Car mai non vide un bel mattin d'aprile, Che monti e colli rugiadoso indora, Quando pe' boschi tremola e sottile Move la prima soavissim' ôra; E gli augelletti con l'usato stile Sfogano il bel desio che gli innamora; No, non intende con che dolci affetti Possa Natura ingentilire i petti.
Qual di garrule voci, e qual di canti Vario, indistinto, armonico bisbiglio! Come volano e van gli stormi erranti, Senza tema d'insidia o di periglio! Scintillano d'amor; d'amor tremanti Vanno a diporto dalla quercia al tiglio; Vanno dal colle al pian, dal piano al monte, Dal bosco al prato, e dal ruscello al fonte. Canterellando librasi a un bel raggio La capelluta e vispa Lodoletta. Ride la Cingallegra ; e in suo linguaggio Ciancia l'astuta e bruna Passeretta. Tessendo in aria circolar viaggio Preda gli insetti, e vivida cinguetta La peregrina dell' estranio lido, Ch'ama sui tetti fabbricarsi il nido.
Oh! qual de' nidi e il magistero, e quanta Degli amorosi genitor la cura! Altri fra l'erba, o su d'aerea pianta L'opra compon diversa ed affigura. Fruscoli, sterpi, e bucce, e piume, (tanta Dell' opra è la gentil architettura!) Fanno scabra di fuor, soffice addrento
La capannetta dell' augel contento. Curvasi quella in vaghi giri, e accoglie Nel cavo fondo le moltiplici ova; Ne buffar d' Austro, nè crollar di foglie Teme la bella fabbrichetta nova. Sopra vi posa la diletta moglie, E col tepido sen le molce e cova; Il pietoso marito e notte e giorno Veglia e provvede al genial soggiorno.
Cosi parca del sonno e della gola Accoccolata la gentil consorte, Nutre di sè l'occulta famigliuola; Nè avvien che tedio mai la disconforte. Il marito cantor la racconsola E fa più dolce la materna sorte. Ma battono i piccin, battono all' uscio; E in lieta prova rompono dal guscio. Ve' come tutti capolin si stanno A pipilar del nido in sulla sponda, Finchè la madre con pietoso allanno Loro imbecchi la molle esca gioconda. Oh! come a schermo d'ogni offesa e danno Li protegge con l'ale, e li circonda. Ah! no, non turbi la materna pace Artiglio predator, mano rapace!
I novellini omai tratti dal nido La cara madre a' primi voli addestra; E con l'auspici penne, e in vario grido Fassi agli emoli cor dolce maestra. Quindi animosi spiccansi dal fido Ramo natal, che sentono più destra L'ala sul tergo, e più robusto il petto, E volano per l'aria a lor diletto.
Ma notturno Cantor, quando lo stuolo
Posa degli altri augei, che il vento e l'onda Tace all'intorno, e il cielo tace e il suolo, Ecco improvviso dall'occulta fronda Scioglie la voce il musico Usignuolo, E, come amor gli detta, ei lo seconda. Io col guardo nel cerco, e l'alına intanto Pende rapita dall' amabil canto.
Mormora roco, e garrulo gorgheggia, E increspa in onde la volubil vena. Or languido s'attrista ed or colpeggia Le calde note, e ne le vibra o affrena. Con trilli vivacissimi festeggia,
Ein be' gruppi gli attorce, e in giro mena. Dolci i gemiti son, dolci i sospiri, Dolcissimi gli armonici deliri.
La cara melodia di quelle rime Sembra che tocchi l'aure e le campagne. Cosi nel vario stile i sensi esprime Di chi gioisce, e meglio di chi piagne. O tu, se qualche il cor, lasso, t'opprime Gravosa cura od aspro pensier t'agne, Vieni meco al boschetto, e sentirai Struggerti di dolcezza a que' suoi lai. Non è ribrezzo di gentile auretta Che vitreo lago increspi lasinghiera; Non è susurro di gentil selvetta, Che mormoreggi lenemente a sera; Non è bisbiglio di gentil valletta
Al cader della pioggia in primavera, Che tanto dolce al cor mi suoni, e tanto M'innebrii l'alma d'un soave incanto.
O dalle vaghe colorite piume Vezzosi, amabilissimi augelletti! In voi si specchi all' amoroso lume Chi nutre in seno dilicati affetti!
Chè in voi le grazie del gentil costume, Le dolci cure, i teneri diletti, In voi del bello e della gioia pura Le ingenue tracce figuro Natura.
E tu non hai pur anco alla gran fonte Del Cantor di Malvina e di Fingallo Appressate le labbra ? E tu de' boschi Ami l'ombre più folte, ami gli opachi Delle grotte vocali ermi recessi, Ami le scaturigini rompenti Da muscose pendici, e della luna
Il mite raggio, e l'usignuol che piagne,
E l'aura che sospira, e il ciel che tace? Dunque che fai, che leggi al tuo bel colle Dolcissima Amaritte? Ed all'ingegno Vago di meraviglie e di tristezze, Qual' esca porgi d'amoroso incanto, Di néttare castalio? E se nel viso, Nel ceruleo girar de' molli sguardi, E nel mesto suonar delle parole, Tutta mi sembri di Toscar la figlia; Perchè non fai tua cura e tuo diletto Il Cantor di Malvina e di Fingallo?
Invida voce Italia corse ai foschi Di quell' irte contrade abitatori Alle nevi, ai deserti, alle tempeste L'arpa di Cona risonar concenti Graditi forse e armoniosi: a noi, Che vivo sol riscalda, e cielo, e suolo Di amenità riveste e di bellezza, A noi dura quell' arpa, e discordata Mandar note incomposte e suoni alpestri. Ma che? Forse non ha suono più dolce, Che l'urlo de' torrenti e il tuon de' nembi, L'arpa di Cona? O rea menzogna! Oscuro Ben è quell'aer caledonio, e fredda Quella montana region silvestre; Ma non è buia no di que' cantori La mente, od aspra di que' cor la tempra. E non han forse lor bellezza e pompa Nevi, rupi, deserti, ombre, procelle; Natura grande, maestosa, augusta che In quell'orror selvaggio? Ah! se piufres- Le molli erbette, più vezzosi i fiori, Più ridente l' april, più mite il verno E più culte le genti a noi concesse Rara di ciel benignitade; a noi Giovi pur derivarne affetti e suoni Di conforme piacer. Ned io quel cielo, D'oscurissime nubi avviluppato,
Io non invidio, a cui mi splende in faccia L'italo sol; ma ne tampoco abborro, Fra quelle tempestose oscuritadi Errar sull'ale del pensier romito; E non so qual mi prende anzi vaghezza. Natura è immensa, il Bello vario. E ride Grazioso di forme in que' d' Armida Lieti giardini, ed orrido s'infosca Nelle selve d' Ismeno. Altrui vien dolce Il mormorio de' placidi ruscelli Per erbosi canali, e freschi e molli; A me rombo e fragor d'acque montane Per dirupati massi alto fragnenti. A chi piace dell'onda il sottil velo. Tremolo e crespo, quando ride il mare; A chi l'ira de' flutti, e la mugghiante
Per liti e scogli aquilonar procella. Te il mattin giova; altri la sera; e cui Settembre, o maggio; ed anco il tardo giro Delle notti vernali altri diletta.
Ma non sempre vorrei deserti, o nevi, Torrenti, od aquiloni; e tu non sempre Ameresti, cred' io, l'alba, e l'aprile, Che il vario alletta, e l'uniforme attrista. Pure in quel cielo nubiloso e tetro, Su quelle rupi squallide; tra il sordo Mugghiar di que' torrenti, incontro, e ammiro
(Chi il crederebbe ?) imagini leggiadre, Teneri sensi, e cortesia d'amanti, E fè di spose immacolata, e casti Di donzelle sospiri, e generosa Pietà di nati, e carità di suolo; E così viva in ogni petto, e calda Brama di cimentarsi ad alte imprese, E tal ne' carmi una dolcezza, e tale Una mesta armonia, che t'empie il core. Ne fole io fingo. Odi Amaritte. I figli Delle Morvenie selve, i pro' di Cona Bardi e guerrieri, poichè avean la notte Fra i diletti dell' arpe e delle conche, Prodotta al lume delle accese querce; Godean, ciascuno in solitaria parte, A' lor fantasmi abbandonar le calde Di gloria e di valore anime illustri. Cosi nel sogno intravedean le amiche De' duci e de' cantori ombre vaganti, Che delle nubi a calvacion, sull' irta Vetta di Cromla, o sui muscosi sassi Delle anguste magioni, o sulle pietre, Della fama custodi, i dubbj eventi Predicean delle pugne : ora del petto Le ferite mostrando, ora del braccio Protendendo la forza, or colla voce Sibilando profetici lamenti;
Per cui de' figli e de' nipoti in core Mettean l'amor delle virtudi antiche. Quindi un fremer confuso, e al par de' bo- Agitati dal vento, un incessante [schi D'aerei scudi e di nebbiose lance Azzulfamento; e nell' aerea mischia Mille apparian sembianti, e mille forme. Ma poichè dalla zufla atra di morte, Reddían que' prodi alle materne rupi, Sorgea di belle gioie altra vicenda. Eccoti Selma, e le sue torri ; e il musco, Che sopra ci verdeggia, alto degli anni. Ecco l'arme de' forti al muro appese, Che il vento le percote, e agli orbi padri Desta quel suon care memorie in petto.
Ma più altre ne desta il Re de' canti, Che a raddolcire i bellicosi affanni, Sotto una pianta di fischianti foglie Tempra la voce. Dilettose istorie, Soavi note, a cui spirar, le corde Pian pian ricerca dell' armonic' arpa La bella figlia di Toscarre. Intorno Pendon sull' asta i giovanetti ardenti, E fan cerchio le vergini dell' arco. A quella voce, che i trascorsi tempi Chiama, ed arresta; a quell' amabil voce, Che a più puro soggiorno innalza l'ombre, Ve' tra le nubi si dischiude, e tutta Di brillanti meteore si dipigne
La sala di Tremmór. Curvi dall'alto Bevono il canto irraggiator dell' alme Gli eroici spirti. L'immortal ventura Sull' ali del nemboso aere li porta A vestirsi di luce, e a far del cielo Novo campo a magnanimi trionfi. O cari sogni! O vision beate! Per voi tra' boschi della gelid' Orsa Crebbe un popol d' eroi, crebbe di vati Mirabile famiglia, e tal che puote Mettere invidia alle più culte etadi.
Che dunque? Al greco e all'italo Per
Darem le spalle? E sulle nordich' alpi Solo avranno le muse albergo e tempio ? Stolto nocchier Scilla fuggendo, rompe All'opposta Cariddi. Il bello, il grande Ha patria l'universo. E tu nel cogli, O stranio, o nostro, ove che sia. La pecchia Coglie di tutti fiori attico mele. Che se i Numi benigni, o i casi avversi, Quella vena ti schiusero, che larga Move di dentro a inumidir le ciglia; E t'assal quella languida tristezza, Ch'abita in cor gentile, e vi ridesta Pensier soavi ed amorosi affetti, Questo, bella Amaritte, è il tuo Poeta.
TERESA CONFALONIERI (1),
NELLA PRIMAVERA DEL 1830.
Martello acuto e strale anzi cocente
Di dolor mi configge a ingrata piuma;
(1) Teresa Confalonieri de' conti Casati da Milano, leggiadrissima fra le più leggiadre donne, specchio d'amor conjugale, virtuosissima, non
Piume, che io stanco invan, requie cer
Or da un lato, or dall' altro. E muta stassi L'arte di Macaon, che agguata incerta, Se a farmaco por debba o mano al ferro: Cosi dentro dal petto mi si rompe Per lo spasimo l'anima. Consegue A tristo di notte più trista. Indarno La novella stagione e monti e valli Di lieta primavera mi dipinge,
E son l'aure più dolci e più sereno Il cielo me bufera orrida investe, E mie tutte potenze a terra batte. Eppur mel crederesti? In que' momenti Che l'arco del dolore un tratto allenta, (Senza che dell' ambascia i' mi morrei) A te si leva il mio pensiero, o Donna Di specchiata virtù, da te riceve Qualche conforto; e dall' esempio tuo, Donna quanto infelice e tanto degna Di miglior sorte, a farsi scudo impara Di quell' alta speranza che non mente, Chi si confida al suo Signore in braccio, Al Dio delle speranze, al Dio de' cuori. Sì, questa a noi, che per infido mare Tutto di scogli rotto e da correnti
trovato co' supplicati prieghi alleggiamento al conte Federigo Confalonieri, sposo di lei, dannato da cruda ragion di stato a' martirii dello Spiel berg, bevve a goccia a goccia il calice del dolore e per questa scala di elezione salita alle eterne glorie implorò ed ottenne a lui tanto amato la sospirata libertà. (L'Editore.)
Intraversato tempestose e ceche Prendiam cammino, ah! solo questa è fida Al nostro corso aurora e stella. Umano Consiglio non è mai tanto a quell'uopo Di che il nostro mortal carco difetta, Basso limo abitiam che giù ne tira Per la spoglia terrena onde siam gravi; Ma celeste fiammella è quello spirto Ch'entro c'informa: alla suaspera eitende Continuo, e colassuso i nostri voti, Quasi a porto richiama. Ivi soltanto N'avverrà d'obbliar felici appieno Le noie e'l mal della passata via. Santi e dolci conforti! Erano come L'aura ch'involge un Angelo del cielo Nella serenità del tuo bel viso Raccolti, espressi, quando a me fu dato Entrar la prima volta alle tue soglie, Che fin d'allora minaccioso addentro Quel morbo t'assalia, di che ora porti Si profonda la piaga. Ed or non meno Le care note di tua man segnate Da quell'amena villa, ove tra monti Tra boschi e laghi a respirare i puri Aliti di Brianza ti raccogli, Suonano tutte amor, suonano fede Umile, rassegnata e paziente, Che sfidata degli uomini, s' aslida A quel Padre d'amor, che a nostro meglio Avvicenda quaggiuso e beni e mali. A lui sia laude: Ei ne consoli, e volga, Come è suo provveder le nostre sorti.
DELL' INFAUSTA Beresina
Sovra il lido orrendo e fier, Dove or cresce ingrata spina Sul sepolcro de' guerrier; Di Cassano il nobil figlio, Odoardo, l'empio suol
Del suo sangue fe' vermiglio... Ei lo mira, e non ne ha duol. Non gli duol perder la vita
U' de' prodi è spento il fior; Ma nell'ultima partita Sol sospira il primo amor. D'Odoardo il primo amore Era vergine gentil;
Era Elisa, tutta cuore, Tutta un riso, tutta umil. Nel lasciar l'Adda natio,
« Se di Russia io tornerò » Ei le disse, Idolo mio, Fido sposo a te sarò. »
Ed a lui con guance smorte La fanciulla replicò :
« Se non torni, ahimè! di morte Trista vittima sarò. »
E in quel punto fuor la luna Raggio pallido mandò,
E dell'Adda l'onda bruna Contra gli argini mugghiò. Qual del cielo, o di natura Cruda legge, aspro poter Agli amanti la sventura Fa si lunge antiveder? Sul ferito giovanetto Un amico si chinò,
E la piaga ampia del petto Di sue lagrime bagno.
0 Fernando! a che si t' angi « Sull'amico che sen muor?
Dell'Italia il fato ah piangi,
« De' suoi prodi è spento il fior! « Pur se in mezzo a duol si rio « Puoi di me pietà sentir, « Deh l'estremo voto mio «Non t'incresca d'esaudir! »
E in si dir dal seno elice Il gioiello che a lui diè La sua Elisa il di felice Che giurogli eterna fé. Sull' avorio, con le chiome Della vergine gentil,
È tessuto d'ambo il nome, Qual de' fidi amanti è stil. Se d'Italia il bel paese
All'amico fe mantenne,
E le immerse in sen lo stral. « Oh Fernando! già palese
« D' Odoardo m'era il fin,
Egli stesso me lo apprese « Ne' miei sogni del mattin. » E ver l'Adda, intorno a sera, A diporto se n'andò; Un'ancella con lei era Che bambina l'allatto.
« Anna dolce, Anna che sola « Il segreto hai del mio cor; « Deh! se'l puoi, dal cor m'invola « La memoria del mio amor!
« Pria che l'alba i monti allumi, « Quando, stanca di soffrir, « Chiudo al sonno gli egri lumi, « Odoardo ecco apparir.
• Verde assisa ei veste ancora, « E gli splende in petto ancor « Quella croce onde si onora « Il consiglio ed il valor.
«Ei mi dice in dolce stile :
« Ah la morte, sol la morte
« Può mie pene ormai troncar,
« Così fine avrà la sorte « Di più farmi lagrimar. »
E a lei Anna; « O mia diletta, « Cessi il lugubre pensier : « Il rio spirto è che t'alletta
Cogli spettri menzogner.
« Tu de' cieli alla Reina « Confidando rendi onor;
« Ella è stella mattutina, « Ella è madre dei dolor. »>
Ma la vergine dolente
Nel suo lutto assorta sta: Più non vede, più non sente, Pari a marmo è fatta già. Dal letargo alfin si tolle, La speranza in lei mori :
Lassa! al cielo gli occhi estolle, E pregando va così : «Di pietà sei fonte, o Iddio!
« E tu sai se puro ho il cor; « Tu perdona all' error mio, « Tu perdona al mio furor.»
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