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Di divenir si tratta

GIAMBATISTA CASTI.

Il suocero d'un re. Cosa può fare
Il merito d'aver sì bella figlia!
Che importa a me se Savio del Consiglio,
Se patrizio non son, nè senatore;
Se tu, Lisetta mia, tu dolce frutto
Di mia paternità, compensi il tutto!
Impaziente io sono... eccola. Ah vieni,
(Va incontro a Lisetta che vede venire, e
l'abbraccia.)

Vieni fra le mie braccia, o cara figlia,

fu lo splendor sarai di mia famiglia. Le favole e l'istorie

Parleranno di te.

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TADDEO.

Non dubitar, carina,
Sarai, Lisetta mia, sarai regina.
Figlia, il Cielo ti destina
Per isposa ad un sovrano.
Ti vedrò lo scettro in mano,
Ed invece della cresta

La regal corona in testa :
E d'eredi una dozzina
Usciran dal sen fecondo
Della gravida regina,

Che saran stupor del mondo,
E dei sudditi l'amor.
E scherzando i nepotini
Tutti intorno a me verranno :
O che cari pargoletti!
Che graziosi principini!
Ed i popoli soggetti,

Tutti omaggio presteranno
Alla figlia e al genitor.

SCENA VIII.

LISETTA.

1

2

(Parte.)

Che novità, che stravaganza è questa!
Di quale confusion m'empi la testa
Di mio padre il linguaggio oscuro e strano,
Il conte Alberto è re !... vuole sposarmi!
Non vi sarebbe sotto qualche trappola
Per ingannare me e mio padre?... E poi
Come potrei Sandrino mio tradire?...
Tradirlo! ah no... mi sentirei morire!
Come obbliar potrei
Il mio primiero amor?
Ah ch'io ne morirei
Di pena e di dolor.
Il caro amato oggetto
Sveller non so dal cor,
E al mio primiero affetto
Sarò costante ognor.
Ma che rimiro ? ei stesso

Con Belisa vien qua: molto occupati
In familiar discorsi, e allegri molto
Mi paiono ambedue : cos' egli mai
Ha da far con colei ? sono inquieta

Se non giungo a sape di che si parli : Mi porrò qui in disparte ad ascoltarli.

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Di buona grazia

Gentilmente convien pregarla pria

E d'accettarlo, e di scusar l'ardire : E femmine talora

Di sì buon cuor vi sono

Che fan l'onor fin d'accettar il dono.

SANDRINO.

Che bizzarro cervel!

BELISA l'accarezzando.

Via, caro Turco,

Questa prima lezion mettete in pratica; Fate l'offerta vostra.

SANDRINO.

(Questa è una cosa da morir di risa.)

ACMET.

Questo gioiello d'accettar, Belisa,
Ti prego, e dell' ardir chiedo perdono.

BELISA.

Scuso l'ardire, Acmet, e accetto il dono. (Facendo un grand' inchino, prende il gioiello.)

Bravo davver! da un Turco

Tanto non attendea : se seguirete
A profittar così, farete in breve
Sotto la scuola mia

Un onore immortale alla Turchia.
Se voi bramate

Il nostro amore,
L'arte imparate
Di farvi amar.
I vezzi teneri,
I dolci modi,
Il tratto amabile
Sono quei nodi

Che il cor ci possono
Incatenar.

Col ruvido impero,

Coll' aspra favella,

Col ciglio severo,
Di giovine bella
Invan pretendete
L'affetto acquistar.
(A Sandrino in disparte.)
Se ancor non l'intende,
Tu meglio, o Sandrino,
A quel babbuino
La scuola puoi far.

SCENA XII.

ACMET, SANDRINO.

ACMET.

Sandrin, questa ragazza

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LISETTA.

GIAMBATISTA CASTI.

(Di Sandrin che mi ha delusa
Io non so scordarmi ancor.)

(Al suo padre, a Teodoro, e Gafforio.)
Chiedo a voi perdono e scusa
Del silenzio e del timor.

TEODORO, TADDEO, GAFFORIO a tre.
Merta ben perdono e scusa
Quel silenzio e quel timor.

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Ma qua viene Lisetta il mio bene.
LISETTA uscendo.

È qui il perfido, è qui il traditore.

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E osi ancora parlarmi d'amore?
E osi il guardo fissarmi nel volto?
Fuggi, ingrato, che più non ascolto
Le menzogne d' un'alma infedel.

TADDEO.

Brava figlia! quel nobile orgoglio
Degno è d'anima grande che al soglio
Con ragion destinata è dal Ciel.

SANDRINO.

Ma che avvenne? che sento? ove sono?
Perchè meco sei tanto crudel?

LISETTA.

Vanne pur, mentitor, t'abbandono ;
Vanne perfido, vanne crudel.

TADDEO.

D'uno scettro l'acquisto e d'un trono
Val la pena di far la crudel.

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