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TACCIA il sonito giocondo
Per le azzurre vie del mar,
Tra gli scogli ov'io m'ascondo
Nudo spirto a sospirar.

Date a me l'anello aurato,
Che dal pianto io cesserò,
E lo sposo a me giurato
In silenzio aspetterò.

D'altra mai non fia consorte
Chi mi diede la sua fè;
Sua mi disse, e dopo morte
Io l'attendo a star con me.
Molle talamo di spuma
Apparecchio per quel di,
E il desio che mi consuma
Ingannando vo così.

Quando, giunto al passo estremo,
Il mio sposo a me verrà,
Dello

speco dove gemo

(1) Un gentiluomo veneziano amoreggiò una fanciulla, che, non potendo essergli sposa, morì annegata. Il gentiluomo non volle altra moglie; e, fatto doge, si dichiarò sposo del mare : donde l'origine della festa dell' Ascensione. Gli storici la riferiscono ad altro fatto.

Sul confin mi troverà.

Di conchiglie al petto e al crine
Due monili avvolgerò,
E di verdi alghe marine
Una zona ai fianchi avrò.

Mi vedrà l'anello in dito
Ch'ei lancio dal seggio d'or,
E ch'io tenni custodito
Anni ed anni presso il cor.
-Lo conosci quest' anello,
Che da me non mai partì?-
Lo conosco, egli è pur quello
Ch'io ti porsi in lieto di.

Ma sei fredda e scolorita!-
L'onda, o caro, tal mi fe;
Tu fra i gaudi della vita,
lo qui ognor pensando a te.-
Sposa mia, che fida tanto
Attendesti il mio venir,
Ecco alfin ti sono a canto,
Più non vo da te partir.

Scorrerò quest' onde teco
Quanto il giorno durerà,
E il silenzio del tuo speco
I miei sonni accoglierà.

Indivisi a tuttte l'ore,
Sempre nuovi nel desir,
Sul mar nato il nostro amore
Sol col mar potrà finir.

LA FUGA.

SOTTO un salcio, afflitti e lassi Della tema e del cammin, Raccogliean gli erranti passi Una bella e un pellegrin.

Per foreste e per deserti
Sette giorni ramingår:
Vider monti e piani aperti,
E torrenti valicâr.

Al ruggito delle fiere
Spesso l'orme raffrettår;
Spesso udiro le bufere
Fremer sopra, e via passår.
Dimmi caro, un di richiese
La fuggiasca il giovincel :
Quanto tratto di paese
E ancor lunge il tuo castel?

Il garzon, com' uom rivolto
Tutto altrove col pensier,
Le risponde: lunge molto,
E difficile il sentier.

E seguian; poi mesti e lassi Della tema e del cammin, Raccoglieano al salcio i passi E la bella e il pellegrin. Nella palma chino il viso, È la bella in gran dolor; E il garzon da canto assiso: Or che pensi, fido amor? Rispondea la giovinetta Con accento di pietà: Penso al padre che m'aspetta, Nè mai più mi rivedrà.

Ah che il fulmine non chiami Sull'ingrata che fuggì! Qui la pianta scosse i rami, E la bella tramortì.

Al fredd' aer che la fiede Già si sente rinvenir : Apre gli occhi, e più non vede, Ahi! non vede il suo desir.

In pie balza, un' erta sale; Carlo! chiama, e chiama invan : Parte, riede, e nulla vale; Tutto cielo e tutto pian.

Sotto i rami della fida

Mesta pianta ritornò :
Carlo! Carlo! ognor più grida,
Qui tu fosti, qui morrò.

Quivi pianse il caro sposo
Sette giorni, e poi mori;
E quel salice pietoso
Curvò i rami, ed appassi.

IL SULTANO.

SIGNOR di cento popoli, Di cento belle sposo, Tutto che il Tauro germina E accoglie il Caspio ondoso, Tutto è vassallo a te.

Sovra guanciali assirii
La voluttà sospira,
Ferve tra i nappi, e al tremito
Della gioconda lira
Calano i sogni al re.

Ne sei felice? E indomita
Cura t'incalza e preme
Sui profumati talami,
E del dipinto areme
Tra gli alabastri e l'or?
A che si spesso intorbidi
La fronte di sospetto,

E sogni fra la porpora
E delle Uri sul petto
Fantasmi di terror?

Colline di Bisanzio!
Bello il lunar argento,
Che dell'azzurro Bosforo
Striscia sui flutti lento,
Simili a terso acciar.

Al mite raggio danzano
Le vergini sui fiori,
E il pescator di Tracia,
Cantando antichi amori,
Tuffa le reti in mar.

Esci, se lieve scorrere
Ami le placid' onde;
Sibilan pini e salici
Sulle beate sponde,
E geme l'usignuol.

Quando ti son le splendide
Soglie di gioia avare,
Esci, la notte, i zeffiri,
La barca, i lidi, il mare
T'addolciranno il duol. -

Muto è il serraglio; i garruli
Eunuchi e il molle stuolo
Dormono tutti. Vigile
L'altier sultano è solo,

E seco i fido Omar.

Alla felice Arabia
Divelto il giovanetto,
Le non palesi smanie
Legge al regnante in petto,
Ne l'osa interrogar.

A un cenno alza la fiaccola,
E per celato calle
Movendo, l'ombre dissipa:
A lui dopo le spalle
Lento il monarca vien.

Le sale ampie traversano,
Con piè sospeso, incerto,
Ei corridoi del tacito
Serraglio un uscio è aperto,
Respirano al seren.

Via per l'immenso empireo
Sola viaggia e grande
La luna, e sulle cupole
E sui tetti si spande,
Lume piovendo e giel.
Spenta la face, inutile
Ove si vivo raggio
Le vie notturne illumina,
Fanno al giardin passaggio

Il sire e il suo fedel.

In parte solitaria,

Tra il verde del giardino,
Nereggia un bosco; mormora
Un fonticel vicino,
Che rivo indi si fa.

- Passo di qua non movere,
Omar, ch'io te non chiami. -
Cosi allo schiavo il despota:
E tra i conserti rami
Entra; scomparso è già.
Lungo la riva a guardia
Veglia il vassallo, e mira
L'onda che susurrevole
Tra l'erbe si rigira,
E pensa ad altra età;
Quando, appo il suo tugurio,
L'auretta vespertina
Spirar godea tra i patrii
Roseti di Medina,
Che più non rivedrà.

Ed ecco uscir un gemito Dal bosco ov'è più spesso, Qual d'uom che breve anelito Deriva, a morir presso,

Dall' ansio petto invan.

-Che far? Il cenno infrangere ?...
Restarmi?... E s' ci là pere? -
Vince l'amor. Degli alberi
Varca tra l'ombre nere
Col nudo ferro in man.

In mezzo al bosco un candido
Marmo, di mirti ombrato,
Rende di tomba immagine :
A terra ivi prostrato,
Spento il sultano appar.

Ma presto ei sorge, e i torbidi
Occhi all'audace gira :
Incrocicchiate al trepido
Seno le braccia, il mira
Prostrarsi e prono star.

Tanto tu osasti ? - L'arbitro
Se' tu di questa vita,
Io tuo vassallo. Uccidimi :
Recar ti volli aita;
Son reo di fedeltà.

Alzati, e m'odi. - Al fodero
Il brando risospinge;
Si fa pensoso, palpita
Il fier monarca, e tinge
La gota di pietà.

Povero schiavo! Storia
D'immenso lutto udrai.
Io primo in terra, io l'arbitro
Dell' Oriente, amai:
Empio l'amor mi fe!

Come la luce, amabile
Eri, Zoraide mia!
Non è la rosa persica,
O il giglio di Soría
Gentile al par di te.

De' zeffiri delizia

Nere spandea le chiome,
Scorrea sull' erbe tenere
Senza piegarle, come
Sull'acque l'alcion.

Al cherubino simile
Nel riso e nel saluto,
Lontano in notte placida
Concento di liuto
Fu di sua voce il suon.

Ed io l'uccisi! Tenero
Schiavo, tu piangi, e danni
Il tuo signor? Non entrano
In petto uman gli allanni
Del mio geloso cor.

Fanorre, oh desiderio
De' floridi anni mici!
Fanor, d'ogni mio gaudio
Compagno, io ti perdei!
Pera la donna e aminor!

Ama Fanor Zoraide,
Ella que' voti accetta;
Essi d'amor si pascono,
lo d'odio e di vendetta,
Che il brando mio compiè.

lo, di mia man, del perfido Amico in cor l'immergo; L'onda, che roca mormora Sotto l'amato albergo, Tomba al rival si fe.

Attende invan la misera,
Del truce caso ignara,
Il bel rivale. Il placido
Flutto, la notte chiara
L'adescano ad uscir.

E da una torre i cupidi
Occhi all'acquoso piano
Volge, se mai del giovane
Vedesse di lontano
La barca comparir.

E, mentre aspetta, ai zeffiri
Le sue speranze affida;
E intuona un mesto cantico,
Già tempo appreso: Oh! guida
L'agil barchetto a me.

A me, che sulla yelida Finestra appoggio il seno. Gli astri spiando e l'etere, Che, lucido e sereno,

Men bello è assai di te.

Vieni e la piuma candida, Che ondeggia mollemente

Del tuo turbante al vertice,
Il palpito frequente

Imiti del mio sen.

Vieni! e al tuo fianco il lucido Acciar sospeso splenda... E qui s'arresta, ed avida Sembra l'orecchio intenda, S'altri risponde o vien.

Ed io, cui ragion tolsero
Ira e vergogna stolta,
Salgo alla torre. Immemore
Stava ella, al ciel rivolta
In tutta sua beltà.

Forse sognava i fervidi
Baci e il gioir supremo!...
Ebbra del reo delirio,
Da tergo si la premo,
Che capovolta va.
Dall'alto ella precipita,
E nel cader si lascia
Addietro questo candido
Velo che il cor mi fascia,
Involontario don!

Parve gemendo l'etere
Al repentino pondo
Dividersi. Me misero,
Che udii de' flutti in fondo
Della caduta il suon!

Udisti? A che di lagrime
Porgi al tuo re conforto?
Piangi il tuo fato. Un genio
Maligno qui t'ha scorto,
E troppo ardente fè.

Tremendo, imperscrutabile,
Qual sotterraneo foco,
Ch'ove trabocchi estermina
E fa deserto il loco,
L'arcano è del tuo re.
Finor celata agli uomini,
Nota a quest'ombre solo,
Primo l'atroce storia
Udisti del mio duolo,
Che non potrai ridir. -
E si dicendo, il lucido
Acciar tragge, e nasconde
In petto al fedel arabo,
E il lascia tra le fronde

Esanime languir.

GLICERA.

Io ti chiedea le rose,
Fiore che invita al riso;

Tu a me porgi il narciso,
Ch'è fiore di dolor.

T'intendo : non rispose
L'evento ai voti miei.
Mi lasci, eppur non sei
Men caro a questo cor.

La vita, a me si rea,
Fatta m'avresti lieta :
Tocco un' infausta meta
Sul verde dell' età.

La mano, che dovea
Accompagnarmi all'ara,
Sulla funerea bara
Il serto mi porrà.

Mi mormora vicino
Un suon sommesso e mesto.
Vi seguo! Eppur si presto
lo non credea morir.

Di nuovi fior lo spino
Ancor non si fe bianco,
La rondine non anco
S'è vista a noi redir.

Gelido torpe il sangue,
Che tanto un tempo ardea;
Un languor segue, e crea
Novi pensieri in me.

Ma l'amor mio non langue;
Anzi più vivo e forte,
Mentre mi tragge a morte,
Non mi rapisce a te.

Muoio fedel: tu l'alma
Dischiudi a novo amore;
Ma come amò il mio core
Non saprà un'altra amar.
E forse fra la calma
Della solinga sera,
Glicera, udrò, Glicera,
Sul tumulo chiamar.

LA SERENATA.

L'ACQUE del lago increspi La molle aura odorosa, Che fa sui verdi cespi Ondoleggiar la rosa;

Raggio di luna argenteo
Sia face al mio cammin.
In placida bonaccia
Del remo la percossa
Sola sentir si faccia
All'anima commossa,
Che affretta co' suoi palpiti
Del mio tragitto il fin.

Chi la magion diletta
Agli occhi miei contende?
È quella! Ivi m' aspetta
Colei che il cor m'accende,
E forse tra sè mormora :
Quanto il mio ben tardò!
Vedrò l'amabil volto,
Udrò la sua favella;
E se gioir m'è tolto
Dalla crudel mia stella,
Dolci saran le lagrime
Che seco io verserò.

Di lira un' armonia
Echeggia di lontano!
Della fanciulla mia

Sento la bianca mano,
Che sulle corde medita
Canzou nota al mio cor.

Fansi più miti l'onde
Al suon di quella lira,
Fremon d'amor le sponde,
L'aura d'amor sospira :
Scorra il battel più celere;
Odia gl' indugi amor.

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Non mai si ragiona:
Non ama persona
Il crudo signor.

Al solo bandito,
Che rapido passa,
Il ponte s'abbassa
Con cupo fragor.

Il bronzo eminente
Che numera l'ore
È il solo romore
Che s'oda lontan.

Ma d'alma vivente
Respir non s'intende,
Per quanto si stende
Vastissimo il pian.
Arnoldo tal vive
Da quando geloso
Il petto amoroso
D'Idalba squarciò.

Lasciate le rive
Del Serchio natio,
Consorte men rio
Perché non trovò?

Ma il giorno pur venne
Che Arnoldo la figlia
Legar si consiglia
A prode guerrier;

Renato, che ottenne
Bel vanto di prode,
Pugnando con lode
Su lido stranier.

Più giovin, la mano
Gualtier ne chiedea;
Ma fiera n'avea
Risposta dal sir.

Giugnea di lontano,
E vista Golcosa,
Di farla sua sposa
S'accese in desir.

Non cede Gualtiero,
E armato, a cavallo,
A piedi del vallo
Disfida il rival.

Al giovin guerriero
Funesto è il conflitto,
E cade trafitto
Di piaga mortal.

Le nozze bandite
Con danze, con suoni,
Di conti e baroni
Ripieno è il castel.

Le sale romite
S' adornan di fiori,
E traggon cantori

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