Non resiste uman potere, Or torrente che balzò Ruinoso, or queto fonte Che nel porfido del monte Una conca si scavo.
Se paura, e le servili
Ire, e il basso odio de' vili Contendeano al pio desir, Indomabile, profondo Vigilava ai cuori in fondo Del Tradito il sovvenir.
E si compie d'un morente
Oggi il voto e d'una gente; Ma qual riedi! e quale, o Sir, Questa Francia, che a' tuoi piedi Genuflessa oggi rivedi, Qual ritrovi al tuo venir ! Sacerdoti, magistrati,
Grandi, popolo, soldati, Tutti univa un sol pensier, Gloriosa era ogni pugna, Certa via l'orma ove l' ugna Si stampo del tuo corsier.
Qual caosse oggi! costumi, Leggi e culto, insegne e Numi, Oh dolor! tutto cangiò. Sull'altare il piè profano Empio l'uom pose, ed insano, Re del nulla, s'adorò.
Vuoto è il Tempio e senza fiori, È la tomba senza onori, Conculcata povertà, Solo nume la ricchezza, Insultata la vecchiezza, E tradita libertà.
Profetessa menzognera,
Che il crepuscolo di sera Dice albor di nuova età, Una turba, che non vede, Nel passato immota il piede, Spera un di che non verrà.
Una turba di malvagi,
Che dal furto e dalle stragi Oro spera e potestà, Ti calunnia, e di rapine, Di patiboli e ruïne Dea t'invoca, o Libertà;
Una turba paurosa,
Che tre lustri ambiziosa Dal suo fango t'adorò, Ricca d'oro, cbbra,
Or ti nega, e maledice Empia al Dio che la creò. Invincibile il tuo brando
Era, o Francia; era comando Alle genti il tuo voler: Vane ciance or le tue sfide, E t'inganna, e poi ne ride Insolente lo stranier.
Oh! ma cessi a quel tumulo innanti Il rumor delle nostre contese. Ai sospiri dell' organo, ai canti, Trombe d'or, colubrine tonanti, Rispondete con mesto fragor; Ed immenso-tra nubi d'incenso Sorga l'inno di pace al Signor.
T'adoriam nel tuo perdono, T'adoriam nel tuo rigor, Sante l'ire, e giusti sono I giudizi tuoi, Signor. Nuda il sen, lacera, stolta, Francia il brando in se rivolta Di sua man s'apriva il cor: Ma pietoso, o Dio clemente, Suscitasti alla demente, Che periva, un Salvator. Come docile destriero Alla man del cavaliero, Che infrenato lo domò, D'amor presa e di rispetto All'ignoto giovinetto La ribelle s'inchinò. Fea del sangue de' suoi figli I patiboli vermigli, Spezzò l'ara e ti negò; Ma la veste insanguinata Le spogliava, e immacolata Nella gloria Ei la tornò.
Sulla fronte un nuovo alloro, Nelle palme un globo d'oro Le poneva ed un acciar. Tra la gioja dei fratelli ; Tornò l'esule gli avelli
De' suoi padri ad abbracciar ; Dalle nuove catacombe, Ove ignuda fra le tombe Le percosse ali piegò, Tornò all'ara, e tra i vapori
Dei turiboli e dei fiori La preghiera a te volò. O Signor, su la collina Che la lapide divina Del tuo Figlio serba ancor, Insultante lo stendardo Sventolava del bugiardo Della Mecca adorator; Ma terribile fra i nudi Jatagani, e i tondi scudi Il suo brando sfolgorò, E il vessillo dei redenti Sulla terra dei portenti Vincitor si dispiegò.
Non le nevi, e non i monti Intentati, e l'acque, e i ponti Omicidi l'arrestår,
Non, a guardia intorno ai troni, Quai viventi bastioni,
Selve d' uomini e d'acciar.
Ale desti a' suoi cavalli,
Nel clangor de' suoi metalli Il tuo spirito soffio;
Nel ferir de' suoi campioni, Nel tuonar de' suoi cannoni Il tuo fulmine scoppio. Poi deserto e senza figlio Sulla rupe dell'esiglio La tua man l'imprigionò; Solo il gemito del rio,
Sol del salce il mormorio Sulla tomba si lagnò.
Ma il tuo sdegno, ecco, ha riposo,
Ecco all' Esule, pietoso, Un avel doni, o Signor; Glorioso e di Lui degno Quest'avello oh! ci sia pegno Che placato è il tuo rigor. Quell'eletta anima forte, Che trionfa nella morte, E sacrossi nel dolor, Teco accogli, e a te vicino Sopra gli Angeli domino Le concedi e seggio d'or. T'adoriam nel tuo perdono, T'adoriam nel tuo rigor, Sante l'ire, e giusti sono I giudizi tuoi, Signor.
Piega il capo, e in lui riposa; Mira, o Francia! impaurito Lo stranier (1) che l'insultò, Quella tomba gloriosa Di guardar non s' attentò.
O! comprendo... Onta e delitto Sulla soglia v'arrestår : No, non deve sul trafitto Il carnefice pregar.
E temeste: di guerrieri Fregi e nomi di battaglia Son dipinti archi e pilieri, Ammantata è la muraglia; Quelle insegne, que' trofei, Quelle cifre in su le mura, A voi furono rapiti,
A voi suonano sventura.
Quel Fatal che ucciso avete,
Dorme, è ver, ferrea quiete, Ma il suo brando è sull'avello, E se Francia il chiamerà, S'aprirà la sepoltura, Quella pallida figura Dall' avel risorgerȧ.
E dietro a Lui fantastici Scuotendo armi e cimieri, Accorreran terribili Pedoni e cavalieri, Tutti sul Reno, a scampo Del minacciato suol, Quei che l'Egizia polve, Quei che in Moscovia involve Di ghiaccio ampio lenzuol.
Ne più lasciate le gravi scuole (2), Nei tetti antichi le meste e sole Donne che a lungo premeste al sen, Fieri di guerra carmi (3) cantando, Sassoni e Svevi, la man sul brande, Ci affronterete sul patrio Ren; Ma insiem piangendo, di Lipsia al piano, Le colpe e il sangue versato invano, A' nostri morti benedirem,
(1) Il Corpo diplomatico non ha assistito alla cerimonia funebre, celebrata il 15 dicembre nella chiesa degli Invalidi.
(a) Si allude ai giovani alunni delle Universita Germaniche, che militarono nelle guerre del 1813
e 1814 contro la Francia.
(3) Gl' Inni di Teodoro Kærner.
E su quel sacro sangue fraterno Patto di pace giurando eterno A un sol vessillo ci stringerem. E sarà questa l'ultima guerra ; Feconda a nuovi parti la terra Il giovin seno discioglierà, E come all'alba rinato fiore,
La fronte al bacio del suo Fattore Umanitate rialzerà.
Ne più divisa e lacera, Sopra le sue bandiere Strane di guerra immagini E di cruente fiere; Ma legge a tutti, ed unica Insegna la tua croce, E il verbo tuo, Signor,
Ma in cento lingue unanime Dei popoli la voce, Che a te dirà pacifica
Un cantico d'amor. Deposta allor sul tumulo La spada gloriosa,
Sul tuo guancial di polvere Torna, Grand' Ombra, e posa; Insino al di, che il ferreo Rimbomberà per l'etra Clangor che della tomba La pietra infrangerȧ, Sul tuo guancial di pietra Squillo guerrier di tromba Più mai ti sveglierà.
Bastia, dicembre 1840.
EPISODIO TRATTO DAL POEMA SULLA COLTIVAZIONE DEI CEDRI.
AH ben più il verno ancor che le furenti Scitiche lance e i disastrosi piani Non pria tentati e i gran deserti e fiumi, Tanti forti abbattea che non umano Ivi ar dimento a perigliar condusse, E tra 'l ferro nemico e la vincente Commossa per sua man fiamma cadea La magnanima Mosca, e a lei fea plauso Da paventosa meraviglia presa La sorella regal, che quella luce Vedea splender sul mare: allor che fiero Portento incomportabil di quel cielo Parve si tosto, e su le gelid' ale Fuor da gli antri Rifei Borea fu mosso. Tal su l'aere un rigor corse, che i fiumi Restår subitamente, e di lor foga Impediti i volanti e piombar d'alto Fur visti, e l'arme frangersi, e le vesti Indurir su le membra, e sostar tosto Attoniti pel campo i corsier vinti. Che val, miseri, allor voce, nè sprone, Ne l'instante flagello! Entro i lor petti
Ogni spirto guerrier dorme, chè l'ossa Possiede un gel di morte, e irresoluto D'atra piaga depasce il sangue bruno L'umide nari, e d'un medesmo fato Cadon le torme : sul funereo piano Stanno i vasti cadaveri, e repente In confuso tenor ferve pedestre La faccenda e 'l conflitto, e come sempre Più s'addensan le morti, inerti e sparse Stan le salme di guerra e le gran ruote E le predate spoglie e i cavi bronzi Di morte, e i derelitti egri guerrieri ( Ahi vista miserabile!) a' fuggenti Dai plaustri querelandosi ; nè intanto La bufera crudel resta e la neve Combattuta ne l'aëre e per entro Il tumulto e le grida e i feri scontri. Dov'eri allor, qual su l'amato capo Pendea turbin di guerra, ove più oprasti La giovin destra, e quale era il tuo fato, Fratel mio, de la vita a me più caro ! Ahi! che le senza te tornate schiere, E i presaghi del ver sogni e un segreto Sentimento del cor troppo mi parla ! Vanto d'eletta schiera, amor de' forti, Di mia patria speranza, onor de' tuoi, Come cadesti, ahime! qual duol, qual morbo,
Ne l'infelice tuo fato, nè quella Che di tanto desir, di tanta speme Cara e trista memoria a noi sol resta. A me di carme generoso, e quale A l'estinte si debbe alme de' forti, Lice onorar; chè nel turbato petto Tace ogni nobil estro, e da mia vena Non tragge assidua doglia altro che pianto. Se non che forse, se avverrà che prive D'alcun favor non sien queste ch'io sparge,
Qual mietea cruda man si gentil stame! Miser, chi sa se l'alterezza e l'onte Del tuo superbo vincitor, cui forse Tu pascevi i cavalli, e la perduta Speme di libertate il non servile Per disdegnoso duolo animo vinse ! Chi sa se la nemica ira fuggendo, Di selva in selva e de le fere il morso (Gelo in pensarlo) te solingo, errante, Non soccorso, non visto alfin le lunghe Fami domaro, e le rigenti brume! Come cadesti, ahimè ! qual più de' tuoi Ne l'ultimo sospir chiamasti a nome! Lasso, che invan la pia madre e l'amante Genitor sospirasti e il fratel tuo D'amor più che di sangue, e niuno al seno Di noi ti strinse, nè il fuggente spirto Raccolse, e niun ti disse il vale estremo!
Come consiglia amor, pietose note Da' Cenomani colli, al mio lamento Itale madri sconsolate, e caste Vergini amanti e vedovate spose Risponderanno, e quanti al pianto invoglia La congiunta pietade. Onor del prode È il pubblico compianto, e si fa meno Il dolor ne le afflitte alme diviso.
SEMPRE i poeti de' viaggi fero, E sempre con onore han viaggiato. Col bossolo girava il divo Omero, Ed il Tasso correa da spiritato : Fu Ovidio accompagnato in una terra Somigliante al confino di Volterra.
Io gli altri non osservo, e i lor trastulli Non sto a veder come osò far Nasone. Benchè abbia un po' di vena, il dottor Lulli
Non m'ordina sanguigne, acqua e bastone; E benche faccia anch'io versi da cieco, Una cagnuola non mi mena seco.
Ne son tenuto per un vagabondo, E un misero la gente non mi crede. Passo per un che ama veder il mondo, Che per meglio veder viaggia a piedi. E per un Creso, è ver, non mi si tiene, Ma si conosce ch'i' son nato bene.
Di tutto io faccio dalla parte mia Per poter meritar questo rispetto; Me ne vo' adagio adagio per la via,
Mi do anco l'aria di naturalista; Vado osservando con il capo basso, Ed un'erba od un fior strappo, o fo vista; Or metto in tasca una conchiglia, un sasso ; E quando mi do l'aria di pittore, Sto un punto a contemplar delle mezze ore.
Quando son presso a qualche paesetto, Vo dietro a un ciglio o in qualche fossatelE se sudato son, seggo un pochetto, [}^; Mi spolvero la veste ed il cappello; Poi dove scorre una fontana pura, Mi rifo bella tutta la figura.
Poi quando sento che non son più stanCavo di tasca un pajo di scarpini, Mi metto al collo un fazzoletto bianco, Tiro fuori la gola e i manichini, Mi rilego la coda, e sulla testa Mi do una nappatina lesta lesta.
E poi giù me ne vengo passo passo, E preso son per un villeggiatore Che fuor del luogo è andato un poco a
Dall'artigiano e dal lavoratore Delle gran scappellate mi si fa,
E son fin preso per il Podestà.
Entro all' alloggio con disinvoltura, E dico: Ho fatto conto di restare. Se chiedon dove è la cavalcatura, Rispondo Volean farmela pigliare; Ma è il più bel giorno che si può vedere ; Ad ire a piedi gli è proprio un piacere.
E per non aver l'aria d'esser stracco Sembro per la cucina un terremoto, E ripeto a ogni po' : Corpo di Bacco, Fa veramente bene un po' di moto. Se volesser sapere dove io stassi, Rispondo: Sto qui oltre a quattro passi. lo pur viaggio e non cotanto male, E non vi son ragioni così strambe; Vado in maniera la più naturale, Servendomi cioè delle mie gambe : E faccio un passo dopo l'altro passo, mio spasso. Per mio divertimento e per Ma sento dirmi da qualche signore: Questo gran strascinarvi che voi fate, A dire il vero, vi fa poco onore. Sarete galantuomo, ma scusate... Io so in quel ma quello che si racchiude; Mi avete stuzzicato ove mi prude.
E ci ha Domeneddio le gambe fatte Per servir di sostegno alle persone E per portarci dove l'estro batte, Non perche le si tengan ciondolone : E un gentiluomo se ne può servire, Senza i grandi avi suoi fare arrossire.
È vero, e me ne son sovente accorto, Che s'incontrano alcuni inconvenienti, E mortificazion spesso sopporto Che arrossirebber forse i miei parenti : E andando si va spesso di sghimbescio; E la cosa ha il suo dritto e il suo rovescio. Or trovando pozzanghere per tutto, Sto come un palo in mezzo del cammino, Or per mettere il piè sopra l'asciutto, Salto che par ch'i' faccia il ballerino. [lo, Ora scendendo, sguscio, sguiscio e ruzzo- E per salir fo un bello scameruzzolo.
Le piante mi sento or tutte recidere, Se poso il pie sopra una punta aguzza. Or se le scarpe fan bocca da ridere, Fa ben sospirar me qualche pietruzza; E se le gambe fossero di stucco, Cadrei come la statua di Nabucco.
Or fa un caldo che infiamma le budella, E la sferza del sol tanto mi batte, Che il capo mi va in pezzi e mi vagella. Or s'aprono del ciel le cateratte, E piove a rotta, e per maggior contento
Accompagnata vien l'acqua dal vento. Dal peso adesso camminar non posso, E mi lagno d'aver preso il mantello, E dalla rabbia il getterei nel fosso. Or non si può nemmen stender l'ombrello, E va il cappello in precipizi orrendi; Tel do per giunta! se tu lo riprendi.
E cento m'hanno data l'incumbenza Di rimetter qualcosa a qualche amico : Ed è per me la vera penitenza L'incaricarmi di qualunque plico, Che con tanti fagotti pel cammino, Somiglio propriamente il procaccino.
Allorchè mi trapassa una vettura, Il postiglione con lo sguardo tetro Si volta e dà una bella frustatura, Credendomi ch' io sia montato dietro ; E sebben non abbia io si trista effigie, I passeggeri han l'occhio alle valigie.
Se scorgo una carrozza, ove suppongo Che riconoscermi qualcuno, possa M'acquatto dove posso e mi ripongo, E il mantello vorrei di Lionbruno. Ma il diavol vuol che questo caso duro M'accada quando io son fra l'uscio e il
Allorchè ho da passar per un paese Ov' abita un signor che mi conosce, Ne bramo esser veduto in questo arnese, Negli spasimi sono e nelle agnosce; E per non incontrar quella figura, Io striscio per lo più dietro le mura.
Ma come il suo destin puossi evitare? In quello appunto, in quel subito incappo. E non ci è modo di sgattaiolare, E invano col cappel tutto mi tappo : Guarda guarda chi c'è, grida da lunge; Per man mi piglia e meco si congiunge.
Dove avete il cavallo? mi domanda: L'ho lasciato qui presso a un'osteria : E non so fare intendere in che banda, E sul viso si scopre la bugia. Io, che mentir si facile non posso, Non vi so dir come divento rosso. [mi, Ei vuol poi per disgrazia accompagnar- E farmi pel paese il Cicerone; E quando pagherei per riposarmi, Mi fa girar per tutto a processione; E vuol ricondurmi anco all'osteria, Dov'è il caval secondo la bugia.
S'io chiedo all' oste se ci fosse un letto, Egli mi sbircia tutta la persona; E dopo con orgoglio e con dispetto Volta il dorso e risposta altra non dona.
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