Mi par d'essere a Londra, dove il nome Vi chiede il servitor, poi not at home. Or gli osti non ricevon forestieri, E non v'è un letto vuoto, che fra poco Giunge una compagnia di cavalieri. Chi ha carità m'insegna un altro loco Dove è una frasca ed ogni razza viene, E, là, mi dice, voi starete bene. E perchè son le scarpe tutta polvere, Ed ho le calze piene di pillacchere, L'oste ad aprirmi non si sa risolvere, E meco son le cameriere quacchere. Una stanza non ho da galantuomo, E se mi chiaman, dicono: O quell' uomo ! In quegli alberghi poi benedettissimi Veggo correr le serve e i camerieri, Ne sento gridar altro che lustrissimi. Che chiamano? comandin, cavalieri : E veggo una gran tavola imbandita, E a me giammai, signor, resti servita. Quando chiedo d'andarmene a dormire, Vien lo stallier con un lumiccio in mano, E sette scale almen mi fa salire ; Una sedia non v'è nè un canterano; Il lume lo stallier mi posa a terra, E uscendo a chiave in camera mi serra. Il letto, oh ciel! io che son si pulito, In quel letto chi sa chi altri ci è stato. Se vo' dormir, convien dormir vestito. Due altri letti o canili ho all'altro lato, E c'insaccan sessanta vetturali, Che fan tutta la notte urli infernali. E tutti questi incomodi perche! E simili disprezzi perché vedi Far dalla gente a un uomo come te? Perché ti veggon viaggiare a piedi, E credon che tu sia roba ordinaria, E che tu abbia le tue terre in aria. Perchè non son venuto in tiro a sei, Gli sguatteri perfin mi stan tant'alto? Che? non son buoni anco i quattrini miei? Non pago puntual come un appalto? Son io partito mai dall'osteria, Che m'abbian dato dietro per la via? Ma queste alla fin fin non son sassate, E non è sempre mica la sperpetua; Le strade non son sempre indiavolate : Qualche giorno v'è pur ch'è lux perpetua; E molti osti, sebben giunga pedone, Guardan l'aria o distinguon le persone. E dico all'oste: Che mi darà ella? Ci ha del pesce? pollami ce ne sono? Mi metta un bel cappone in bastarella, Due piccioni e vin vecchio, ma del buono. L'oste risponde: Avrà del vin di Chianti Che non si dona a tutti i viandanti. M'usan serve e serventi ogni riguardo, E subito mi portan da sedere: Alla cena non v'è tanto ritardo; E s'io non ho la stanza delle spere, Mi danno una stanzetta ch'è vicina; Ma non è tutta affatto la cucina. Di dir m' ero scordato che vicino Alle città con quel grande imbarazzo Di tanti plichi, acciò che un procaccino Non mi credan davver, prendo un ragazzo Che alla locanda me gli porta. Or torno Al luogo ove restai quell' altro giorno. S'io metter mi volessi a raccontare Che bella cosa ell'è, che bella vita, I di che proprio avea preso l'andare, Vedrete, qualcun subito m'imita; E un par di scarpe subito si mette Con doppia suola e un giro di bullette. In un di tutto è all' ordin pel viaggio, E quel viaggio non mi costa un occhio. Per avere cavalli e l'equipaggio [chio; Non son costretto a far più d'uno scrocE in viaggio per far troppo il signore, Non si va poi sotto del Curatore. In quanto a dire un amen son vestito, Son senza cincistiar giù nella strada: Accetto a qualche canova l'invito, E un fiaschettino in corpo è la mia biada; E quando poi le viscere son calde, Le gambe ancora quelle le stan salde. lo vo con chi mi garba per la via; Lo pianto se mi va poco a fagiuolo. ¡gnia, Vo' un pochin chiaccherar, sto in compaMi piace meditar, voglio star solo; Io non bado a nessun, niuno a me bada; Voe vado esto, fo sol quel che mi aggrada. Or seguo uno stradello tortuoso, Ed or da un monticel rapido caggio. Se mi sento un po' stracco, mi riposo; Se sono in gambe, seguito il viaggio. Or fo lungo il mio giorno, or lo fo corto; Et omnia bona mea mecum porto. Or siedo all'ombra delle amene piante, E mi distendo sopra un soderello; Scorre d'appresso un fonte mormorante, E lieve aleggia un grato venticello; Ed appena son giù, l'occhio s' appanna Senza bisogno della ninna nanna. [cenza Con quanto ardor, con quanta compiaColgo un raspolo d'uva o un pomo aurato, Che il buon villano oppur la provvidenza Sembran pel viandante aver lasciato. Se ho sete, a un chiaro fiumicel m'abbasso, E il libero de' campi aere spirando, Ne pei larghi sentier che rumorosa E fuori dei piacer che si procura, E la pace trovar dentro al suo core, Devotamente tutti i santuari Se in quelle parti è qualche villeggiante, Or piover vuole, ora un tempaccio fassi, Ma tali ospizi, tali santuari Ma son di Lucca per servirla, e anch' ivi Ce ne sono de' buoni e de' cattivi. Spesso mi trattan come un paperotto, Quando l'ora del sonno s'avvicina; E chiamo l'oste per pagar lo scotto, Quei dice: può aspettar a domattina; Grossi i lenzuoli son, ma di bucato, Ed ho uno sgabuzzin, ma separato. [zia, Non levo al conto mai nè anco una craE do una buona mancia al cameriere. Quei tutto consolato mi ringrazia ; E se la stafla non viene a tenere, M'augura cento beni, e meco viene Due passi, acciò la strada io pigli bene. Così quando rimango a un'osteria, Altri pensier non ho che della cena: Ne alle velette ognor d'uopo è ch' io stia Che lo stallier non mi rubi l'avena; Ne l'oste, che in suo pro soltanto falla, M'aggiunge, e trenta soldi per la stalla. Se trovo un oste che abbia del briccone, E mi voglia levar fino la pelle, Seguito ancora a battere il taccone : Se l'oste è buono e le figliuole belle, E se trattato ben mi ci ritrovo, Per una settimana ci fo il covo, E che pretende qualche nuvolone Che va in carrozza tutto pettoruto, Che con disprezzo vil guarda un pedone, Nè degna nemmen rendere il saluto? E crede che non siam gente ben nata? Ed ei, cos'è? gli è carne strascicata. Se parte per due di, son cose grandi, E chiede se gran risichi si corre; Passa da tutti a prendere i comandi; Del gran viaggio suo sempre discorre. Un mese avanti un gran baule aggiusta, E gira coi stivali e con la frusta. Si fa prestar le carte e il mappamondo Per veder dov'è Ronta e Barberino; E crede aver girato mezzo mondo, Quando l'erta sali di Pratolino, E quando ha visto il porto di Livorno E per il Pesciatin fece ritorno. Ma cosa fanno chiusi in questi cocchi E passando così sempre di volo? Li vedo quasi ognor stare a chiusi occhi, Aprir la bocca allo sbadiglio solo; E sopra quelle seggiole curuli Gli è proprio un viaggiar come i bauli. Orv'e un caval che in terra ti vuol porre; Ora un ch'è buono a raccattar le sferre ; Ora un che dietro alle altre bestie corre; Ora uno che si butta per le terre ; Ora un che alla ragion nol puoi ridurre; E alla Sardigna si dovrà condurre. Or resta nella mota scussa scussa; Ora urta la carrozza e si fracassa; Or dà in un sasso, ora in un muro bussa; Or sulle pietre cigolando passa; E ad ogni sbilancione, ad ogni scossa In tritoli ti vanno tutte l'ossa. Or si fanno le cose tanto piane, Che ogni due miglia un secolo si pone ; Or si poco di tempo ci rimane, Che non si può finir nè anco un boccone. Non il nostro voler, ma far conviene Quello che a' postiglioni in capo viene. Or vi voglion di più dare un cavallo ; Ed or non v'è da cavalcare un grillo; V'è un calessaccio che va sempre in fallo, Un vetturin bestemmiatore o brillo, Il postiglion che non è mai satollo, E i postier che vi piglian per il collo. Dei vetturini dalla eterna lite, Dagli schiocchi e dalle urla sconsagrate, Dai rigni delle bestie invelenite, Dalle pietre scommosse e stritolate, Dal cigolio de' mozzi e delle ruote, Chi può parlar, chi farsi intender puote? E temi ognor che la carrozza sbarri Ed affogati in quei calessi stretti E bisogna aspettar tutti i momenti, Perchè quello discenda e quel rimonti. Se vuoi metterti a far de' complimenti, Del pranzo non ti toccano che i conti : Mangiar dei quel che ti si mette avanti, Stai male, e spender dei molti contanti. Quello si muove, si rizza, si fruga ; Quei tosse, sputa e la carrozza allaga; Quei pigiato ti tien come un'acciuga; Quei ti dà un calcio che ti fa una piaga: Con quello non s'incontra e non si lega, E con quest'altro ci è sempre una bega. Colei piena è di sacchi e di fagotti, Che nel posto davanti si son fitti, nemmeno. Vuoi correre? ei desidera andar piano. E non risponde e sta come un villano. Ei la battola sembra del molino. Pei paesetti è poi la seccatura, E giunto al luogo poi dove rimani, Meglio è star sol che mal accompagnato, O voi che ci guardate d'alto in basso, O padroncin che andate in si bei cocchi, Quel gonfianuvoli ha la timonella, Quel cieco corre e in una trave cozza. E dà sopra uno stipite e stramazza, Pon sotto un pover uomo e te lo mozza, E un giorno egli medesimo s' ammazza. Ma chi ha mitidio e la sua vita apprezza, Non la fida a una bestia da cavezza. Io per me non dipendo da nessuno, O mi muova, o mi fermi, o resti o vada. Io non ho da pensare altro che ad uno, E a dare al corpo mio solo la biada. Se casco mi farò una stincatura; Ma però la collottola è sicura. Pedetentim cosi fo i miei viaggi, E con molto risparmio di quattrini. Ma le scarpe ho pagate, e gli equipaggi Pagati non avran quei milordini; Giacchè avvisto mi son ch'i' ci riesco, E senza ire a cercar carrozze e cocchi, G. PARADISI. PER LE NOZZE DEL CAV. LEOPOLDO NOBILI COLLA SIGNORA MATILDE TAMPELLINI. EPISTOLA. CHI detto avrebbe mai, Nobili, quando Per la patria e l'onor largo di sangue Pugnavi in mezzo a Scizia (orrida terra, A cui doppia le notti obbliquo il sole, E che di gel rigida sempre, ai nostri Favonj invidia e ai racemosi poggi), Chi detto avria che di si dure prove Di sudor tanti e tanti di vissuti Presso alla morte non sarebber meta Palme e trionfi e d'occupate spoglie Ricchi convogli, nè allargato impero Sovra cento falangi, ed amicizie Gravi di prenci e titoli superbi; Ma un ben congiunto imene, un' appartata In modeste fortune equabil vita Nel paterno soggiorno in grembo a' tuoi? Rado è che il destin nostro ivi ne aspetti Ove il cerchiam : ei gode più sovente Coglierci intesi a un fin non posto a noi: Ché tal di Giove è il fato, il quale ai nostri Timori ed all'orgoglio le venture Sorti velò d'impenetrabil nube. Or resta a te che quanto puoi sicuro Chiovo tu figga ad arrestar la rota Dell' instabile Dea, che se procace Sprezza ogni legge al fren, serve talvolta Se dal segreto mover delle labbra a (Che di più lieve a te ?), danne ricchezze, « Danne onori e poter, e fa che il nostro " Nome si tema dalla Neva all' Indo. » Oh vana turba ! E a questo dunque Iddio Stancar non vergognate onde v'assenta Ciò che vi torni poi vuoto e fugace, Ne vi sia proprio mai? Coll' oro e i gradi Forse in voi scenderan virtude, ingegno, Dottrina, e il tutto a bene oprar salute? E chi sarà che posseder presuma D'Agra le gemme, o i spaziosi campi, Cui smaltano di fior le pingui linfe D' Olona; chi le lane istorïate Della Senna, o le imagini spiranti Di Sanzio o di Canova, se in un punto L'armata violenza, o il cavilloso Foro, o la fraude, o del poter supremo Che il folce, la rovina fragorosa Tutto può torgli e far soggetto altrui ? Maignorar sembri quant'è breve il passo Dalla ricchezza al fulgido comando ; Uomini allin nascemmo, ed è fatale Che sovrastar ne piaccia agli altri umani. I fomenti, o che a un cieco le dipinte Volte d'Appiani. Sia: dove ne guida Tanto proemio? A cio; che il necessario Pregando al ciel, quello chieggiam con Dolce è veder che ti sorrida, e a parte Che si spande a recar per ogni dove Col forte spirto ch' ogni fin soverchia a Al qual si traggon d' ogni partei pesi. Per la rotondità degli infiniti [to Spazi studiam che vi sia mai che importi ascoso A' sensi nostri offrir non può subbietto Mail buon giudicio ne richiama e sgrida esso, Che l'alma succumbente ai morbi suoi Lasciando tutti voi s'avvieranno Alle glebe gradite : assai più pago Ed arbitri per lei di più lung'ozi (1) Il signor consigliere Pellegrino Nobila segnalo prima nelle magistrature, poi nei 22: coltura, e particolarmente nell'arte di fare il v. |