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EPISODIO TRATTO DAL POEMA

I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA.

CANTO PRIMO.

GIA il temuto vessillo della croce,
Che a ritor Terra-Santa al musulmano
Spinto in Asia votivo avea la voce
Dell' Eremita e del secondo Urbano,
I gioghi soverchiava del feroce

Tauro mal domo e del selvaggio Amano,
E di Bitinia all'aure si svolgea
Sulle trecento torri di Nicea.

Già l'oste innumerevol d'Occidente
Da' suoi mille baron capitanata,
Del giurato conquisto impaziente
Che in terra di Soldan l'ha strascinata,
Verso Antiochia spensieratamente
Traea per una via fiera, inusata,
Sotto il tormento degli assidui raggi,
Da macchine impedita e da fardaggi;

E per l'ardente, faticosa arena
Di larghi piani o d'affondate valli,
Ogni di più fiaccavasi la lena
Delle bestie da soma e de' cavalli,
Che a fren guidati si reggeano a pena
Su per quei dubbi, svariati calli,
E dall' arsura e dal travaglio spenti
Cadeano a frotte, ingombro ai sorvegnenti;

Quando, fallite i guidator le strade,
L'esercito commiser per un' erta,
Che da principio il viator suade
A guadagnarla, agevole ed aperta;
Ma a poco a poco più s'innaspra e cade
Sdrucciolevol, dirotta, e sol coperta
Qua e là di mali triboli e di spine
Fra ignude, erette balze e fra ruine.

Corsa che ha l'antiguardo una giornata Ode il mugghiar di grossa acqua cadente, Sbocca ad un poggio rovinoso, e guata Raccapricciando il salto d'un torrente, Che giù dal monte in una sterminata Voragin piomba spaventosamente;

L'orrida gola tortuosa, oscura
Empiendo di rimbombo e di paura.

Un angusto ciglion rasente il masso
Serpeggia, e infuor sulla voragin pende;
A far più dubbio e mal fidato il passo
Pur quello in più d'un loco si scoscende;
Di greppo in greppo corre il guardo al bas-
Poi fugge dall' altura che l'offende, [so,
Ma inaccessibil rupe è tutto il resto,
Nè s'apre calle al passeggier che questo.

Damanca, inverso borea, una montagna Alta, scheggiosa l'ima chiostra adugge, E sovra quella incurvasi e si bagna Nella infranta tra i sassi onda che fugge: A chi la mezza costa ne guadagna Sotto ai pie' la voragine rimugge, E appar di fronte il periglioso calle Onde lo parte il rotto della valle.

Ivi nel sen del monte ampia s'interna, Di ladroni già un tempo occulta sede, Una fosca, antiquissima caverna, Nominata la Bocca delle prede: Noiosa intorno le fan nebbia eterna L'acque che a franger le si vanno al piede; Un sentier tortuoso e dirupato Cala da quella al fondo del burrato.

Già da molt'anni un pellegrino ignoto, Dopo lungo vagar per l'Oriente, Fra quegli ermi dirupi avea per voto Preso stanza, lontan d'ogni vivente; E l'armonia d'un cantico devoto, O il rotto suon d'un pianto penitente, Fioco, indistinto, spesso si mescea Al selvaggio mugghiar della vallea.

Strani prodigi ed avventure strane Per la Siria narravansi di quello: Chi signor lo dicea d' ampie, lontane Terre a lui tolte da un minor fratello, Chi reo d'opre nefande ed inumane, Chi un santo il vuole, anzi un Elia novello; Alcun non avvi che più in là discerna,

So noman tutti l'uom della caverna.
Sulla bocca dell' antro, in piedi eretto
Ei stassi e il guardo desïoso intende;
Un bruno saio che sui lombi è stretto
Dalle spalle al ginocchio gli discende;
Nude ha le braccia; oltre al confin del petto
Nera la barba ed ispida gli pende;
Recise in giro a mezzo orecchio, come
È l'uso longobardico, ha le chiome.
Mentr' egli, all'alternar di preci sante,
Per gli omeri a due man si flagellava,
Un remoto fragor vario, incessante
Udito avea pel vano della cava :
Non era il vento che investia le piante,
Non l'onda che dall' alto rovinava,
Ma si ben, quale udir giammai non suole,
Un fragor d'armi effuso e di parole:

Perch'ei n'uscia maravigliando fuore,
E pei gioghi lontani e per le valli
Un brulichio confuso, uno splendore,
Un luccicar vedeva di metalli;
Quindi i vessilli e il segno redentore
Raffigurava e gli uomini e i cavalli,
Che la montagna ingombrano da lunge
Fin dove del veder l'acume aggiunge.

A quella vista, prono con la faccia
Devotamente sul terren si prostra,
Poi tende in atto di dolor le braccia
Alla soggetta spaventosa chiostra,
Ne valendo a stornar da quella traccia
La schiera che di fronte gli si mostra,
Nel pio fervor del confidente zelo
Sovr' essa invoca la pietà del Cielo.

Affoltato frattanto, alla rinfusa
Si rovescia uno sciame miserando
Per sentieri ove andare il piè ricusa,
Seguitamente l'un l'altro incalzando :
Una gran parte dentro l'armi chiusa
Sospende a lato ponderoso brando;
V'ha chi d'acciaro ha lucidi brocchieri,
Le corazze d'argento e gli schinieri.

Molti hanno targhe d'osso; agili e presti
Altri nel corso, portano celate
D'arrendevoli vinchi insiem contesti
E le man di taurine pelli armate;
Varie di specie e di lavor le vesti,
Bianche, gialle, di porpora, screziate;
Chi di Baldacco o di Bisanzio ha il saio,
E chi 'l mantello d'ermellin, di vaio.

Lance, spade, balestre, archi e tor

menti, Zagaglie e mazze e fionde e ronche e spiedi,

Che in guerra adopran le diverse genti,
Miste ondeggiar confusamente vedi,
E pellegrin fra mezzo e penitenti,
Del campo impedimento, ignudi i piedi,
Coi feltri rabbassati in su la faccia,
Col bordon benedetto e la bisaccia.

E, immemori del sesso e dello stato,
Matrone illustri e nobili donzelle,
E femmine del vulgo più spregiato
Coi miseri lattanti alle mammelle,
Ed affannosi pargoletti a lato,
Cui traggon per le braccia tenerelle
Su per
l'erto cammin rotto e malvagio,
Dalla sete piangenti e dal disagio.

Capre vedi e monton, maiali e cani
D'armi, di scudi e di bagaglie onusti;
E cavalieri e prenci e capitani
Dalla fatica e dal calore adusti,
Sotto larghi turcheschi abiti strani
Cavalcar tori e bufali robusti;
E vacche macre, estenuate e lente,
E dromedari e indomite giumente.

Soldati e pellegrin, fanciulli e donne
Tutti segnati d'una croce vanno,
Sui mantelli, sull' armi e sulle gonne
Pinta o tessuta, serica o di panno ;
V'ha chi sospese al collo anco portonne,
Incisa nelle carni altri pur l'hanno :
Trionfal segno dappertutto splende
Alle bandiere in vetta ed alle tende.

Molti che per le cime ardue sbandarsi Seguendo indicio di fallaci strade, Fra balze e fra dirupi errano sparsi E le corazze gettano e le spade; Alcun tentando nel sentier calarsi Dirupa a valle, e sovra l'aste cade, E vi s'infigge, e nella sua rovina Precipitosa seco altri strascina.

Ma allo sbocco è l'angoscia e lo spa-
vento,

Ch'ivi il sentier più sempre angusto fassi;
E dai bronchi intricato, a grave stento
Muta per l'erta il tragittante í passi :
Sul capo e d'ogni intorno al guardo intento
Null' altro appar che trarupati massi;
Giù la vorago, e la vallea risponde
All'incessante rimugghiar dell'onde.

In quel fondo una poca luce e tetra,
Fra gli sprazzi onde l' aëre s'ingombra,
Rotta dai greppi qua e là penetra
E più gravosa e cupa ne fa l'ombra :
L'uom guarda, e bianco di terror s'arretra

Ogni animal più mansueto adombra; Ma vien la folla e si li calca e preme Che tutti spinge al duro passo insieme.

S'impennano i cavalli esagitati

Dai tanti echi che desta il suon dell' onda;
E calcitrando, femmine e soldati
Slancian nella voragine profonda;
Stridono gli altri allor che trabalzati
Per lo stretto sentier che non ha sponda,
E svolti a forza vengon dal torrente
Della turba incalzantesi e crescente.

Gridan molti ai vegnenti, e con la mano
Pur di sostare accennano alle schiere,
Ma propagato troppo di lontano
E l'impeto e nessun si può tenere:
Chi a stento si converte, e come insano
Urta il vicino e bestemmiando il fere:
Travolte intanto per dirotte vie
Rotan genti, animali e salmerie.

Sparsa è la valle d'elmi, di brocchieri Dipinti a più color, d'oro e d'argento, Che disperati gettano i guerrieri Cui son per quelle strette impedimento: Si rimpinza al ristarsi de' primieri La calca soverchiante ogni momento; Donne, vecchi, fanciulli, egri emal presti Son nel trambusto soffocati e pesti.

A tanta furia di cavalli e fanti Umana forza contrastar non puote; Chi stracciasi i capegli e gridi e pianti Al cielo alza, e la fronte si percuote; Chi a Dio si vota in suo segreto e ai Santi, Col pallor della morte in sulle gote; Chi la Vergin bestemmia e il Divin Figlio Che non li traggan da quel reo periglio!

Cosi il terror dell' Asia, l'indomata
Oste di Cristo perigliando venne
Fra mezzo ai precipizi traviata,
Finchè il lontano urtar non si contenne :
Cesse allor lo scombuglio; e alla sfilata
Un dopo l'altro in suo cammin si tenne :
Bendati gli occhi, guidansi i cavalli
Mansi per gli ardui disastrosi calli.

Giá declinava il sole all'occidente,
Allor che da corazze ampie difesa
E da scudi quadrati, una gran gente
Lungo la via montana si fu stesa :
Alle chiome raccorce, alla cadente
Barba sul petto, all'abito, all'impresa
Non fu già l'uom della caverna tardo
A conoscer l'esercito lombardo.

Gli balzò il cor di mesta gioia, ascese

Sull' erta punta d'un aëreo masso
Curvo sul precipizio, onde palese
La via di fronte gli si scopre al basso:
Le prime file procedenti, illese
Già son di là del periglioso passo,
E valicando in queto ordine e piano
Già venia la battaglia a mano a mano;

Quando sul dorso d'un cammello assisa Una fanciulla approssimarsi ei vede, In bianca vesta sotto al sen divisa, Che lenta scorre oltre i confin del piede; Su gli omeri le ondeggia in molle guisa Il nero crin che all' aure ella concede : Di perle orientali ornata e d'oro, Bellissima di forme e di decoro.

Due donzellette assise in compagnia Le reggevano a muta un vago ombrello, Quattro scudieri per l'angusta via Il corso moderavan del cammello, E dietro seguitando la venia Di cavalieri un provvido drappello, Onde con ogni studio era, all'entrata Dei passi più difficili, guardata.

Giunta allo sbocco la fanciulla scese Già paurosa sull' angusto piano; Ratto a lei corse un cavalier cortese Che le fe' cor porgendole la mano; Con trepida dubbiezza ella la prese E il segui del burron fin sopra il vano, Radendo il monte con le aperte braccia Tutta tremante e sbigottita in faccia ;

Ma quando fra la nebbia umida e folta
A lei dinanzi il precipizio aprissi,
E vide la spumante onda travolta
Che parea sprofondarsi negli abissi,
Da subita vertigine fu colta,

Diè un grido, gli occhi con le man covrissi,
Sull' orlo barcollò della costiera,
E ne cadea, se il cavalier non era.

Smarrita ei la sorregge fra le braccia,
Ne sa come la tragga a salvamento;
Levarsela sul petto invan procaccia
Per lo stretto sentier pien di spavento:
Il cammel che seguía sulla lor traccia
Fa di sua lenta mole impedimento,
E indietro chi vien dopo è rattenuto
Ne recar puote ai periglianti aiuto.

Allor giunger fu visto a tutto corso Giovane cavalier, che come un lampo, Del frapposto animal balzò sul dorso, Movendo della vergine allo scampo; Ma il cammel, che a ritroso era trascorso

S'accoscia, in quella urtando in un inciamE dal ciglion trabalza, e nel cadere [po, D'un grand'urto sospinge il cavaliere.

Che pel vano dell' aria in giù piombando Le acute rocce trasvolò a dichino, Illeso in mezzo ai precipizi, e quando Al fondo della valle fu vicino, Una prunosa macchia attraversando Fra scoglio e scoglio l'esizial cammino, Col volume arrendevole cbbe possa L'impeto d'allentar della percossa.

Ma quel tapin che rovinando ha preso D'un rovero il sottil gambo cedente, Riman sulla voragine sospeso Sobbalzato nell'aria alternamente, E tanto aggrava l'arboscel col peso Che la cima si bagna nel torrente, Scricchiola il tronco, la radice vassi Scalzando e caggion sgretolati i sassi. Dall'alto l'uom della caverna appena Il Lombardo piombar veduto avea, Che doloroso con ansante lena Per salvarlo sollecito accorrea Giù pel distorto suo sentier, che il mena Nel più profondo sen della vallea; Ratto snodasi allor duplice zona Onde ai lombi ricinta ha la persona,

E un ampio scoglio attinge che dal piede
Il flagellar dell'onde avea scavato;
Nè più il caduto, nè l'arbusto vede

A ch' ei con ambe man s'era avvinghiato;
Dalla terra però che frana e cede
Raccoglie che n'è il tronco sbarbicato,
Perchè a seconda del torrente, e verso
Un picciol sen va in traccia del sommerso.
Le sabbie della squallida riviera
Fra la speme e il terror corse e ricorse
Di su,
di giù, tutto in angustia, ed era
Già di lasciar la vana inchiesta in forse,
Quando nelle prime ombre della sera
Un ramo galleggiar vide, e s'accorse
Come da estrania forza era nell' onda
Tratto talor sicchè sparia la fronda.

Balza ei nel fiume infino alla cintura,
La fune slancia, il mobil ramo apprende
E d'un nodo scorsoio l'assecura,
Poscia il tragge, nè quel però s'arrende:
Raddoppia allor lo sforzo, e un' armatura
Eccos'è mossa, ed a fior d'acque ascende;
Un uomo attiensi al tronco, e conosciuto
Dal solitario è il cavalier caduto.

Com' egli ricovrato in sulla riva,

E l'elmetto e l'altr' arme ebbegli tratte,
La man sul cor posandogli sentiva
Che a scarsi tocchi lento lento batte,
Perchè, fatto securo ch' ei pur viva,
Sferrar gli tenta dalle dita attratte
L'arbusto, che d'impaccio per la via
Portandolo alla grotta gli saria.

Ma visto che ogni sforzo usciagli vano,
Un ferro tragge a' suoi bisogni presto,
E rasente recidegli alla mano
Il tronco inarrendevole e molesto;
Poi sulle spalle il cavalier cristiano
Assume, e tutto pensieroso e mesto
Per fratte e per dirupi il passo alterna,
Movendo a stento verso la caverna.

Le tenebre frattanto eran discese Pei burron risonanti a poco a poco, Ma i molti fochi che a rincontro accese L'esercito sbandato in più d'un loco, Facean dall'alto il nero antro palese, Inviandovi un lume incerto e fioco, Che a traverso le nebbie della valle Quel pietoso reggea per l'arduo calle.

Ei fra i silenzi della notte, fuore Dal reboato assiduo del torrente, A quando a quando uscir sente il fragore D'una lontana innumerevol gente, E gl'inni che notturna erge al Signore De' pellegrin la turba penitente, E de' Pastori e delle affrante schiere L'assueto alternar delle preghiere.

Quel lungo mormorar, quell'armonia All'orecchio di lui tant'anni muta Al pensier gli riduce la natia Terra diletta ch'egli avea perduta: Intanto sospirar languido udia Risentito il garzon dalla caduta, Ond' ei commosso a un senso è di segreta Religiosa gioia irrequïeta.

Un di sua fè, nel suol lombardo nato Onde s'è tolto per la santa guerra, È'l giovin cavalier da lui salvato

In sì lontana abbandonata terra:
Dacchè ramingo senza nome e stato
Profugo e tristo pel levante egli erra,
Dolce all'orecchio mai, mai non gli scese
Il caro accento del natio paese;

E or dopo il volger di tant'anni amari
Fra il trepido desir sempre deluso,
D'una dolcezza cui null'altra è pari
Il purissimo fonte gli fia schiuso,
E il suono inebbriante udrà dei cari

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