LINGUE arcane del fato, e correttrici Dell' umana famiglia, ed ai tiranni Ed ai regni sanguigne orride luci, Voi, stelle, non dirò: perocchè, ignare Delle sorti mortali, eternamente Sulle nostre sventure esercitate, Strette in nodi d'amor, danze tranquille. Ma ben dentro quest' inno, che s'infiora Del vostro luminoso almo sorriso, lo prenderò l'eterea vaghezza, Che nei tremuli crini rugiadosi Vi lasciava la mano irradiante, Che generovvi. E conterò le belle Misteriose fantasie, che in petto Degli nomini piovete; io, che dai primi Anni v'interrogai lungo il nativo Torrente ad una ad una, e la pupilla Söavissimamente nei levanti
E nei vostri stancai tardi tramonti. Già sopra le turchine onde dei mari, Sulla vergine terra inghirlandata D'ogni pianta, d'ogni erba, e d'ogni fiore, Nati dalle feconde aure di Dio, La distesa de' Cieli azzurreggiava, E voi non anco del sereno Olimpo Ingemmavate le corone, o vaghe Splendidissime figlie irrequiete Del firmamento. Però il giovin mondo
In eterne non era ombre sepolto, Chè tutte quante sorridean le cose Ne' vivaci colori, in che le pinse Col versar di sua prima onda la luce; La luce che al rotar vostro improvviso Trepidando si scosse, ed in governo A voi concessi i suoi fulgidi rivi, Il bel volto di lampi vi dilluse. Cosi pure, e leggiadre, e redimite De' vostri raggi, con argenteo piede, E divine carole armoniose
La superna prendeste ampia campagna, E dai beati lucidi zaffiri
Di celeste ineffabil melodia Salutaste la bella alba del mondo. Tutta de' vostri verecondi aspetti S'allegrò la natura, e la virtude Senti che da voi cade: allor più bello A' vostri occhi s'aperse e innamorato Il popolo de' fiori, e le commosse Acque esultaro, e svolser le correnti, Sfavillanti nei nuovi astri, più chiare. Un profumo, una vita, un'armonia Incessante correva, e gli animali Varia e immensa famiglia, ad ammirarvı - Vennero anch'essi, e quei che peregrim Sortiro delle lievi aure l'impero, A voi spingeano il volo, e sulle penne I vostri raccogliean primi splendori. Ma la pupilla che del suo baleno Vincere vi doveva ancor non era.
Cara d'Eva pupilla! O benedetto Raggio e il più santo, che di sè l'Eterno A natura donasse, oh! come dolce In lunghissime veglie immaginose Ti affissavi alle stelle, e, amoreggiando Alternavi con lor sguardi, e sorrisi. Tu pel queto silenzio della sera Nelle terse e tranquille onde del lago Le cercavi, e formar parean le stelle Ivi dentro a te sola una corona. O Eva! e allora che cadenti fochi Della notte fendevano i sereni, Solcando dopo se l'aure di luce, Stelle del ciel ta, nova e semplicetta, Veracemente le credevi, e al colle, Là dove quel fallace astro si spense, Sollecita correvi e desiosa
Per comporne alle trecce una ghirlanda. Ben spesse volte l'amoroso lume D'espero rubicondo, che s'accende Dal vermiglio tramonto, e tra le rosee Nubi scintilla, ti gemmava il crine : E sovente a tua vista, che di velo Mortal fu in pria men chiusa, i cherubini Appendevano agli astri il luminoso Lor diadema, ed il fiammante volo Ne coglievano al sommo, e di quegli astri Nel raggio rapidissimi calando, Sull' arpe a te sciogliean l'inno d'amore, Come al fior che di sue molli fragranze Nei giardini del ciel non olezzava. Perchè, o stelle, con lungo ordine d'anni V' aggiraste dappoi nell'universo, Non perdeste di luce una favilla, E se la colpa del primo parente Ci raddoppio le tenebre sugli occhi, E, se fuor del terrestre paradiso Furon l'aure da nuvol tenebrate, Voi non men vaghe raggiaste, e ancora Al morire del giorno i mesti veli C'inargentate della notte, e pia Sul dolor ei piovete una favella. Chi a voi non guarda, o stelle ! inspiratrici Di reconditi affetti alle gentili Alme, cui destre fantasie son vita, Eloquenti splendete. A voi più bello Coll' ardita de' carmi ala il pensiero Vola, e quasi alle vostre arcanamente Le sue segrete melodie confonde:
Gli spirti, che d'amore hanno intelletto, I desiri, le gioie, e le speranze A voi fidan solinghi. Pudibonda La promessa donzella che le coltri Sospettosa veglio l'ultima notte
Di sua verginitade, anzi l' aurora Al verone si affaccia, e dolcemente Dai marini lavacri ecco levarsi Il bell'astro di Venere, e il più vivo Raggio lasciar della fanciulla in fronte. Voi fra ignote marine il navigante Che sembra veleggiar nell' infinito, A spiar sta lungh' ore, e del cammino Tutte vi chiede. A lui, non viste ancora, Altre il volto scoprite, ed altre, come Riso estremo d'amico abbandonato, Delle brune il velate acque lontane. Tra i deserti del cielo interminati, De' flutti infra gli altissimi silenzi, Fra la calma dei mondi, entro le sfere Ei sublima la mente, e vi saluta. E se allora che a voi canta da poppa, E in cor volge il ritorno, orribilmente Corre sulle incitate onde sonanti Il turbo, e le solleva alla tempesta, V'invoca : : e voi fra rotte ombre apparite Nello sdegno del mar raggi di pace. Oh! come mestamente all' infelice, Che gli estinti ne' campi ermi lamenta, Sulle tombe lucete! A voi col ciglio Alza il sospiro, e penetrar d'un guardo Il vostro si diria puro elemento, E cercarvi la cara alma commista. Ma invano e solo tacito accompagna Vostro lume, che al curvo etra calando, A lui rammenta la vital fiammella, Che nella notte si spegnea dell' urna. E voi, stelle, morrete. Il di supremo Scomporrà vostre danze, e disfrenate Vi sperderete allor che all' immoto Trono, lo sguardo distogliendo, a voi L'Onnipotente spoglierà la luce.
Innondami di tua mite tristezza, Caro e flebile accento. Amo la mesta Armonia che su l'aure gemebonde Dal creato si leva. Oh benedetta L'arcana melodia che dalle ciglia Spreme la stilla, e al sen svolge il sospiro! Quanto più nella terra è di soave E di tenero al cor, tutto è in governo Di dolente armonia. Geme il ruscello, Sospira la solinga aura de' boschi; L'eco risponde impietosita, e al sole
Mentre in ramo la tortore deserta Lamenta, il lusignuol piange la sera. Fra l' aperta natura, e la tacente Ombra di solitudine romita, Fra il sublime silenzio della notte Vien più dolce la musica del mondo. Le stelle eternamente armoniose Le voci che trascorrono indistinte Su i venti, la montana aerea quercia, La canna del deserto, e le gementi Note che in lor fremir mandano l'acque, E le piante fra i campi, i chiostri ei templi Quanto di dolce e sacro estro divino Non sublimano l'alma all' infinite Misteriose fantasie del cielo ! Ben s'accorda patetica armonia Ad umana natura e non son mesti I canti del selvaggio allor che lento Cotanta solitudine attraversa?
Lo stanco prigionier non si querela, Non sospira al lontano arco de i monti? L'inno di giovinetto innamorato, La canzon dell'esiglio, e di poeta La notturna mollissima romanza Non è canto e dolore? E non è figlio Della preghiera, non mai lieta, il canto? Innondami di tua mite tristezza, Caro e flebile accento. O Giovinetta, A tanta melanconica melóde Dell'universo tu mi torni, e tutta, Al cantar che nell'anima si sente, Armonizzi la mistica favella
Dell' immensa natura. O Giovinetta, Coll' aure delle armoniche parole, Ch'altro certo non son ch' aure celesti. Deh! tu dell' arpa mia sveglia le corde, E le inspira al dolor. Pianse sventura Sull' arpa, e il suono ne rendea più dolce.
SULL' ARDUA Montagna, d'un ultimo sguardo
Mi volgo a fissarti, bel piano lombardo : Un bacio, un saluto, ti drizzo un sospir. Nel perderti, oh quanto mi sembran più vaghi
L'opimo sorriso de' colli, de' laghi, Lo smalto dei prati, del ciel lo zaffir!
Negli alacri sogni degli anni primieri, Ai caldi colloqui d'amici sinceri, Nel gaudio sicuro, fra i braci d'amor, Natale mia terra, mi stavi in pensiero; Con teco, o diletta d'amore sincero, La speme divisi, divisi il timor.
Tra cuori conformi, nell'umil tuo seno In calma operosa trascorrer sereno Fu il voto onde al cielo pregavo ogni di : Poi senza procelle surgendo nel porto, Del pianto de' buoni dormir col conforto Nel suol che i tranquilli miei padri copri.
Ahi! l'ira disperse l'ingenua preghieRigor non mertato di mano severa [ra; Per bieco mi spinge ramingo sentier;
Che a me fanciulletto quetava il lamento, Che liete promesse d'amor mi giurò. Ignoto trascorro fra ignoti sembianti, Invan cerco al tempio que' memori canti, Quel rito che il core di calma inondò.
Al raggio infingardo di torbidi cieli, All'afa sudata, fra gl' ispidi geli, Nell'ebro tumulto di dense città, Il rezzo fragrante d'eterni laureti; Gli aprili danzati nei patrii vigneti, La gioja d'autunno nel cor mi verrà.
Intento al dechino de' fiumi non miei, Coll' eco ragiono de' giusti, de' rei, Del vero scontato con lunghi martir. Il sol mi rammenta gli agresti tripudi, L'aurora il silenzio de' vigili studi; La luna gli arcani del primo sospir.
Concordia ho veduto d'amici fidenti Tranquilla una donna tra figli contenti ? Soave donzella beata d'amor?
Te, madre, membrando, gli amici, i fra
Te, dolce compagna de' giorni più belli, Che acerbe memorie s' affollano al cor!
Qual pianta in uggioso terreno intristita Si strugge in cordoglio dell' esul la vita; Gli sdegni codardi cessate, egli muor. Se i lumi dischiude nell' ultimo giorno, L'amor de' congiunti non vedesi intorno, Estrania pietade gli terge il sudor.
Al sol che s'invola rizzò la pupilla : Non è il sol d'Italia che in fronte gli brilla, Che un fiore al compianto suo fral nutrirà, Spirando anzi tempo sull'ospite letto, Gli amici, la patria che tanto ha diletto L'estrema parola dell' esul sarà.
Giunta è l'ora: il Trovadore Parte, o Nina, e lascia il core: E col suon della canzone, Ch' era un giorno il tuo piacer, Qui depone - al tuo balcone La viola del pensier.
Di memorie è questo un fiore
Sacro al duol, sacro all' amore : Pur negletto e senza nome Non vedeasi un di brillar D'una vergin fra le chiome, Di bellezza in su gli altar.
Ma fu caro, da che i pianti
Lo sacrår di fidi amanti. Tremolava la mattina, Che doveva il prode Ugger Trar d'Italia in Palestina Della croce coi guerrier. Lisa, il primo, il solo affetto
Ei premeasi al mesto petto: Fra i consigli, fra il lamento: - Sarai fida?» addomando: Ed un si fu il giuramento, Ed un bacio il suggellò. Dei sospir fra il mormorio Ripeteano il tristo addio : E l'umor di lor pupille Cadde sovra un fiorellin, E nel calice alle stille Si confuse del mattin.
La viola in seno ei posa : Porge il cespo a la sua Lisa: - Tu il coltiva, ed al pensier, Finchè stai da me divisa, Ti richiami il fido Ugger. E parti. Nel suo giardino Pianto Lisa il fiorellino : Ogni aurora la donzella Su quel cespo rimirò; Là di Venere la stella Ogni giorno la trovò. Non di mirto allegra fronda,
Non più rose al crin circonda : Al suo fior, presso la sera, Cauta versa il fresco umor : Se minaccia la bufera, Sol paventa pel suo fior.
- Spunterà del gaudio il giorno; Amor mio, farai ritorno: Vago il fior ritroverai Studiato di mia man, E vedrai che ripensai
Sempre a te, benchè lontan. >> Giunge ottobre, e il fresco verde Poco a poco il cespo, ahi! perde. Pel suo fior del mite Aprile Sempre invoca i nuovi dì: Venne Aprile; - e il fior gentile Le sue foglie rinverdi.
Poverina! ma quel fiore
Non preluse un lieto amore: Poverina! Da Soria Ritornando un pellegrin Con un gemito le offria Appassito un fiorellin. Era il fior, che inumidio
La mattina dell' addio : Era il fior, che il fido Uggero Notte e di portò con sè: Egli al reduce palmiero Da tornarti, o Lisa, il diè, Quando sotto Odrisio brando
Verso l'alina. A te pensando Colla tremula pupilla La viola ricercò : V'è rappresa ancor la stilla, Onde in morte la bagnò. Lisa, ahi Lisa! il tuo dolore Lo dirà chi intende amore. Ne più mai giulivo un riso Fra' tuoi labbri balenò :
Ne più mai lo smunto viso La speranza colorò.
Non cercarla all' esultanza Del liuto, della danza! Desolata, sola sola, Trasse muta i lunghi di : La patetica viola
Di suo pianto inumidì.
Oh l'afflitta! e i crudi affanni Disfioraro i suoi verd' anni: Tra le memori preghiere Che morendo singhiozzò La viola del pensiere Sul suo feretro prego. Le compagne in bruna veste, Di quel fior le trecce inteste, Della pace nel soggiorno La composero a giacer, E piantaron tutt' intorno Le viole del pensier.
Da quel punto venne il fiore
Sacro al duol, sacro a l'amore; Non è vergin che non voglia Farne bel l'ardente sen: Non è giovin che la soglia Non ne infiori del suo ben. D'un amante timoroso
Spesso apri l'affetto ascoso : In sul nastro del suo vago Ogni bella il ricamò, Ed ogni esule l'imago Dell'amata vi cercò.
Salve, o Nina: e il Trovadore Or che parte e lascia il cuore, Col tenor de la canzone, Ch'era un giorno il tuo piacer, Qui depone - al tuo balcone La viola del pensier.
I MORTI DI TORNO (1). Naviganti che il lago fendete Presso Torno sul far della sera, Fermi il remo su l'onde quiete, La devota dei morti preghiera Alternate con flebile voce Degli sposi davanti alla croce.
(1) Torno è un paesello sporgente sur un capo, a destra di chi, partendo da Como, solca quel lago.
L'aura udite che intorno le freme? A lambirla vedete quel fuoco? Là due fidi riposano insieme. Ne bramate la storia? per poco Date ascolto la storia va al core Come i detti d'un padre che more.
Là in quel tetto di fianco alla torre Visse Linda sospiro di mille: Ma
per lei non v'è gioja; ma scorre Sempre il pianto dall' egre pupille Da quel di che un severo comando Le strappò dalle braccia Fernando.
Quante volte, fissata sul lago, Il mattin le ricorre al pensiero, Che ha veduto partire il suo vago Da' Francesi arrolato guerriero, Quattro di dopo l'alba festosa Che la fe gl'impromise di sposa.
Li a quel salce alla misera avvinto I begli occhi coi baci asciugò: Qui da truci scherani sospinto
- Linda, addio fra i singhiozzi itero: Dal battello fin qui l' ha veduto Accennarle il compianto saluto.
Or del duol coll' ingegno la mesta Cerca i campi di là da Pirene, Fra i cimenti di guerra funesta Päurosa seguendo il suo bene. Oh! pensate se un solo momento Abbia posa di Linda il tormento.
Del giardin più le ajole non cura : A chi dar le primizie dei fiori? Quando aprile ravviva natura Più non guida i festevoli cori : Dell' ottobre a la gioja vivace Le memorie e il timor non han pace.
A te, Diva; a te, Madre di doglie, Fida il pianto, offre i candidi voti. Del Bisbin, del Soccorso alle soglie T Chiede il prego de' pii sacerdoti: Ma una voce presaga di guai : - No, le grida, non più lo vedrai. »
Pure un dì, dalle Spagne tornato, Chiuso foglio recolle un guerriero. Lo conobbe, il bacio: dell' amato Era un foglio di gioja foriero : Sette di, poi nel patrio terreno Strignerà la diletta al suo seno.
(1) La Madonna sull'altissima vetta del Bush na
e quella del Soccorso fra il riso incantevole della Tremezzina, sono santuari frequentati dalla confidente devozione dei laghisti.
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