo
Pronta di servi mano, a terra proni,
Lo smisurato lembo alto sospenda:
Somma felicità, che lei separa
Da le ricche viventi, a cui per anco,
Misere! su la via l'estrema veste
Per la polvere sibila strisciando!

Ahi! se novo sdegnuzzo i vostri petti
Dianzi forse agitò, tu chino e grave

A lei porgi la destra; e seco innoltra,
Quale Ibero amador, quando, raccolta
Dall' un lato la cappa, contegnoso
Scorge l'amanza a diportarse al vallo,
Dove il tauro, abbassando i corni irati,
Balza gli uomini in alto, o gemer s'ode
Crepitante Giudeo per entro al foco.
Ma no; che l'amorosa onda pacata
Oggi siede per voi ; e, quanto è d'uopo
A vagarvi il piacer, solo la increspa
Coa lieve aleggiando aura soave.
Snello adunque e vivace offri a la bella,
Mollemente piegato, il destro braccio ;
Ella la manca v'inserisca; premi
Tu col gomito un poco; un poco anch'ella
Ti risponda premendo ; e a la tua lena,
Dolce peso a portar, tutta si doni,
Mentre lieti celiando a brevi salti
Su per l'agili scale ambo affrettate.

Oh come al tuo venir gli archi e le volte De' gran titoli tuoi forte rimbombano! Come a quel suon volubili le porte Cedono spalancate, ed a quel suono Degna superbia in cor ti bolle, e fâce L'anima eccelsa rigonfiar più vasta! Entra in tal forma, e del tuo grande

ingombra

Gli spazi fortunati. Ecco, di stanze
Ordin lungo a voi s'apre. Altra di servi
Infimo gregge alberga, ove tra' lampi
Di molteplice lume or vivo, or spento,
Efra sempre incostanti ombre schiamazza
Il sermon patrio e la facezia e il riso
Dell' energica plebe. Altra di vaghi
Zazzeruti donzelli è certa sede,
Ove accento stranier, misto al natío,
Molle susurra; e s' apparecchia intanto
Copia di carte e moltiforme avorio:
Arme l'uno a la pugna; indice l'altro
D'alti cimenti e di vittorie illustri.

Al fin più interna, e di gran luce e d'oro
E di ricchi tappeti aula superba,
Sta servata per voi. prole de' Numi.
lo di razza mortale, ignoto vate,
Come ardirò di penetrar fra i cori
De' Semidei, ne lo cui sangue in vano
Gocciola impura cercheria con vetro
Indagator colui, che vide a nuoto (1)
Per l'onda genitale il picciol uomo?
Qui tra i servi m'arresto; e qui da loro
Nuove del mio Signor virtudi ascose
Tacito apprenderò. Ma tu sorridi,

(1) Levenoechio.

Invisibil Camena; e me rapisci
Invisibil con te fra li negati
Ad ognaltro profano aditi sacri.
Già il mobile de' seggi ordine augusto
Sovra i tiepidi strati in cerchio volge;
E fra quelli eminente i fianchi estende
Il grave Canapé. Sola da un lato
La matrona del loco ivi s'appoggia,
E con la man, che lungo il grembo cade,
Lentamente il ventaglio apre e socchiude.
Or di giugner è tempo. Ecco le snelle
E le gravi per molto adipe dame,
Che a passi velocissimi s'affrettano
Nel gran consesso. I cavalieri egregi
Lor camminano a lato; ed elle, intorno
A la sedia maggior vortice fatto
Di se medesme, con sommessa voce
Brevi note bisbigliano, e dileguansi
Dissimulando fra le sedie umili.

Un tempo il Canapé nido giocondo
Fu di risi e di scherzi, allor che l'ombre
Abitar gli fu grato ed i tranquilli
Del palagio recessi. Amor primiero
Trovo l'opraingegnosa. Io voglio, ei disse,
Dono a le amiche mie far d'un bel seggio,
Che tre ad un tempo nel suo grembo
accoglia.

Così qualor degl' importuni altronde
Volga la turba, sederan gli amanti
L'uno a lato dell' altro, ed io con loro.
Disse, fe' plauso con le palme, e l' ali
Apri, volando impaziente all' opra.
Ecco, il bel fabbro lungo pian dispone,
Di tavole contesto e molli cigne.
A reggerlo vi dà vaghe colonne,
Che del silvestre Pane i piè leggieri
Imitano scendendo; al dorso poi
V'alza pátulo appoggio, e il volge ai lati,
Come far soglion flessuosi acanti,
O ricche corna d' arcade montone.
Indi predando a le vaganti aurette
L'ali e le piume, le condensa e chiude
In tumido cuscin, che tutta ingombri
La macchina elegante; e al fin l'adorna
Di molli sete e di vernici e d'oro.
Quanto il dono d' Amor piacque a le belle!
Quanti pensier lor balenaro in mente!
Tutte il chiesero a gara; ognuna il volle
Ne le stanze più interne; applause ognuna
A la innata energía del vago arnese,
Mal repugnante e mal cedente insieme
Sotto a i mobili fianchi. Ivi sedendo
Si ritrasser le amiche; e da lo sguardo
De' maligni lontane, a i fidi orecchi

Si mormoraro i delicati arcani.
Ivi la coppia de gli amanti a lato
Dell' arbitra sagace o i nodi strinse,
O calmò l'ira, e nuove legge apprese.
Ivi sovente l'amador faceto
Raro volume all'altrui cara sposa
Lesse spiegando, e con sorrisi arguti
Lepida imago fe' notar tra i fogli.
Il fortunato seggio invidia mosse
De le sedie minori al popol vario;
E fama è, che talora invidia mosse
Anco a i talami stessi. Ah! perchè mai,
Vinto da insana ambizione, uscio
Fra lo immenso tumulto e fra il clamore
De le voglie solenni? Avvi due Genii
Fastidiosi e tristi, a cui dier vita
L'Ozio e la Vanità; che noti al nome
Di Puntiglio e di Noia, erran cercando
Gli alti palagi e le vigilie illustri
De la stirpe de' Numi. Un fra le mani
Porta verga fatale, onde sospende
Ne' miseri percossi ogni lor voglia;
E di macchine al par, che l'arte inventi,
Modera l'alme a suo talento e guida.
L'altro piove da gli occhi atro vapore;
E da la bocca sbadigliante esala
Alito lungo, che sembiante a i pigri
Soffi dell'austro, si dilata e volve,
E d'inane torpor le menti occupa.
Questa del Canapé coppia infelice
Allor prese l'imperio; e i Risi e i Giochi
Ed Amor ne sospinse, e trono il fece,
Ove le madri de le madri eccelse
De' primi eroi esercitan lor tosse;
Ove l'inclite mogli, a cui beata
Rendon la vita titoli distinti,
Sbadigliano distinte. Ah! fuggi, ah ! fuggi,
Signor, dal tetro influsso ; e là fra i seggi
De le più miti Dee quindi remoto
Con l'alma gioventù scherza e t'allegra.
Quanta folla d' eroi! Tu, che modello
D'ogni nobil virtù, d'ogni atto egregio
Esser déi fra' tuoi pari, i pari tuoi
A conoscere apprendi; e in te raccogli
Quanto di bello e glorioso e grande
Sparse in cento di loro arte o natura.
Altri di lor ne la carriera illustre
Stampa i primi vestigi; altri gran parte
Di via già corse; altri a la meta è giunto.
In vano il vulgo temerario a gli uni
Di fanciulli da nome; e quelli adulti,
Questi omai vegli di chiamare ardisce :
Tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;
Ognun giudica e libra; ognun del pari

L'altro abbraccia e vezzeggia in ciò soltanto

Non simili tra lor, chè ognun sua cura
Ha fra l'altre diletta, onde più brilli.
Questi or esce di là, dove ne' trivii
Si ministrar bevande, ozio e novelle.
Ei v' andò mattutin; partinne al pranzo
Vi tornò fino a notte e già sei lustri
Volgon, da poi che il bel tenor di vita
Giovinetto intraprese. Ah! chi di lui
Può sedendo trovar più grati sonni,
O più lunghi sbadigli, o più fïate
D'atro rapé solleticar le nari,
O a voce popolare orecchio e fede
Prestar più ingordo, e declamar più forte?
Quegli è l'almo garzon, che con maestri
Da la scutica sua moti di braccio
Désta síbili egregi; e l'ore illustra,
L'aere agitando de le sale immense,
Onde i prischi trofei pendono e gli avi.
L'altro è l' eroe, che da la guancia enfiata,
E dal torto oricalco a i trivii annunzia
Suo talento immortal, qualor dall'alto
De' famosi palagi émula il suono
Di messaggier, che frettoloso arrive.
Quanto è vago a mirarlo allor che in veste
Cinto spedita, e con le gambe assorte
In amplo cuoio, cavalcando, a i campi
Rapisce il cocchio, ove la dama è assisa
E il marito e l'ancella e il figlio e il cane!
Vuoi su lucido carro in di solenne
Gir trionfando al corso? Ecco quell' uno,
Che al lavor ne presieda. E legni e pelli
E ferri e sete e carpentieri e fabbri
A lui son noti e per l'Ausonia tutta
È noto ei pure. Il Calabro, di feudi
E d'ordini superbo, e duchi e i prenci,
Che pascon Mongibello, e fin gli stessi
Gran nipoti Romani, a lui sovente
Ne commetton la cura: ed ei sen vola
D'una in altra officina, in fin che sorga,
Auspice lui, la fortunata mole.

Poi, di tele recinta, e contro all' onte
De la pioggia e del Sol ben forte armata,
Mille e più passi l'accompagna ei stesso
Fuor de le mura; e con soave sguardo
La segue ancor, sin che la via declini.
Or non conosci del figliuol di Maja
Il più celebre alunno, al cui consiglio,
Nel gran dubbio de' casi, ognaltro cede
Sia che dadi versati, o pezzi eretti,
O giacenti pedine, o brevi o grandi
Carte mescan la pugna? Ei sul mattino
Le stupide emicranie o l'aspre tossi

Molce, giocando, a le canute dame.
Ei, già tolte le mense, i nati or ora
Giochi a le belle declinanti insegna.
Ei, la notte, raccoglie a sè dintorno
Schiera d' eroi, che nobil estro infiamma
D'apprender l'arte, onde l' altrui fortuna
Vincasi e domi, e del soave amico
Nobil parte de' campi all' altro ceda.
Vedi giugner colui, che di cavalli
Invitto domator, divide il giorno
Fra i cavalli e la dama? Or de la dama
La man tiepida preme; or de' cavalli
Liscia i dorsi pilosi; o pur col dito
Tenta, a terra prostrato, i ferri e l'ugna.
Ahine! misera lei, quando s'indice
Fiera altrove frequente! Ei l'abbandona;
E per monti inaccessi e valli orrende
Trova i lochi remoti, e cambia o merca.
Ma lei beata poi, quand' ei sen torna
Sparso di limo, e novo fasto adduce
D frementi corsieri, e gli avi loro
Ei costumi e le patrie a lei soletta
Molte lune ripete! Or mira un altro,
Di cui più diligente o più costante
Non fu mai damigella o a tesser nodi,
O d'aurei drappi a separar lo stame.
A lui turgide ancora ambo le tasche
Son d'ascose materie. Eran già queste
Prezioso tappeto, in cui, distinti
D'oro e lucide lane, i casi apparvero
D'Ulio infelice e il cavalier, sedendo
Nel gabinetto de la dama, omai
Con ostinata man tutte divise
In fili minutissimi le genti

:

D'Argo e di Frigia. Un fianco solo resta
De la Greca rapita; e poi l'eroe,
Par giunto al fin di sua decenne impresa,
Andra superbo al par d'ambo gli Atridi.
Ve' chi sa ben, come si deggia a punto
Fausto di nozze, o pur d'estremi fati
Miserabili annuncio in carta esporre.
Lai, scapigliati e torbidi la mente
Per la gran doglia, a consultar sen vanno
I novi eredi : nè già mai fur viste
fante vicino a la Cuméa caverna
Foglie volar, d'oracoli notate,
Quanti avvisi ei raccolse, i quali un giorno
Per gran pubblico ben serbati fiéno.

Ma chi l'opre diverse o i vari ingegni
Tutti esprimer potria, poi che le stanze
Folte gia son di cavalieri e dame?
Tu per quelle t'avvolgi; ardito e baldo
Vanne, torna, t'assidi, ergiti, cedi,
Premi, chiedi perdono, odi, domanda,

Sfuggi, accenna, schiamazza, entra, e li mesci

A i divini drappelli; e a un punto empiendo Ogni cosa di te, mira, ed apprendi.

Là i vezzosi d'amor novi seguaci Lor nascenti fortune ad alta voce Confidansi all' orecchio, e ridon forte; È saltellando batton palme a palme : Sia che a leggiadre imprese Amor li guidi Fra le oscure mortali, o che gli assorba De le dive lor pari entro a la luce. Qui gli antiqui d'Amor noti campioni, Con voci esíli, e dall'ansante petto Fuor tratte a stento, rammentando vanno Le già corse in amar fiere vicende. Indi gl'imberbi eroi, cui diede il padre La prima coppia di destrier pur jeri, Con animo viril celiano al fianco Di provetta beltà, che a i risi loro Alza scoppi di risa, e il nudo spande, Che di veli mal chiuso, i guardi cerca, Che il cercarono un tempo. Indi gli adulti, A la cui fronte il primo ciuffo appose Fallace parrucchier, scherzan vicini A la sposa novella, e di bei motti Tendonle insidia, ove di lei s'intrichi L'alma inesperta e il timido pudore. Folli! chè a i detti loro ella va incontro Valorosa così, come una madre Di dieci eroi. V'ha in altra parte assiso Chi di lieti racconti, o pur di fole, Non ascoltate mai, raro promette A le dame trastullo : e ride, e narra; E ride ancor; benchè a le dame intanto Sul bell'arco de' labbri aleggi e penda Non voluto sbadiglio. E v' ha chi altronde Con fortunato studio in novi sensi Le parole converte, e in simil suoni Pronto a colpir, divinamente scherza. Alto al genio di lui plaude il ventaglio De le pingui matrone, a cui la voce Di vernacolo accento anco risponde. Ma le giovani madri, al latte avvezze Di più gravi dottrine, il sottil naso Aggrinzan fastidite; e pur col guardo Sembran chieder pietade a i belli spirti, Che lor siedono a lato, e a cui gran copia D'erudita effemeride distilla Volatile scienza entro a la mente. Altri altrove pugnando, audace innalza Sopra d'ognaltro il palafren, ch'ei sale, O il poeta o il cantor, che lieti ei rende De le sue mense. Altri dà vanto all' elso Lucido e bello de la spada, ond' egli

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