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E, in si dir, corse alla sponda, Ed un salto ne spiccò : Sovra lei si chiuse l'onda... Infelice! ahi troppo amo!

CANZONE PISCATORIA.

(DA ISABELLA SPINOLA, RACCONTO.)

Le labbra ha di corallo

La pescatrice mia; son perle i denti,
E come l'alba ha i crini d'or lucenti.
Nocchier non vide mai

Sorger dal mar notturno amica stella,
Che sia di lei più luminosa e bella.

O pescatrice mia, la terra e l' onda
Non han vaghezza più di te gioconda.

Ella tessea bei lacci
Con le sue chiome d'oro,
Prezioso lavoro.

E pel tranquillo argento
Del liquido elemento

Correan guizzando i pesci vaghi e lieti
A dolce morte nelle dolci reti.

O pescatrice mia dai pesci impara
Quanto al tuo pescator sei dolce e cara.
Con la barchetta sua di frondi cinta,
Ella solcava l'onda cristallina,
Da bei raggi del sol tutta dipinta,
E dell' onde parea gentil reina.

A poppa Amor, a prora avea Fortuna;
Il riso e i bei diletti

Le volavano intorno e i casti affetti.

O pescatrice mia, se' pur vezzosa! T'ammira e l'ama ogni creata cosa.

Ahi lassa! il ciel s'imbruna
E subita tempesta

Della terra e del mar turba la festa.
Soffia Garbino, e reca
Impetuosa un'onda

Che la barchetta affonda.

O pescatrice mia ben crudo è il vento Che non sente pietà del tuo lamento!

Muove le bianche braccia

La bella pescatrice, e nuota, e regge Dell'acque a fior la scolorita faccia. Ma il flutto più la incalza e irato freme: Invan le forze estreme

Ella raccoglie, e contra il mar combatte
Opponendo a' suoi sdegni il sen di latto.
Inutile' costanza!

Per la misera, ahi! più non c'è speranza.
O pescatrice mia, qual fiera sorte
A malgrado d'amor ti guida a morte?

lo giungo allor sul lido,
lo scorgo il suo periglio,
E solo dal mio cor prendo consiglio.
Gitto le reti, e scalzo
Nel sen dell' onde balzo,
E la procella sfido.

Amor mi regge, Amor m'appiana il flutto: Salva la traggo alfin sul lido asciutto.

O pescatrice mia, sgombra il timore; Veglia sopra i tuoi di pietoso Amore.

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Que' fuochi, que' suoni pianure, dirupi Lambivan tracciando ferali sentier,

Che torme, che branchi di gufi, di lupi Seguivan urlando di guai messaggier.

Da torri, da rocche le scôlte veglianti Cercavan la luce che annuncia il mattino: Ma nembo corrusco, ma tuoni vaganti Spandevan presagi di tristo destino. [do

Quand' ecco l'aurora sul lembo del monSegnar l' oriente, cerchiar l'orizzonte, Prometter col sole quel giorno giocondo, Si caro a la vita, che imporpora il monte. Già sorge il suo disco, già ferve raggiante:

Ma donde la nube, quell'ombra gigante, Di tetra sembianza, che innanzi gli va?

Da destra, da manca son mute le strade: A tergo il deserto: chi fugge, chi cade Di fronte a quell'ombra, che posa non ha. Le schiere sovr' essa di falchi stridenti Per entro il sereno distendono il vol :

E striscian sott' essa fischianti serpenti Per entro il terreno rizzandosi a stuol.

Correndo, sostando rasente le mura La turba si stipa, la nube si avanza. Perche non appresti, se vien la sventura, Città, le difese, che dà la speranza?

Oh, più l'avvenire di un lieto saluto Dall' oggi, che temi, dimani non hai! La colpa è feconda, quel tempo è venuto Che accenna matura la messe de' guai.

Col sangue improntato dovunque l'editto,

Cheapparve in Babele, minaccia il delitto: È tissa la pena, che il cor presagi.

Dovunque indovini la turba delira [ra: Sfuggendo, ascoltando bestemmia, sospiÈ giunto l'araldo del funebre di.

Un truce pudore celando i singulti Sospinge gl' imbelli solinghi a patir : Un'empia baldanza squassando i tumulti Sospinge i fratelli l'un l'altro a ferir.

CORO.

I SACERDOTI.

Perchè sclami - O vedette locate Dal Signor nella notte su l'erte, Qual portento le affanni narrate Alle menti nel buio diserte! Ei segreti dell' ore non nate, Ahi, domandi tu popolo inerte ?

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Non è bellica tromba che desta Sull' albore a vegliar le difese; Non fragor di scoppiante tempesta Che rintrona sul nostro paese: Ma curvasti sul petto la testa Per un grido che immobil ti rese. L'hai tu forse dal fondo sentito Sollevarsi in te stesso romito?

Perchè sclami-O vedette locate
Dal Signor nella notte su l'erte,
Qual portento le affanni narrate
Alle menti nel buio diserte -!
E i segreti dell' ore non nate,
Ahi, domandi tu popolo inerte?
Ecco il giorno, diran le vedette,
Che rischiara imminenti vendette!
Tu superbo per serti,
per manti
Via nel fango i tapini calcavi :
Vincitor, delle ollese coi vanti
Trionfando insultasti gli schiavi,
Profanata con ilari canti
La sventura, retaggio degli avi.
Soffia il turbo, e la gioia travolve,
Come labile fior, nella polve.

Di memoria in memoria la vita,
Oh, ricorri, e saprai la tua sorte!
Serri pur le tue case bastita,
Sian sbarrate al periglio le porte:
Se dal ciel non discende l'aïta,
Infelice, ti credi tu forte?
È segnal di salvezza la Croce:
Offri a lei la tua supplice voce.

UN VIANDANTE

Dell' esterminio il demone,
Genti, soprasta! udite.
Non chiedo a voi, qual ospite,
Calate il ponte, aprite :
Solo al timor, che interroga
I passi miei, dirò.

Ahi, che non lunge invade
Le misere contrade

Cupo vapor, che l'aëre
Compresse, attossico.
Dove per selve al fomite

Di brezze dilettose
Schiudon perenni aromati
All'usignuol le rose,
Sotto quel ciel più limpido
Che primo irradia il sol,
Era il terren dall' acque
Contaminato, e nacque
Desolator dei popoli
Inesorabil duol.

Di lido in lido un impeto
Di subita paura
Travalicando i termini
Del piano, dell' altura
Cresce correndo, e suscita
L'angoscia del fallir.

Ahi, pel mio calle, o genti,
M'incalzano i momenti,
Che fanno inevitabile
Il lugubre avvenir.

Precipitoso, indomito

Per vario ciel, per lande
Dalle capanne il turbine
Le rôcche ascende, e spande
L'anelito, lo spasimo
Dell' ultimo torpor.

Ahi! d'ogni sguardo mute
Son le pupille, irsute
S'ergon le chiome, e grondano
Di gelido sudor.

Pietà non offre a pargoli,
A spose, a verginelle,
A quanti son gli esanimi
Ne preci, ne facelle:
Tutti confonde un gemito,
Nome non ha chi fu.

Pei trivii, per le sale
Solo un suffragio, un vale
Accoglie insiem nel feretro
Il vizio e la virtù.

E quanto pei superstiti
11 lagrimar sui fati
Di se, d'altrui, fra tumuli
Languenti, abbandonati
Nell'ansia solitudine
Del mesto sovvenir!

Ahi, pel mio calle, o genti,
M'incalzano i momenti,
Che fanno inevitabile
Il lugubre avvenir !

I SACERDOTI.

Dove, o figlio dell' uom, nel viaggio Dei vigliacchi, a lo scampo t'affretti Forse teco il funesto retaggio Non procede, lasciando i tuoi tetti? Oltre l' Alpi ti affacci all'oltraggio Di chi vede i fratelli negletti.

Ecco il giorno : chi piange, chi muore Qui ti attende a le prove d'amore.

Mattutina chiamata di squille, Coi ricordi che sveglian l'obblio, Noi mandammo, annunciando a le ville Che si appressa il gindizio d' Iddio. Le sopite non eran tranquille Nei lor sogni di turpe desio, Che ritrovan de' padri la terra Tutta stragi, rovine di guerra.

O stranier, che dai monti, dai mari Qui contempli dell' Eden l'idea, Fa ritorno ai nativi tuoi lari, La beltà, che s'insozza, non bea: Vanne, prega espiando i tuoi cari Per la Fede, che assolve, ricrea: Ma se stanno essi teco rubelli, Trepidando, aspettate i flagelli.

Dove, o figlio dell'uom, nel viaggio Dei vigliacchi, a lo scampo t'affretti? Forse teco il funesto retaggio Non procede, lasciando i tuoi tetti? Oltre l'Alpi ti affacci all' oltraggio Di chi vede i fratelli negletti.

Ecco il giorno: chi piange, chi muore
Qui ti attende a le prove d'amore.

Qui rimanti e qual fu la parola,
Che il veggente su l'ossa profferse
Noi diremo: è sol essa la scola,
Che inspirando le membra disperse,
Con quel ver, che i sepolcri consola,
Le richiama, dal lezzo deterse;
E ogni zona l'ascolta nei venti
Proclamar, che risorgon gli spenti.

Qui rimanti : e su rami d'olivi
Abbia i nomi ogni volgo scolpiti :
Con le scuri e coi lauri votivi
Sian vessillo que' fasci de' riti :
E la pace, fra gl' inni festivi,
Tutti aduni del Cristo ai conviti.
O delizie dei giusti salvete,
Voi promesse all'esiglio quai mete!

UN ALTRO VIANDANTE.

Ei viene, ei vien l'intrepido

Per provvida fidanza

Nel suo destin! qual angelo
Apparve all' esultanza
Delle tribù, che incolumi
Per lui già son, saran :
E seco pellegrina
La Carità cammina,
Che stenti, che pericoli
Prostrata ancor non han.

Quando calò dai vertici
Dell'itala frontiera
Infellonir per gloria
Di lutti dispensiera
Vedea le moltitudini
Con astio battaglier :
Udia dai labbri impuri
Terribili scongiuri
Per evocar da ruderi
Un lurido piacer.

Sinché l'orgoglio indocile

E di furore armato
Contro il dolor, l'obbrobrio
Si tenne inespiato,
Stette per noi quell'alito
Che i mille inaridi :

Ma sorto appena il suono
Che mormora perdono,
L'ignoto a noi, quai vittime,
Propiziator si offri.

Donde parti si ascoltano
Devote melodie

Di plebe in plebe, annunziano
Le benedette vie,
Che scorgeran fra triboli
L'eletto del Signor :

E dove sente invito

Di un animo pentito
1 passi suoi precorrono
Il nembo struggitor.

Là là quel veltro immemore

Delle cruenti prede,
Recando un pane al povero,
L'uom dell' amor precede,
Senza intuonar quell' ululo,
Che imprecator si fa.

Gli angui, gli augei feroci
Mandan funeree voci :
Ma nel sentier che segnano
Non ei paventerà.

E come a voi si ottenebra
Il giubilo del giorno,

Or che i suoi rai più fulgidi
Vela il timor d'intorno:
Cosi feral meteora

I reprobi copri :

Ma sorto appena il suono Che mormora perdono, L'ignoto a noi, quai vittime, Propiziator si offri.

SEQUENZA.

IL POPOLO.

Ave, o Croce! La preghiera
Della mane, della sera
Al saluto d'ogni secolo
Sola insegna ti giurò.

Siam tuoi fidi! al vitupero,
Deh! ci torre in questo impero,
Che l'esercito dei martiri
Per te sola conquistò.

Noi frenetici, noi rei
Brandi e scettri di vittorie
Appendemmo innanzi a te :
I sacrileghi trofei

Del servaggio, dell' eccidio
Non vuol Cristo, il nostro re.
Ma qual agno, qual colomba
Ecco il santo viator,

Che dal morbo, dalla tomba
Ci francheggia protettor!

Israello derelitto

Per le colpe nell' Egitto,
Penitente fra la cenere
Chinò il capo, e non perì :
Quando altero Faraone
Al profetico campione
Non cedette, a lui che vindici
Scelse l'aure, e lo puni.

E quell' aure l'oriente
Dalle squallide macerie
De' suoi fasti spirerà :

Spegneranno il miscredente,
Che fra ceppi, avanti agl'idoli
De' suoi prenci, giacerà;

Finchè milite del patto,
Che fra l'ombre non è più.
Vegga il sole del riscatto
Nel vessillo di Gesù.

O Signore, che concedi
A' tuoi popoli le sedi
Statuite, come patria,
Da un linguaggio, da una fe',

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TONNO.

I.

ROMPE il raggio di tremula aurora
E inargenta la queta marina,
Ed il verde dei monti colora
Di ch'è cinta la curva Messina,
E all' orezzo, che viene dal monte,
Un pittore solleva la fronte.

Quei che in negro mantello è serrato
Che ben largo cappello ha sul viso,
Ed è come quell'alba ispirato,
Chi è colui che al verone ravviso,
Là ve' sorge il guelfonio castello (1),
Ch' or di scalzi eremiti è l'ostello?

Un pensier lo rapisce - lo muove La nuov' alba a novello lavoro? Nuovo raggio del cielo in lui piove? Oh chi è questi? non è Polidoro (2) P Polidoro diletto alle genti, Polidoro diletto ai potenti.

All'olezzo che spira dal monte

(1) La Rocca Guelfonia, o altrimenti detta Matagrifone, fu eretta dai Cartaginesi: poi il conte Ruggiero ristorati i danni del tempo innalzò tre torri, una delle quali si vede ancora. Questo castello fu stanza ai re aragonesi ed alla regina Costanza. Oggi è asilo di pochi frati.

(2) Polidoro Caldara da Caravaggio, da Napoli tramutossi in Messina, ove al dir del Vasari lacorando di continuo prese nei colori buona e destra pratica, poichè in Roma solamente era lodato a cielo pei suoi chiaro-scuri. Dopo la pestilenza che disertò ferocemente la bella Messina, il Polidoro aprì pubblica scuola di disegno, e istillò nei Messinesi il più delicato gusto della scuola Raffaellesca.

Caro come la vergin natura,
Ei levò l'ispirata sua fronte,
Come sole da nugola oscura-
Vago un estro con facili piume
Dell' aurora lo segue col lume.

Ei rimira le calabre rupi,
Che già imporpora il sole nascente,
E indorarsi i Nettunj dirupi
Nell' aurora ch'è fatta lucente,
E i laghetti del vago Peloro,
Che di fiamma lampeggiano e d'oro.

Di Cariddi e di Scilla crudele
Le ruine par dormano in pace,
E biancheggian da lungi le vele
Sopra un mar di navigli vorace;
E si breve allo sguardo gli pare,
Che laguna il direbbe non mare.

Polidoro è rapito - il pennello
Colorir già vorrebbe quell'onda,
Già ritrarre il turrito castello,
E non lunge il terren che s'infronda...
Ma qual petto si unisce al suo petto?
Nol vedete? è il suo Tonno diletto (1).

Tonno oh ispirati, allor che la stella Del mattino sul colle s'imbianca, O alla luna, chè un'alba è pur quella Nel suo lume purissima e bianca, O nell'aura che vergine spira Quando il sole il creato inzaffira.

(1) Tonno Calabro scolare del Polidoro, che preso d' infame appetito dei denari del suo infelice maestro venne in un pensiero crudele di uc ciderlo, e in fatti nella fitta notte, con alcuni smosa congiurati amici, il lasciò morto, mentre il misero Polidoro era profondamente addormentato.

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