Fra gli archi e le colonne Di Roma e di Sionne Per lei s'erse il purpureo Vessillo della Fe.
Per lei l'ingegno astuto Del tentator fu vinto; Ebbe loquela il muto, Ripalpitò l'estinto; Ai fonti, ai paschi eletti Leoni ed agnelletti Mossero insiem, corcaronsi Dello stess' orno al piè. Al suon delle parole Arcane, onnipossenti, Dal padiglion del sole La Speme dei redenti, Fra l'estasi, fra i voti Dei popoli devoti, Discende ostia e pontefice Sull' odorato altar. Terge le macchie in fronte Dell'uomo, e lo risana Colla virtù del fonte La voce sovrumana; Lui salva, lui proscioglie, Quando il demon lo coglie, Come sparvier fra i turbini, Come corsaro in mar.
Santifica gli amplessi Di gioventù pudica; Fuga il malor che nacque Dagli aquilon, dall'acque ; Serba le messi e gli alberi Sul prodigo terren. Fra 'l sangue, fra i delitti Placa, sgomenta il tristo; Ne' vigili conflitti
Regge i campion di Cristo; Rende securo e forte Sul letto della morte, E infonde al pio letizia Di paradiso in sen.
Allo scoppiar de' tuoni, Al suon di mille tube, Siccome Iddio ragioni Dalla squarciata nube; Come tremar ne faccia La divina minaccia, Del circonciso esercito Il condottier l'udi. Noi popolo redento, Eredità verace, Ascolterem l'accento Di carità, di pace. Chiamane, o Dio, se vuoi; T'udranno i figli tuoi: Padre t'udranno il giudice Non parlerà così.
La scena è nella reggia di Creonte in
ALTA cagion, fidi Corintii, al vostro Signor d'intorno oggi v' aduna. A parte Brama pur voi Creonte della immensa Letizia sua chè aver letizia vera
Giammai non puote un re, finchè divisa Col popol suo non l'abbia.-Io già dagli anni Fatto infermo e cadente, a' danni vostri Sorger vedea molti nemici e feri, Perchè spesso impuniti ; e Glauca dolce, Unica figlia a me dal ciel concessa, Priva ancor di consorte. Ond' io mi volsi Un prode a rinvenir, che fosse insieme Difensor di Corinto e a Glauca sposo; E'l concedeano i Numi. -A queste sponde Giunse di Colco il vincitor, traendo La vittoria seguace: a lui commessa Fu la nostra vendetta, e 'l san le vinte Falangi ostili se il suo braccio è fiacco.
Il vedeste pur voi, la fronte asperso Di polve e di sudor, recar sovente Del trono appiè le sanguinose spoglie De' trafitti nemici. E Glauca il vide, E sen compiacque : e, progenie di forti, A nobil fiamma il suo bel cor dischiuse; Nè il tacque al padre. Alle proposte nozze Giason consente : e chi narrarvi or puote Quanta è mia gioia? In un sol di compiuta Del re, del genitor la speme io veggio; Paga la figlia, ed un eroe sul trono. - Però non fia che ad imeneo si lieto Pur breve indugio si frapponga. Al tempio Precedetemi voi. Pria del meriggio Vuo' che il rito si compia.
E tu Creonte, ch'io non so se deggia Padre o amico appellar; pria che il solenne Rito si compia, un alto arcano è d'uopo Ch'io vi palesi. A ciò mi sforza il vostro Tenero affetto e i beneficii vostri, Ond' io sicuro ed onorato e lieto Vivo così, che, quanto il ciel m' ha tolto, Tutto ritrovo nell'amor d' entrambi. - Delle vicende mie gran parte ignota Ancor vi resta, e la men lieta. Ad ambi Tutto fia chiaro, e insiem perchè taciuto Finor l'avessi. Allor, se degno ancora Del vostro amor mi crederete, allora Vi sieguo al tempio.
L'alta vittoria, onde mia fama eterna Al mondo suonerà, forza è pur dirlo, Meno al mio braccio che all'amor degg'io.- Nell' aureo vello il regnator di Colco Credea riposto il comun fato e il suo : Però di feri sgherri e di feroci Belve e d'occulte insidie avea la selva Accerchiata così, che un passo in quella Era morte secura. - E già due lune Splendeano indarno sulla mia speranza; Ed i seguaci eroi, me sol lasciando Quasi stolto alla impresa, a' patrii lidi Facean ritorno. All' alma dea di Cipro Devoto allor mi prostro, e incensi e preci Ferventi io porgo. Ed ecco un di, mentr'io Son presso all'ara, ecco a quell'ara istessa Medea venirne, del signor di Colco Figlia diletta. - Qual sembiante avesse Tacerlo io vuo': te sola or amo; e sovra Tutte leggiadra or io te sola estimo. - Amor ne accese entrambi; madre quindi Medea divenne, io genitor di vaga Gemina prole. Allor con sacro rito Il dolce nodo a lei fermar propongo, E, immemore del vello e del mio regno, Presso al suo genitor miei di trar seco. «Non hai tu trono? E qui servir vorresti ? » Ella altera risponde: indi soggiugne: « Mal tu conosci il padre mio: secura « Morte, me 'l credi, a te sovrasta e ai figli, « Ove del fallir nostro abbia contezza: « Solo il fuggir ci avanza, e il fuggir tosto. » Raccapriccio a que' detti: orbare un vec- Genitor della figlia a me parea [chio Colpa maggior, che l'involargli il vello.- Al mio dubbiar di tanta ira s'accende, Si feri sensi nel bollor dell'ira
Medea palesa; ed in amar si forte Insiem si mostra e disperata, ch' io, Di terror, di pietà ricolmo, il reo Consiglio abbraccio. E, benchè il cor mi
Nero tremante, e del futuro in forse Per l'indole inflessibile superba, Tardi, ma appien già conosciuta in lei, Pur d'amor cieco, e più pei cari figli Palpitante, di cui la vita in tanto Rischio vedea, consento alla proposta Indegna fuga. A lei però mercede Ne chieggo il vello; che le patrie sponde Nel rammentar soltanto, in me l'antico Desio d'onor già risorgea più forte.
Chiedi si poco (ella risponde)? Il sangue Chiedi a me pur, che il verserò s'e d'uopo. « Ad amar da Medea Giasone apprenda. » Sorge la notte, ed ella per occulto Sentier mi scorge ov'è riposto il vello. Breve ed aspra è la pugna; è le custodi Belve trafitte, il desiato acquisto Già in pugno io stringo.-Ad ordinar la fuga L'arti sue scaltre allor Medea rivolge. Salda nel suo pensier, nè pur di pianto Una stilla versando, al patrio tetto S'invola imperturbata, e me raggiugne Seco traendo il suo minor germano, Già delizia del padre, il vago Assirto. [ca « A che il fratel?» le chieggo. Ella con fioVoce risponde: « Util saranne ei forse. » Fuggiam. Sopra il mio carro i figli io tragMedea sull' altro col fratel mi siegue. [go: Ma, oh ciel! bentosto il furibondo Aeta Ci apparisce alle spalle, e si c'insegue, E si c'incalza, che parea perduta Ogni speme per noi. - Furente allora, Fremo in ridirlo, allor Medea furente Spegne...il germano,.. e sulla via ne lascia La spoglia palpitante... inciampo al pa[dre.
Spettacol miserando, i figli io stringo Involontario al sen quasi temendo Che far volesse pur de' figli scudo [gno, Al tremendo amor suo. - L'orror, lo sde- L'alta pietà del giovinetto estinto Mi vincono così, che sciolto il freno Ai rapidi corsier, per calli obliqui Precipitoso mi dileguo all'empia Cui giurar fe' non consentia più il core. - Dal giorno in poi novella più di lei
Non ebbi alcuna, e non avronne, io spero: Triplice mar ci parte, e corso è intero Già quasi un lustro dall'infausto evento. Ma pur sovente al mio pensier s'affaccia Il suo sembiante; e come foglia allora Tremante io stommi, quasi a fronte avessi Una infernale Erinni. - Ecco l' amara Istoria mia. D'amor si tristo nulla
Orpiù m' avanza che il rimorso... e i figli, Ed in essi io sol m' ebbi conforto, ed ho Delizia sola; e non ho cosa al mondo (mi Che più de' figli a me sia cara; e i figli Del mio splendor novello a parte io bramo, O il trono insieme e l'imeneo ricuso.
(Di terrore ingombra (mi L'alma ho così, che innanzi agli occhi parAver l'orrida scena.- E il padre, ahi lassa! Che mai risolverà?)
Giason, non anco Tutto dicesti. Del tacer tuo lunga Ragion or rendi.
La pietà de' figli. Noto è a voi già, che al rieder mio di Colco, Del patrio scettro usurpator l'indegno Pelia rinvenni, del mio padre estinto Minor german, dalle cui trame a stento Col fuggir mi sotrassi. E pur di lunge Il suo furor mi raggiugnea, sovente Di me, de' figli or col ferro or col tosco Minacciando la vita; ond' io che i figli Amo più di me stesso, a porli in salvo, Cangiando ciel, cangiai pur d'essi il nome; E ad arte genitor ne fiusi il fido Mio seguace Eurimante.
Si: que' son che tu medesma Spesso abbracciavi, me presente; e belli Dicevi e cari. E, oh! quante volte in punts Fui di tutto svelarvi! Ahime! ma un padre Teme ognor, ne mai troppo. A me parea Sempre veder de' figli miei sul capo Il pugnal omicida; e, lasso, allora Tacea l'amico al palpitar del padre. Ma or cangia il fato alfin: miei lari i vostri Divengon oggi: ogni periglio è tolto; Il più tacer colpa or sarebbe; e fora
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