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In limpido bacin sotto le accoglie.
Quale il sapon, del redivivo muschio
Olezzante all'intorno; e qual ti porge
Il macinato di quell' arbor frutto,
Che a Rodope fu già vaga donzella,
E chiama in van, sotto mutate spoglie,
Demofoonte ancor, Demofoonte.
L'un di soavi essenze intrisa spugna,
Onde tergere i denti, e l'altro appresta
Ad imbianchir le guance util licore.

Assai pensasti a te medesmo: or volgi
Le tue cure per poco ad oltro obbietto,
Non indegno di te. Sai che compagna,
Con cui divider possa il lungo peso
Di quest' inerte vita, il ciel destina
Al giovane Signore. Impallidisci?
No, non parlo di nozze : antiquo e vieto
Dottor sarei, se così folle io dessi
A te consiglio. Di tant' alte doti
Tu non orni così lo spirto e i membri,
Perchè in mezzo a la tua nobil carriera
Sospender debbi'l corso; e fuora uscendo
Di cotesto a ragion detto Bel Mondo,
In tra i severi di famiglia padri
Relegato ti giacci, a un nodo avvinto,
Di giorno in giorno più penoso; e fatto
Stallone ignobil de la razza umana. [ce,
D'altra parte il Marito, ahi quanto spia-
E lo stomaco move a i dilicati
Del vostr' Orbe leggiadro abitatori,
Qualor de' semplicetti avoli nostri
Portar osa in ridicolo trionfo
La rimbambita Fe, la Pudicizia,
Severi nomi! E qual non suole a forza
In que' melati seni eccitar bile,
Quando i calcoli vili del castaldo,
Le vendemmie, i ricolti, i pedagoghi
Di que' si dolci suoi bambini, altrui
Gongolando ricorda; e non vergogna
Di mischiar cotai fole a peregrini
Subbietti, a nuove del dir forme, a sciolti
Da volgar fren concetti, onde s'avviva
Da' begli spirti il vostro amabil Globo!
Pera dunque chi a te nozze consiglia.
Ma non però senza compagna andrai,
Che fia giovane dama, e d'altrui sposa;
Poi che si vuole inviolabil rito
Del Bel Mondo, onde tu se' cittadino.

Tempo già fu, che il pargoletto Amore Dato era in guardia ahsuo fratello Imene; Poi che la madre lor temea, che il cieco, Incanto Nume perigliando gisse Misero e solo per oblique vie; E che bersaglio agl' indiscreti colpi

Di senza guida e senza freno arciero, Troppo immaturo al fin corresse il seme Uman, ch'è nato a dominar la terra. Perciò la prole mal secura all'altra In cura dato avea, sì lor dicendo: « Ite, o figli, del par; tu, più possente, « Il dardo scocca ; e tu, più cauto, il guida « A certa meta. » Cosi ognor compagna Iva la dolce coppia; e in un sol regno, E d'un nodo comun l'alme stringea. Allora fu che il Sol mai sempre uniti Vedea un pastore ed una pastorella Starsi al prato, a la selva, al colle, al fonte; E la suora di lui vedeali poi Uniti ancor nel talamo beato, Ch' ambo gli amici Numi a piene mani, Gareggiando, spargean di gigli e rose. Ma che non puote anco in divino petto, Se mai s'accende, ambizion di regno? Crebber l' ali ad Amore a poco a poco, E la forza con esse : ed è la forza Unica e sola del regnar maestra. Perciò a poc' aere prima; indi più ardito A vie maggior fidossi; e fiero al fine Entrò nell' alto, e il grande arco crollando E il capo, risonar fece a quel moto Il duro acciar, che la faretra a tergo Gli empie, e gridò: Solo regnar vogl' io. Disse, e volto a la madre: « Amor adunque, « Il più possente in fra gli Dei, il primo « Di Citeréa figliuol, ricever leggi; «E dal minor german ricever leggi, [re << Vile alunno; anzi servo? Or dunque Amo« Non oserà, fuor ch' una unica volta, « Ferire un' alma, come questo schifo « Da me vorrebbe? E non potrò giammai, « Da poi ch'io strinsi un laccio, anco slegarlo

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Abbia omai pace, e in compagnia

d' Imene

Me non trovin mai più le umane genti. » Qui tacque Amore; e minaccioso in atto, Parve all' Idalia Dea chieder risposta. Ella tenta placarlo; e pianti e preghi Sparge, ma in vano; onde a'due figli volta, Con questo dir pose al contender fine : • Poi che nulla tra voi pace esser puote, • Si dividano i regni. E perchè l'uno ⚫ Sia dall' altro germano ognor disgiunto, • Sieno tra voi diversi e 'l tempo e l'opra. ⚫ Tu, che di strali altero a fren non cedi, L'alme ferisci, e tutto il giorno impera; E tu, che di fior placidi hai corona, Le salme accoppia, e coll' ardente face Regna la notte.» Ora di qui, Signore, Venne il rito gentil, che a' freddi sposi Le tenebre concede, e de le spose Le caste membra; e a voi, beata gente Di più nobile mondo, il cor di queste, E il dominio del di, largo destina. Fors' anco un di più liberal confine Vostri diritti avran, se Amor più forte Qualche provincia al suo germano usurpa. Cosi giova sperar. Tu volgi intanto A' miei versi l'orecchio ; ed odi or, quale Cura al mattin tu debbi aver di lei, Che, spontanea o pregata, a te donossi Per tua Dama quel di lieto, che a fida Carta, non senza testimoni, furo A vicenda commessi i patti santi E le condizion del caro nodo.

Gia la Dama gentil, de' cui be' lacci Godi avvinto sembrar, le chiare luci Col novo giorno aperse; e suo primiero Pensier fu dove teco abbia piuttosto A vegliar questa sera; e consultonne Contegnosa lo sposo, il qual pur dianzi Fu la mano a baciarle in stanza ammesso. Or dunque é tempo, che il più fido servo E il più accorto tra i tuoi mandi al palagio Di lei, chiedendo se tranquilli sonni Dormio la notte, e se d'imagin liete Le fu Morféo cortese. E' ver, che jeri Sera tu l'ammirasti in viso tinta Di freschissime rose; e più che mai Vivace e lieta uscio teco del cocchio; E la vigile tua mano per vezzo Ricusó sorridendo, allor che l'ampie Scale sali del maritale albergo. Ma ciò non basti ad acquetarti; e mai Non obliar si giusti ufici. Ahi quanti Genii malvagi tra 'l notturno orrore

Godono uscire, ed empier di perigli
La placida quiete de' mortali!

Potria, tolgalo il cielo, il picciol cane Con latrati improvvisi i cari sogni Troncare a la tua Dama; ond' ella, scossa Da subito capriccio, a rannichiarsi Astretta fosse, di sudor gelato

E la fronte bagnando, e il guancial molle.
Anco potria colui, che sì de' tristi,
Come de' lieti sogni è genitore,
Crearle in mente, di diverse idee
In un congiunte, orribile chimera;
Onde agitata in ansioso affanno
Gridar tentasse, e non però potesse
Aprire a í gridi tra le fauci il varco.
Sovente ancor ne la trascorsa sera
La perduta tra 'l gioco aurea moneta,
Non men che al Cavalier, suole a la Dama
Lunga vigilia cagionar; talora
Nobile invidia de la bella amica,
Vagheggiata da molti; e talor breve
Gelosía n'è cagione. A questo aggiugni
Gl'importuni mariti, i quali in mente
Ravvolgendosi ancor le viete usanze,
Poi che cessero ad altri il giorno, quasi
Abbian fatto gran cosa, aman d'Imene
Con superstizion serbare i dritti,
E dell'ombre notturne esser tiranni,
Non senz' affanno de le caste spose,
Ch'indi preveggon tra poch' anni il fiore
De la fresca beltade a sè rapirsi.

Or dunque ammaestrato a quali e quanti
Miseri casi espor soglia il notturno
Orror le Dame, tu non esser lento,
Signore, a chieder de la tua novelle.

Mentre che il fido messaggier si attende, Magnanimo Signor, tu non starai, Ozioso però. Nel dolce campo Pur in questo momento il buon cultore Suda, e incallisce al vomere la mano, Lieto, che i suoi sudor ti fruttin poi Dorati cocchi e peregrine mense. Ora per te l'industre artier sta fiso A lo scarpello, all'asce, al subbio, all'ago; Ed ora a tuo favor contende o veglia Il ministro di Temi. Ecco, te pure, Te la toilette attende : ivi i bei pregi De la natura accrescerai con l'arte; Ond' oggi, uscendo, del beante aspetto Beneficar potrai le genti, e grato Ricompensar di sue fatiche il mondo (b). Ma già tre volte e quattro il mio Signore Velocemente il gabinetto scorse Col crin disciolto e su gli omeri sparso;

Quale a Cuma solea l'orribil maga,
Quando agitata dal possente Nume
Vaticinar s'udía. Cosi dal capo
Evaporar lasciò de gli olii sparsi
Il nocivo fermento, e de le polvi,
Che roder gli potrien la molle cute,
O d'atroce emicrania a lui le tempia
Trafigger anco. Or egli, avvolto in lino
Candido, siede. Avanti a lui lo specchio
Altero sembra di raccor nel seno
L'imagin diva; e stassi a gli occhi suoi
Severo esplorator de la tua mano,
O di bel crin volubile architetto.
Mille dintorno a lui volano odori,
Che a le varie manteche ama rapire
L'auretta dolce, intorno a i vasi ugnendo
Le leggerissim' ale di farfalla.

Tu chiedi in prima a lui, qual più gli
aggrada
[do
Sparger sul crin: se il gelsomino, o il bion-
Fior d'arancio piuttosto, o la giunchiglia,
O l'ambra, preziosa a gli avi nostri.
Ma se la Sposa altrui, cara al Signore,
Del talamo nuzial si duole, e scosse
Pur or da lungo peso il molle lombo;
Ah! fuggi allor tutti gli odori, ah! fuggi,
Chè micidial potesti a un sol momento
Più vite insidiar. Semplici siéno

I tuoi balsami allor; nè oprarli ardisci
Pria che su lor deciso abbian le nari
Del mio Signore, e tuo. Pon mano poscia
Al pettin liscio, e coll'ottuso dente
Lieve solca i capegli; indi li turba
Col pettine e scompiglia: ordin leggiadro
Abbiano al fin da la tua mente industre.

lo breve a te parlai; ma, non pertanto,
Lunga fia l'opra tua; nè al termin giunta
Prima sarà, che da più strani eventi
Turbisi e tronchi a la tua impresa il filo.
Fisa i lumi a lo speglio; e vedrai quivi
Non di rado il Signor morder le labbra
Impaziente, ed arrossir nel viso.
Sovente ancor, se artificiosa meno
Fia la tua destra, del convulso piede
Udrai lo scalpitar breve e frequente,
Non senza un tronco articolar di voce;
Che condanni e minacci. Anco t'aspetta
Veder talvolta il mio Signor gentile
Furiando agitarsi; e destra e manca
Porsi nel crine; e scompigliar con l'ugna
Lo studio di molt' ore in un momento.
Che più? Se per tuo male un di vaghezza
D'accordar ti prendesse al suo sembiante
L'edificio del capo, ed obliassi

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Di prender legge da colui, che giunse [re,
Pur jer di Francia: ahi quale atroce folgo-
Meschino! allor ti penderia sul capo!
Che il tuo Signor vedresti ergers' in piedi ;
E versando per gli occhi ira e dispetto,
Mille strazi imprecarti; e scender fino
Ad usurpar le infami voci al vulgo,
Per farti onta maggiore; e di bastone
Il tergo minacciarti; e violento
Rovesciare ogni cosa, al suol spargendo
Rotti cristalli e calamistri e vasi

E pettine ad un tempo. In cotal guisa,
Se del Tonante all'ara, o de la Dea
Che ricovrò dal Nilo il turpe Phallo,
Tauro spezzava i raddoppiati nodi,
E libero fuggía, vedeansi al suolo
Vibrar tripodi, tazze, bende, scuri,
Litui, coltelli; e d'orridi muggiti
Commosse rimbombar le arcate volte;
E d'ogni lato astanti e sacerdoti
Pallidi all'urto e all'impeto involarsi
Del feroce animal, che pria sì queto
Gía di fior cinto, e sotto a la man sacra
Umiliava le dorate corna.

Tu non pertanto coraggioso e forte
Soffri, e ti serba a la miglior fortuna.
Quasi foco di paglia è il foco d'ira
In nobil cor. Tosto il Signor vedrai
Mansuefatto a te chieder perdono;
E sollevarti oltr'ogni altro mortale
Con preghi e scuse, a niun altro concesse ;
Onde securo sacerdote allora
L'immolerai, qual vittima, a Filauzio,
Sommo nume de' Grandi; e, pria d'ognal-
Larga otterrai del tuo lavor mercede. [tro,
Or, Signore, a te riedo. Ah! non sia colpa
Dinanzi a te, s'io traviai col verso,
Breve parlando ad un mortal, cui dêgni
Tu de gli arcani tuoi. Sai, che a sua voglia
Questi ogni di volge e governa i capi
De' più felici spirti; e le matrone,
Che da' sublimi cocchi alto disdegnano
Volgere il guardo a la pedestre turba,
Non disdegnan sovente entrar con lui
In festevoli motti, allor ch'esposti
A la sua man sono i ridenti avorii
Del bel collo, e del crin l'aureo volume.
Perciò accogli, ti prego, i versi miei
Tuttor benigno; ed odi or, come puossi
L'ore a te render graziose, mentre
Dal pettin creator tua chioma acquista
Leggiadra, o almen non più veduta forma.

Picciol libro elegante a te dinanzi Tra gli arnesi vedrai, che l'arte aduna

Per disputare a la natura il vanto
Del renderti si caro a gli occhi altrui.
Ei ti lusinghera forse con liscia,
Purpurea pelle, onde fornito avrallo
O Mauritano conciatore o Siro;
E d'oro fregi dilicati, e vago
Mutabile color, che il collo imiti
De la colomba, v' avrà posto intorno
Squisito legator Batavo o Franco.
Ora il libro gentil con lenta mano
Togli; e non senza sbadigliare un poco,
Aprilo a caso, o pur là dove il parta
Tra una pagina e l'altra indice nastro.
◊ de la Francia Próteo multiforme, [to
Voltaire, troppo biasmato, e troppo a tor-
Lodato ancor; che sai con novi modi
Imbandir ne' tuoi scritti eterno cibo
A i semplici palati; e se' maestro
Di coloro che mostran di sapere :
Tu appresta al mio Signor leggiadri studi
Con quella tua Fanciulla, a gli Angli in-
festa,

Che il grande Enrico tuo vince d'assai;
L'Enrico tuo, che non peranco abbatte
L'Italian Goffredo, ardito scoglio
Contro a la Senna, d'ogni vanto altera.

Tu de la Francia onor, tu in mille scritti
Celebrata, Ninon, novella Aspasia,
Taide novella a i facili sapienti
De la Gallica Atene, i tuoi precetti
Pur dona al mio Signore ; e a lui non meno
Pasci la nobil mente, o tu (1), ch'a Italia,
Poi che rapirle i tuoi l'oro e le gemme,
Invidiasti il fedo loto ancora,
Onde macchiato è il Certaldese, e l'altro,
Per cui va si famoso il pazzo Conte.

Questi, o Signore, i tuoi studiati autori
Fieno, e mill' altri, che guidaro in Francia
A novellar con le vezzose schiave
I bendati Sultani, i Regi Persi,
E le peregrinanti Arabe dame;
O che, con penna liberale, a i cani
Ragion donaro e a i barbari sedili,
E dier feste e conviti e liete scene
A i polli ed a le gru, d'amor maestre.
Oh pascol degno d'anima sublime!
Ob chiara, oh nobil mente! A te ben dritto
È che si curvi riverente il vulgo,

E gli oracoli attenda. Or chi fia dunque
Si temerario, che in suo cor ti beffi,
Qualor, partendo da si begli studi,
Del tuo paese l'ignoranza accusi;

(2) LA FONTAINE,

E tenti aprir col tuo felice raggio
La Gotica caligine, che annosa
Siede su gli occhi a le misere genti?
Così non mai ti venga estranea cura
Questi a troncar si preziosi istanti,
In cui, non meno de la docil chioma,
Coltivi ed orni il penetrante ingegno.

Non pertanto avverrà, che tu sospenda
Quindi a pochi momenti i cari studi,
E che ad altro ti volga. A te quest' ora
Condurrà il merciaiuol che in patria or tor-
Pronto inventor di lusinghiere fole, [na;
E liberal di forestieri nomi

A merci che non mai varcaro i monti.
Tu a lui credi ogni detto: e chi vuoi, ch'osi
Unqua mentire ad un tuo pari in faccia?
Ei fia che venda, se a te piace, o cambi
Mille fregi e gioielli, a cui la moda
Di viver concedette in giorno intero
Tra le folte d'inezie, illustri tasche.
Poi lieto se n'andrà con l'una mano
Pesante di molt' oro; e in cor gioiendo,
Spregerà le bestemmie imprecatrici,
E il gittato lavoro, ei vani passi
Del calzolar diserto, e del drappiere;
E dirà lor: Ben degna pena avete,
O troppo ancor religiosi servi

De la Necessitade, antiqua, è vero,
Madre e donna dell'arti, or nondimeno
Fatta cenciosa e vile. Al suo possente,
Amabil vincitor v'era assai meglio,
O miseri, ubbidire. Il Lusso, il Lusso
Oggi sol puote dal ferace corno
Versar sull'arti, a lui vassalle, applausi,'
E non contesi mai premii e dovizie.

L'ora fia questa ancor, che a te conduca
Il dilicato miniator di belle,
Ch'è de la corte d'Amatunta e Pafo
Stipendiato ministro, atto a gli affari
Sollecitar dell' amorosa Dea.
Impaziente or tu l'affretta e sprona,
Perchè a te porga il desïato avorio,
Che de le amate forme impresso ride :
O che il pennel cortese ivi dispieghi
L'alme sembianze del tuo viso, ond' abbia
Tacito pasco, allor che te non vede,
La pudica d'altrui sposa, a te cara;
O che di lei medesma al vivo esprima
L'imagin vaga; o, se ti piace, ancora
D'altra fiamma furtiva a te presenti
Con più largo confin le amiche membra.

Ma, poi che al fine a le tue luci esposto Fia il ritratto gentil, tu cauto osserva, Se bene il simulato al ver risponda,

Vie più rigido assai, se il tuo sembiante
Esprimer denno i colorati punti,
Che l'arte ivi dispose. Oh quante mende
Scorger tu vi saprai! Or brune troppo
A te parran le guance; or fia ch' ecceda
Mal frenata la bocca; or, qual conviensi
Al camuso Etiope, il naso fia.
Ti giovi ancora d'accusar sovente
Il dipintor, che non atteggi industre
L'agili membra e il dignitoso busto;
che con poca legge a la tua imago
Dia contorno, o la posi, o la panneggi.
È ver, che tu del grande di Crotone
Non conosci la scuola; e mai tua mano
Non abbassossi a la volgar matita,
Che fu nell'altra età cara a' tuoi pari,
Cui sconosciute ancora eran più dolci
E più nobili cure, a te serbate.
Ma che non puote quel d'ogni precetto
Gusto trionfator, che all' ordin vostro,
In vece di maestro, il ciel concesse ;
Ed onde a voi coniò le altere menti,
Acciò che possan de' volgari ingegni
Oltrepassar la paludosa nebbia,
E d'aëre più puro abitatrici,
Non fallibili scerre il vero e il bello?

Perciò qual più ti par loda, riprendi,
Non men fermo d'allor che a scranna siedi,
Raffael giudicando, o l'altro eguale,
Che del gran nome suo l'Adige onora;
E a le tavole ignote i noti nomi
Grave comparti di color, che primi
Fur tra' pittori. Ah! s'altri è sì procace,
Ch'osi rider di te, costui paventi
L'augusta maestà del tuo cospetto :
Si volga a la parete; e mentr' ei cerca
Por freno in van col morder de le labbra
A lo scrosciar de le importune risa,
Che scoppian da' precordii, violenta
Convulsione a lui deformi il volto;
E lo affoghi aspra tosse; e lo punisca
Di sua temerità. Ma tu non pensa,
Ch' altri ardisca di te rider giammai;
E mai sempre imperterrito decidi.

Or l'imagin compiuta intanto serba, Perchè in nobile arnese un di si chiuda Con opposto cristallo, ove tu faccia Sovente paragon di tua beltade Con la belta de la tua Dama : o a gli occhi Degl' invidi la tolga, e in sen l'asconda Sagace tabacchiera; o a te riluca Sul minor dito fra le gemme e l'oro; O de le grazie del tuo viso desti Soavi rimembranze, al braccio avvolta

De la pudica altrui sposa, a te cara.

Ma giunta è al fin del dotto pettin l'opra. Già il maestro elegante intorno spande De la man scossa un polveroso nembo; Onde a te innanzi tempo il crine imbianD'orribil piato risonar s'udio [chi. Già la corte d'Amore. I tardi vegli Grinzuti osár co i giovani nipoti Contendere di grado in faccia al soglio Del comune Signor. Rise la fresca Gioventude animosa, e d'agri motti Libera punse la senil baldanza. Gran tumulto nascea: se non che Amore, Ch'ogni diseguaglianza odia in sua corte, A spegner mosse i perigliosi sdegni ; E a quei, che militando incanutiro Suoi servi, impose d'imitar con arte I duo bei fior, che in giovenile gota Educa e nutre di sua man Natura. Indi fe' cenno; e in un balen fur visti Mille alati ministri, alto volando, Scoter le piume; e lieve indi fiocconne Candida polve, che a posar poi venne Su le giovani chiome; e in bianco volse Il biondo, il nero e l'odiato rosso. L'occhio così nell' amorosa reggia Più non distinse le due opposte etadi; E solo vi restò giudice il tatto.

Or tu adunque, o Signor, tu che se' il
primo

Fregio ed onor dell' amoroso regno,
I sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
Pria da provvida man, la bianca polve
In piccolo stanzin con l'aere pugna,
E de gli atomi suoi tutto riempie,
Egualmente divisa. Or ti fa core;
E in seno a quella vorticosa nebbia
Animoso ti avventa. Oh bravo! oh forte!
Tale il grand' Avo tuo tra 'l fumo e'l foco
Orribile di Marte furïando

Gittossi allor che i palpitanti Lari
De la patria difese; e ruppe e in fuga
Mise l'oste feroce. Ei non pertanto,
Fuligginoso il volto, e d'atro sangue
Asperso e di sudore, e co' capegli
Stracciati ed irti, da la mischia uscío,
Spettacol fero a' cittadini istessi,
Per sua man salvi; ove tu, assai più dolce
E leggiadro a vedersi, in bianca spoglia
Uscirai quindi a poco a bear gli occhi
De la cara tua patria, a cui dell' Avo
Il forte braccio, e il viso almo, celeste
Del Nipote dovean portar salute.

Ella ti attende impaziente, e mille

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