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Nobil Catania un tempo e ne squarciaro
Le membra antiche, ma spettabil piue
D'inclite moli e di famosi ingegni
Dal cenere rinacque e giganteggia
Sul mar tuttora con marmorea fronte.
Rugge ne' ciechi abissi, arde e caliga
L'inestinto vulcano, e pel suo dosso
Tra le freddate pomici vendemmia
L'ardito vignaiol l'uve copiose,
Poi di pampinea frasca ornato il crine
Colma le tazze e i suoi furor disfida.
Qui tacque il vate di stupor soave
Lungamente atteggiate ebbe le fronti
Il giovine drappello e parve il poggio
D'insolit' eco risuonar lung' ora;
Mentre il sol già calato oltre le azzurre
Nébrodi cime accosto alle petrose
Fonti d'Imera, d'avvivar suoi stanchi
Raggi fea se gno e su per l'erbe a mille
Moribondi color crescer la luce.

SULLA TOMBA

DI

NICCOLÒ MACCHIAVELLI

SONETTO.

SPIRTO Sovrano che in facondi, eterni Fogli e al gran lume de' latini eventi, Dolce nel patrio amor l'alme governi E tutte infiammi a libertà le menti :

Qual pari a te, se la civil discerni Arte di far beate umane genti: O del cor di tiranno apri gli interni Moti e gli empii di regno avvolgimenti !

Pur grave tosco e reo la tua parola Stillar si disse, e mal d'utili apristi Colpe e d'illustri scelleranze scuola ;

Non sapéi tu ch'ivi a scaltrir la pronta Alma, ogni tempo, foran corsi i tristi, Poi sopra te n'avrian gittata l'onta?

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TERESA NAVAGERO, moglie del Contarini.

MATILDE, confidente della medesima.
IL CAVALIER del Doge.
BELTRAMO, capitan grande.
IL MESSAGGIERE degl' inquisitori.
SENATORI E MINISTRI dell' inquisizione di

Stato che non parlano.

La scena nell'atto primo è nella sala del consiglio; nel secondo nel palazzo Contarini; nel terzo nel giardino contiguo; nel quarto e quinto nella stanza degli inquisitori.

ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

IL DOGE, CONTARINI, LOREDANO, BADOERO e SENATORI.

DOGE.

SENATORI, patrizi, invan cercai
Scuse nella vecchiezza ai sommi onori,
Quando vi piacque imporli a questo crine
Che sotto l'elmo incanuti. Vinegia
Abbia pur di mia vita i giorni estremi,
Se mi fia dato sostener l'antica
Maestà delle leggi. Ognor nel Doge

Udite il cittadino: egli soltanto
Nella porpora
re; ma il suo volere
È il voler della patria. Oggi che questa
Pel mio labbro favella, al ciel non chieggo
Che ogni cura privata in me si taccia,
Ma che dal petto infermo esca una voce
Degna della Repubblica.

BADOERO.

Palesa,

Prence, lo stato delle cose.

DOGE.

Udite.

Coi liburni ladron parte le spoglie, Che son d'italo sangue ancor fumanti, L'avara crudeltà di Catalogna: Ahi, di veneto duce il capo inciso Fu gioja e scherno di crudel convito, E sulla mensa di delitto piena Innorridi l'Italia, altri sorrise! Serve Filippo in trono, e parte alcuna Non ha di re; ma il Castiglian superbo, Questo eroe del servaggio, espugnar gode Ogni libera gente, e dar catene Allo stesso pensiero. Italia giace Dall'armi, e più da' suoi costumi oppressa. Nulla ritien degli avi, e tutto apprese Dai suoi nuovi tiranni; uso divenne Quello che un di fu vizio, e Italia vile Non ha di suo neppure i vizii : il fasto Senza ricchezze, la viltà nascosa Con magnifici nomi, e in turpe gara Titoli e servitù. Del quarto Arrigo La sacra vita un empio ferro estinse; E quell'odio esultò, che non perdona, Quando l'eroe nel lacrimato avello Portò i fati d'Europa, e le speranze. La Repubblica nostra allor Bedmaro Abolire sperò: ma in sua difesa Veglio il senno dei Dieci, e fu delusa L'orrida trama. È noto a voi che questa Roma dell' Ocean, colle sue fiamme L'onde soggette dell' adriaca Teti Illuminar doveva. O patria mia, O dell'Italia inviolato asilo, Sulle tue solitudini sarebbe

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