Sayfadaki görseller
PDF
ePub

DI

VARI POETI MODERNI.

G. BARBIERI.

GLI AUGELLI.

STANZE.

Car mai non vide un bel mattin d'aprile, Che monti e colli rugiadoso indora, Quando pe' boschi tremola e sottile Move la prima soavissim' ôra; E gli augelletti con l'usato stile Sfogano il bel desio che gli innamora; No, non intende con che dolci affetti Possa Natura ingentilire i petti.

Qual di garrule voci, e qual di canti Vario, indistinto, armonico bisbiglio! Come volano e van gli stormi erranti, Senza tema d'insidia o di periglio! Scintillano d'amor; d'amor tremanti Vanno a diporto dalla quercia al tiglio; Vanno dal colle al pian, dal piano al monte, Dal bosco al prato, e dal ruscello al fonte. Canterellando librasi a un bel raggio La capelluta e vispa Lodoletta. Ride la Cingallegra ; e in suo linguaggio Ciancia l'astuta e bruna Passeretta. Tessendo in aria circolar viaggio Preda gli insetti, e vivida cinguetta La peregrina dell' estranio lido, Ch'ama sui tetti fabbricarsi il nido.

Oh! qual de' nidi e il magistero, e quanta Degli amorosi genitor la cura! Altri fra l'erba, o su d'aerea pianta L'opra compon diversa ed affigura. Fruscoli, sterpi, e bucce, e piume, (tanta Dell' opra è la gentil architettura!) Fanno scabra di fuor, soffice addrento

La capannetta dell' augel contento.
Curvasi quella in vaghi giri, e accoglie
Nel cavo fondo le moltiplici ova;
Ne buffar d' Austro, nè crollar di foglie
Teme la bella fabbrichetta nova.
Sopra vi posa la diletta moglie,
E col tepido sen le molce e cova;
Il pietoso marito e notte e giorno
Veglia e provvede al genial soggiorno.

Cosi parca del sonno e della gola
Accoccolata la gentil consorte,
Nutre di sè l'occulta famigliuola;
Nè avvien che tedio mai la disconforte.
Il marito cantor la racconsola
E fa più dolce la materna sorte.
Ma battono i piccin, battono all' uscio;
E in lieta prova rompono dal guscio.
Ve' come tutti capolin si stanno
A pipilar del nido in sulla sponda,
Finchè la madre con pietoso allanno
Loro imbecchi la molle esca gioconda.
Oh! come a schermo d'ogni offesa e danno
Li protegge con l'ale, e li circonda.
Ah! no, non turbi la materna pace
Artiglio predator, mano rapace!

I novellini omai tratti dal nido La cara madre a' primi voli addestra; E con l'auspici penne, e in vario grido Fassi agli emoli cor dolce maestra. Quindi animosi spiccansi dal fido Ramo natal, che sentono più destra L'ala sul tergo, e più robusto il petto, E volano per l'aria a lor diletto.

Ma notturno Cantor, quando lo stuolo

Posa degli altri augei, che il vento e l'onda
Tace all'intorno, e il cielo tace e il suolo,
Ecco improvviso dall'occulta fronda
Scioglie la voce il musico Usignuolo,
E, come amor gli detta, ei lo seconda.
Io col guardo nel cerco, e l'alına intanto
Pende rapita dall' amabil canto.

Mormora roco, e garrulo gorgheggia,
E increspa in onde la volubil vena.
Or languido s'attrista ed or colpeggia
Le calde note, e ne le vibra o affrena.
Con trilli vivacissimi festeggia,

Ein be' gruppi gli attorce, e in giro mena. Dolci i gemiti son, dolci i sospiri, Dolcissimi gli armonici deliri.

La cara melodia di quelle rime Sembra che tocchi l'aure e le campagne. Cosi nel vario stile i sensi esprime Di chi gioisce, e meglio di chi piagne. O tu, se qualche il cor, lasso, t'opprime Gravosa cura od aspro pensier t'agne, Vieni meco al boschetto, e sentirai Struggerti di dolcezza a que' suoi lai. Non è ribrezzo di gentile auretta Che vitreo lago increspi lasinghiera; Non è susurro di gentil selvetta, Che mormoreggi lenemente a sera; Non è bisbiglio di gentil valletta

Al cader della pioggia in primavera, Che tanto dolce al cor mi suoni, e tanto M'innebrii l'alma d'un soave incanto.

O dalle vaghe colorite piume
Vezzosi, amabilissimi augelletti!
In voi si specchi all' amoroso lume
Chi nutre in seno dilicati affetti!

Chè in voi le grazie del gentil costume,
Le dolci cure, i teneri diletti,
In voi del bello e della gioia pura
Le ingenue tracce figuro Natura.

OSSIAN.

EPISTOLA

AD AMARITTE.

E tu non hai pur anco alla gran fonte Del Cantor di Malvina e di Fingallo Appressate le labbra ? E tu de' boschi Ami l'ombre più folte, ami gli opachi Delle grotte vocali ermi recessi, Ami le scaturigini rompenti Da muscose pendici, e della luna

Il mite raggio, e l'usignuol che piagne,

E l'aura che sospira, e il ciel che tace?
Dunque che fai, che leggi al tuo bel colle
Dolcissima Amaritte? Ed all'ingegno
Vago di meraviglie e di tristezze,
Qual' esca porgi d'amoroso incanto,
Di néttare castalio? E se nel viso,
Nel ceruleo girar de' molli sguardi,
E nel mesto suonar delle parole,
Tutta mi sembri di Toscar la figlia;
Perchè non fai tua cura e tuo diletto
Il Cantor di Malvina e di Fingallo?

Invida voce Italia corse ai foschi
Di quell' irte contrade abitatori
Alle nevi, ai deserti, alle tempeste
L'arpa di Cona risonar concenti
Graditi forse e armoniosi: a noi,
Che vivo sol riscalda, e cielo, e suolo
Di amenità riveste e di bellezza,
A noi dura quell' arpa, e discordata
Mandar note incomposte e suoni alpestri.
Ma che? Forse non ha suono più dolce,
Che l'urlo de' torrenti e il tuon de' nembi,
L'arpa di Cona? O rea menzogna! Oscuro
Ben è quell'aer caledonio, e fredda
Quella montana region silvestre;
Ma non è buia no di que' cantori
La mente, od aspra di que' cor la tempra.
E non han forse lor bellezza e pompa
Nevi, rupi, deserti, ombre, procelle;
Natura grande, maestosa, augusta che
In quell'orror selvaggio? Ah! se piufres-
Le molli erbette, più vezzosi i fiori,
Più ridente l' april, più mite il verno
E più culte le genti a noi concesse
Rara di ciel benignitade; a noi
Giovi pur derivarne affetti e suoni
Di conforme piacer. Ned io quel cielo,
D'oscurissime nubi avviluppato,

Io non invidio, a cui mi splende in faccia
L'italo sol; ma ne tampoco abborro,
Fra quelle tempestose oscuritadi
Errar sull'ale del pensier romito;
E non so qual mi prende anzi vaghezza.
Natura è immensa, il Bello vario. E ride
Grazioso di forme in que' d' Armida
Lieti giardini, ed orrido s'infosca
Nelle selve d' Ismeno. Altrui vien dolce
Il mormorio de' placidi ruscelli
Per erbosi canali, e freschi e molli;
A me rombo e fragor d'acque montane
Per dirupati massi alto fragnenti.
A chi piace dell'onda il sottil velo.
Tremolo e crespo, quando ride il mare;
A chi l'ira de' flutti, e la mugghiante

Per liti e scogli aquilonar procella.
Te il mattin giova; altri la sera; e cui
Settembre, o maggio; ed anco il tardo giro
Delle notti vernali altri diletta.

Ma non sempre vorrei deserti, o nevi,
Torrenti, od aquiloni; e tu non sempre
Ameresti, cred' io, l'alba, e l'aprile,
Che il vario alletta, e l'uniforme attrista.
Pure in quel cielo nubiloso e tetro,
Su quelle rupi squallide; tra il sordo
Mugghiar di que' torrenti, incontro, e
ammiro

(Chi il crederebbe ?) imagini leggiadre,
Teneri sensi, e cortesia d'amanti,
E fè di spose immacolata, e casti
Di donzelle sospiri, e generosa
Pietà di nati, e carità di suolo;
E così viva in ogni petto, e calda
Brama di cimentarsi ad alte imprese,
E tal ne' carmi una dolcezza, e tale
Una mesta armonia, che t'empie il core.
Ne fole io fingo. Odi Amaritte. I figli
Delle Morvenie selve, i pro' di Cona
Bardi e guerrieri, poichè avean la notte
Fra i diletti dell' arpe e delle conche,
Prodotta al lume delle accese querce;
Godean, ciascuno in solitaria parte,
A' lor fantasmi abbandonar le calde
Di gloria e di valore anime illustri.
Cosi nel sogno intravedean le amiche
De' duci e de' cantori ombre vaganti,
Che delle nubi a calvacion, sull' irta
Vetta di Cromla, o sui muscosi sassi
Delle anguste magioni, o sulle pietre,
Della fama custodi, i dubbj eventi
Predicean delle pugne : ora del petto
Le ferite mostrando, ora del braccio
Protendendo la forza, or colla voce
Sibilando profetici lamenti;

Per cui de' figli e de' nipoti in core
Mettean l'amor delle virtudi antiche.
Quindi un fremer confuso, e al par de' bo-
Agitati dal vento, un incessante [schi
D'aerei scudi e di nebbiose lance
Azzulfamento; e nell' aerea mischia
Mille apparian sembianti, e mille forme.
Ma poichè dalla zufla atra di morte,
Reddían que' prodi alle materne rupi,
Sorgea di belle gioie altra vicenda.
Eccoti Selma, e le sue torri ; e il musco,
Che sopra ci verdeggia, alto degli anni.
Ecco l'arme de' forti al muro appese,
Che il vento le percote, e agli orbi padri
Desta quel suon care memorie in petto.

Ma più altre ne desta il Re de' canti,
Che a raddolcire i bellicosi affanni,
Sotto una pianta di fischianti foglie
Tempra la voce. Dilettose istorie,
Soavi note, a cui spirar, le corde
Pian pian ricerca dell' armonic' arpa
La bella figlia di Toscarre. Intorno
Pendon sull' asta i giovanetti ardenti,
E fan cerchio le vergini dell' arco.
A quella voce, che i trascorsi tempi
Chiama, ed arresta; a quell' amabil voce,
Che a più puro soggiorno innalza l'ombre,
Ve' tra le nubi si dischiude, e tutta
Di brillanti meteore si dipigne

La sala di Tremmór. Curvi dall'alto
Bevono il canto irraggiator dell' alme
Gli eroici spirti. L'immortal ventura
Sull' ali del nemboso aere li porta
A vestirsi di luce, e a far del cielo
Novo campo a magnanimi trionfi.
O cari sogni! O vision beate!
Per voi tra' boschi della gelid' Orsa
Crebbe un popol d' eroi, crebbe di vati
Mirabile famiglia, e tal che puote
Mettere invidia alle più culte etadi.

Che dunque? Al greco e all'italo Per

messo

Darem le spalle? E sulle nordich' alpi
Solo avranno le muse albergo e tempio ?
Stolto nocchier Scilla fuggendo, rompe
All'opposta Cariddi. Il bello, il grande
Ha patria l'universo. E tu nel cogli,
O stranio, o nostro, ove che sia. La pecchia
Coglie di tutti fiori attico mele.
Che se i Numi benigni, o i casi avversi,
Quella vena ti schiusero, che larga
Move di dentro a inumidir le ciglia;
E t'assal quella languida tristezza,
Ch'abita in cor gentile, e vi ridesta
Pensier soavi ed amorosi affetti,
Questo, bella Amaritte, è il tuo Poeta.

TERESA CONFALONIERI (1),

NELLA PRIMAVERA DEL 1830.

Martello acuto e strale anzi cocente

Di dolor mi configge a ingrata piuma;

(1) Teresa Confalonieri de' conti Casati da Milano, leggiadrissima fra le più leggiadre donne, specchio d'amor conjugale, virtuosissima, non

Piume, che io stanco invan, requie cer

cando

Or da un lato, or dall' altro. E muta stassi
L'arte di Macaon, che agguata incerta,
Se a farmaco por debba o mano al ferro:
Cosi dentro dal petto mi si rompe
Per lo spasimo l'anima. Consegue
A tristo di notte più trista. Indarno
La novella stagione e monti e valli
Di lieta primavera mi dipinge,

:

E son l'aure più dolci e più sereno
Il cielo me bufera orrida investe,
E mie tutte potenze a terra batte.
Eppur mel crederesti? In que' momenti
Che l'arco del dolore un tratto allenta,
(Senza che dell' ambascia i' mi morrei)
A te si leva il mio pensiero, o Donna
Di specchiata virtù, da te riceve
Qualche conforto; e dall' esempio tuo,
Donna quanto infelice e tanto degna
Di miglior sorte, a farsi scudo impara
Di quell' alta speranza che non mente,
Chi si confida al suo Signore in braccio,
Al Dio delle speranze, al Dio de' cuori.
Sì, questa a noi, che per infido mare
Tutto di scogli rotto e da correnti

trovato co' supplicati prieghi alleggiamento al conte Federigo Confalonieri, sposo di lei, dannato da cruda ragion di stato a' martirii dello Spiel berg, bevve a goccia a goccia il calice del dolore e per questa scala di elezione salita alle eterne glorie implorò ed ottenne a lui tanto amato la sospirata libertà. (L'Editore.)

Intraversato tempestose e ceche
Prendiam cammino, ah! solo questa è fida
Al nostro corso aurora e stella. Umano
Consiglio non è mai tanto a quell'uopo
Di che il nostro mortal carco difetta,
Basso limo abitiam che giù ne tira
Per la spoglia terrena onde siam gravi;
Ma celeste fiammella è quello spirto
Ch'entro c'informa: alla suaspera eitende
Continuo, e colassuso i nostri voti,
Quasi a porto richiama. Ivi soltanto
N'avverrà d'obbliar felici appieno
Le noie e'l mal della passata via.
Santi e dolci conforti! Erano come
L'aura ch'involge un Angelo del cielo
Nella serenità del tuo bel viso
Raccolti, espressi, quando a me fu dato
Entrar la prima volta alle tue soglie,
Che fin d'allora minaccioso addentro
Quel morbo t'assalia, di che ora porti
Si profonda la piaga. Ed or non meno
Le care note di tua man segnate
Da quell'amena villa, ove tra monti
Tra boschi e laghi a respirare i puri
Aliti di Brianza ti raccogli,
Suonano tutte amor, suonano fede
Umile, rassegnata e paziente,
Che sfidata degli uomini, s' aslida
A quel Padre d'amor, che a nostro meglio
Avvicenda quaggiuso e beni e mali.
A lui sia laude: Ei ne consoli, e volga,
Come è suo provveder le nostre sorti.

mmm

D. BERTOLOTTI.

ODOARDO ED ELISA.

DELL' INFAUSTA Beresina

Sovra il lido orrendo e fier, Dove or cresce ingrata spina Sul sepolcro de' guerrier; Di Cassano il nobil figlio, Odoardo, l'empio suol

Del suo sangue fe' vermiglio... Ei lo mira, e non ne ha duol. Non gli duol perder la vita

U' de' prodi è spento il fior; Ma nell'ultima partita Sol sospira il primo amor. D'Odoardo il primo amore Era vergine gentil;

Era Elisa, tutta cuore,
Tutta un riso, tutta umil.
Nel lasciar l'Adda natio,

« Se di Russia io tornerò »
Ei le disse, Idolo mio,
Fido sposo a te sarò. »

Ed a lui con guance smorte La fanciulla replicò :

« Se non torni, ahimè! di morte
Trista vittima sarò. »

E in quel punto fuor la luna
Raggio pallido mandò,

E dell'Adda l'onda bruna
Contra gli argini mugghiò.
Qual del cielo, o di natura
Cruda legge, aspro poter
Agli amanti la sventura
Fa si lunge antiveder?
Sul ferito giovanetto
Un amico si chinò,

E la piaga ampia del petto
Di sue lagrime bagno.

0 Fernando! a che si t' angi
« Sull'amico che sen muor?

Dell'Italia il fato ah piangi,

« De' suoi prodi è spento il fior! « Pur se in mezzo a duol si rio « Puoi di me pietà sentir, « Deh l'estremo voto mio «Non t'incresca d'esaudir! »

E in si dir dal seno elice
Il gioiello che a lui diè
La sua Elisa il di felice
Che giurogli eterna fé.
Sull' avorio, con le chiome
Della vergine gentil,

È tessuto d'ambo il nome,
Qual de' fidi amanti è stil.
Se d'Italia il bel paese

[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]

All'amico fe mantenne,

E le immerse in sen lo stral. « Oh Fernando! già palese

« D' Odoardo m'era il fin,

[ocr errors]

Egli stesso me lo apprese
« Ne' miei sogni del mattin. »
E ver l'Adda, intorno a sera,
A diporto se n'andò;
Un'ancella con lei era
Che bambina l'allatto.

« Anna dolce, Anna che sola
« Il segreto hai del mio cor;
« Deh! se'l puoi, dal cor m'invola
« La memoria del mio amor!

« Pria che l'alba i monti allumi,
« Quando, stanca di soffrir,
« Chiudo al sonno gli egri lumi,
« Odoardo ecco apparir.

• Verde assisa ei veste ancora,
« E gli splende in petto ancor
« Quella croce onde si onora
« Il consiglio ed il valor.

«Ei mi dice in dolce stile :

[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small]

« Ah la morte, sol la morte

« Può mie pene ormai troncar,

« Così fine avrà la sorte
« Di più farmi lagrimar. »

E a lei Anna; « O mia diletta,
« Cessi il lugubre pensier :
« Il rio spirto è che t'alletta

«

Cogli spettri menzogner.

« Tu de' cieli alla Reina
« Confidando rendi onor;

« Ella è stella mattutina,
« Ella è madre dei dolor. »>

Ma la vergine dolente

Nel suo lutto assorta sta:
Più non vede, più non sente,
Pari a marmo è fatta già.
Dal letargo alfin si tolle,
La speranza in lei mori :

Lassa! al cielo gli occhi estolle, E pregando va così : «Di pietà sei fonte, o Iddio!

« E tu sai se puro ho il cor;
« Tu perdona all' error mio,
« Tu perdona al mio furor.»

« ÖncekiDevam »