Che si disse discesa dal ciel.
S'ella mantenne in vita Quell' Idra imbaldanzita, E l'una e l'altra in bando Da questo suol n' andrà : Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà.
Cada cada l'anfibia potenza
Ch'è de' mali feconda semenza, E la legge del Verbo di Dio Ch'ell'appanna di nebbia d'error Radiante del lume natio Rimariti la mente col cor. Finchè quel servo culto
Ch' all'uom, ch'a Dio fa insulto Dal sozzo altar nefando A terra non cadrà, Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà.
Divo fonte del culto più bello
Che quell' empia converse in flagello, Tu ch'inspiri si nobile impresa Scudo e spada d'Italia sii tu, Saldo scudo di giusta difesa, Forte spada di patria virtù.
Odi una madre oppressa, Ve' i figli intorno ad essa, Che fremono gridando Di sdegno e di pietà, Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà.
In verga di ferro Lo scettro cangiò, Fra 'l popol gemente Che incurva il ginocchio Ei passa sul cocchio Coi lauri sul crin : Di pianto e di sangue Gli gocciola il manto, E il sangue ed il pianto Ne riga il cammin... Superbo, che insulti La terra ed il cielo, Deh squarcia quel velo Che cieco ti fa; E mira che nudo
Il cenno aspettando Un vindice brando Sul capo ti sta.
L'eterna ragione
Tutrice de' dritti Registra i delitti De' regni e dei re: Li conta, li pesa, Li passa per cribro E in capo del libro Sta scritto di te.
Il serto che cingi
Sul capo maligno, Quel serto sanguigno Sfrondato cadrà; Quell'ostro che abbaglia La stolta tua corte Lenzuolo di morte Fra poco sarà.
Di tanta tua possa Del vasto tuo regno Sapresti qual segno Ti è dato lasciar? Lo lascian passando
Men leve, men frale Nell' aria lo strale, La nave nel mar...
Ah! il folle più calca Le genti depresse, Qual calca la messe Sbuffante aquilon; Ed aspe d'orecchio E talpa di ciglio, Non vede periglio Non ode ragion.
Ma mentre più fiero
Fidato in sè stesso,
Di eccesso in eccesso
Passando sen va, Ne' torti suoi passi Seguendo l'insano, La vindice mano Sul capo gli sta.
E quando, all'aspetto D'un lieto futuro, Ei dorme sicuro
In braccio all' error, Com' onda sopr' onda Ch'ogni argin soverchia, L'investe, l'accerchia L'eterno furor.
Alfine, ma tardi,
Si desta il malnato, E indarno il suo fato Vorrebbe evitar; Se in terra sen fugge Quell'ira gli è sovra, Se in mare ricovra Lo insegue nel mar.
E, quasi per gradi Doppiando gli strali, Ai gorghi infernali Sbalzando lo va; Là dove, riarso
Ne' fumidi laghi, Il fiele de' draghi Suo vino sarà.
Qual aquila amante Con l'ale e gli artigli Gl'implumi suoi figli Coperse e schermi
Da drago trilingue Che in orrida spira Coi fischi dell' ira Il nido assali;
Tal pure l'Eterno Con nuovi portenti Le fide sue genti Difese e salvò Dall' empio che a vista Del popol prescelto, Qual tronco divelto Nel fango piombo. Non diede ch' un guardo,
E l'empio esaltato, Qual cener soffiato Fu visto sgombrar; Passando il mirai
Fra i mille suoi fidi, Ma più nol rividi Tornando a passar.
Un eco di fama Non altro ne resta, Di scorsa tempesta Lontano fragor. Calchiamo quel serto Ch' ei cinse alle chiome, Stampiamo quel nome D'un marchio d'orror. O memore fama, Se in parte tu' sei Castigo de' rei,
De' buoni mercè, Là dove più cresce Cicuta e napello Dell'empio l'avello Mi mostra qual è.
Che tu mettesti, o pudica, dal petto S'innalzó al Creatore, il tuo primiero Palpito inteso fu per te nel giorno In che la tema del peccar ti strinse. Peccar! ah forse la virtù, la stessa Innocenza il poteva ? E l'empio intanto Griderà insano fra suo cor, nuotando In mezzo al sangue : Dove è Dio? - Siccome De la convalle il giglio che non tocco Dal fiato ancor dell' aura predatrice, Ne colto pur dalla profana destra De' nipoti di Adamo, all' etra manda I suoi profumi, favella dei fiori, Onde cantan di gloria inni all' Eterno; Lucia mostrato appena avea la sua Beltà fra noi, le sue grazie e il sorriso, Che se vôtò religiosa al culto
De' miti altari tuoi, Madre di Dio ; Distinta appena le suono sul labbro La melodia di sua voce, che tosto De le fanciulle di Sionne il sacro Canto intuono col lagrimoso verso Della cetra davidica e il concento Cui Cecilia traea con le sue dita Dagli organi divini. Indarno i ricchi E più leggiadri giovani che i liti Del minor Reno scorron baldanzosi, E traggon fiori sui felsinei colli, Desiaro il suo talamo : le sole Nozze del Nazareno orgogliosa E timidetta ella chiedea, nè vano Sorti il suo voto, che il connubio santo Le appresto Gabriele in paradiso. Ella in suo core udi questa sovrana Voce : « Vieni dal Libano deh! vieni, O mia sposa e sorella. Le tue guance Dalla bocca degli uomini baciate Non fieno mai: lo stesso padre, il tuo Padre non oserà darti d'amore Questo pegno innocente; intemerata Come l'imagin del pudore, ancella Nostra tu sei. » - Voce del Ciel. - Pur tutta Ti penetro nell' anima, o Lucia : Un voto, un'ara, un crocifisso, un velo Furon le pompe dell' età tua prima, Fu la speranza dell'eterna pace Il riso dell'ingenua tua fronte.
Di sua cella così fra le romite Ombre sacrato a dolce culto, il fiore Degli anni di Lucia silenzioso Ne' giardini d'Engaddi odor spargea : Ma di un leggiadro verecondo affetto Lo sguardo penetrò sin entro i tuoi Recessi, austera stanza, in che si cela
Beltà cotanta; e si godea sovente Di contemplare quel celeste volto, Che raggiava di sotto arcani veli, Talor nel tempio Ippolito, vezzoso Giovinetto, cui gemina cocea Fiamma nel cuor, religione e amore. Di si vaga persona ei preso, univa Fra la turba devota la tremante Sua voce con la voce di Lucia Negl' inni del Signore armoniosa, E co' voti più santi iva mescendo Profani voti. Assorto in sua profonda Melanconia, le incrocicchiate e bianche Virginee palme fisamente mira,
E fra se pien di tenerezza sclama : « Voi mai noi tesserete, o care mani, D'amore una ghirlanda ? ed uno sposo Premerle non potrà sul cor giammai? Mio Dio! sarebbe ella men pura, meno Degna forse di te, dove invocasse Il nome tuo dal talamo, piuttosto Che presso il duro letticciuol deserto? Forse l'amor, questa che tu ponevi Fonte di tutte gioie in mortal petto Passione immortale, è per sì fatta Tua creatura angelica un delitto ?
Un giorno, in che fra gli odorati incensi De' turibuli ardenti e i mesti riti Suonava il tempio d'armonia divina, E a te, Donna del Ciel Vergine-madre, Tutti intuonando ivan concordi l'inno, Onde sei detta fra le belle bella Santa de' Santi, nostra speme, nostro Dolce conforto; Ippolito, mirando Estatico pur sempre la vezzosa Lucia, cantava in nota di lamento: Fa che pio nel Crocifisso (1) Teco ognor m'abbia il cor fisso,
Sin ch'io tragga il vivere. Con te starmi appo la croce, Sociar con te mia voce
Nel pianto desidero. Fra le vergini preclara, Deh non esser meco amara, Fammi teco piangere. Sospirando ei cantò : l'udì, si addiede Di quel pianto Lucia, della soave Emozion del giovinetto, e in seno Una scintilla di terrena fiamma Le si apprese ; arrossì, calò sugli occhi Un fitto velo che per sempre torla,
(1) Queste strofette sono tradotte dall' Inne dello Stabat Mater.
Amator fido, al tuo desir dovea. Amaramente suo peccato pianse Però che volto dall' Eterno-amore Per alcun tempo aveva i suoi pensieri, Gli affetti suoi ponendo in basso loco, Qual è cosa mortal, sua tenerezza:
Piova, fra sé talor dicea, deh piova Giovane pio, sul tuo capo, dal Cielo Ogni contento. Il bramo pur, ma lungi Vivi lungi da me, la comun pace Il chiede, e Dio che i temerari voti De le fanciulle a lui devote ascolta, E della sua tremenda ira le grava. Questo amor tuo, funesto amor che nullo Sperar conforto in suo tenor può mai, Lo svelli, o caro, dal tuo sen. Non io Delle prische vestali il fato, o il cupo Rancor di un padre, ma il rimorso, questo Verme d' un' alma rea, temo e l'averno. Ben io rimembro la severa voce Di Gerardo (1) pontefice tuonante Nel di che ancella al mio Signor mi resi : « Lucia, mi disse, gli occhi tuoi dagli occhi Dividerai degli uomini per sempre. »
Più volte al tempio ritornò, nè scorse Ippolito più mai la vaga luce Di che tanta dolcezza in sè nutriva : Del santuario mai sempre celato Le rigide cortine aveano il viso De la fanciulla e la serena fronte
Che fra gli angioli in Ciel fora ancor bella. Quale consiglio allor, qual mai conforto, Ippolito infelice, il disperato Amor ti porse, quando il cor ti disse: Tu più non la vedrai ? » Per te la speme Tarpò i cerulei suoi vanni, e il futuro Di tenebre si cinse e di dolore, E fur gli affetti tuoi non altrimenti Che smarriti in deserto augelli, dove Non trovan stelo in che posar nè fronda.
Vespro e silenzio! Chi fia mai costui Che sospettoso e tutto in sè raccolto Del monastero i portici discorre? Lunga lunga dagli omeri gli pende Tonaca ponderosa, e sovra il petto Lo spenzolante scapolare e il denso Pelo del mento monaco il palesa, Muto alla cella di Lucia, confuso Si affaccia, e sta senza far moto, senza Batter palpebra; ignoto ella per l'ossa Si sente un gelo, nè sa donde; tronca
(1) Gerardo de' Scannabecchi, vescovo di Bologna, e Podestà nel 1192.
Quei tremando il cappuccio dalla smorta Fronte diffusa la barba si spande Sul suolo. «Ohimè! che veggo? è desso, è desso,...
Ippolito... gran Dio, salvami!» E cade Tramortita sul letto. Ei nell' amata Donna si affigge; ode uno squillo : il suono Questo è che serra le stridenti porte: Un istante gli resta, un bacio invola A quella fronte gelida, una croce A le sue mani impallidite, e come Luce nell' aër, per le mute logge Inosservato e celere dispare.
Ma non più la claustral greve zimarra Sui ginocchi gli batte, e con le folte Pieghe giù scende a incespicargli il passo: Di Lucia con la croce al collo appesa, Tutto d'armi sonante, il tergo volge Alla natia contrada, e a periglioso Lungo viaggio si commette, fiere Ardue pugne anelando, e certa morte Nella terra fatal di Saladino. Là di Gerusalemme su le mura Non più a que' tempi sventolava il diva Stendardo di Gesù, l'Ostia-divina Dal tabernacol suo fuor tratta, al Cielo Avea drizzato l'immortal suo volo; Volti i templi in meschite, ivi al peccat Sagrificava l'empietà, deriso
E macchiato di sangue il gran sepolcro, Sul Calvario splendean de' Saraceni L'alabarde e gli scudi. Alto inspirata Dal Quirinal di Celestin (1) la vecchia Voce tuonava, ai generosi petti Ardente sprone, onde correan alteri Alla guerra di Cristo in Palestina: « Lucia, Lucia, me tutto oggi consacr Al Nume degli eserciti, al tuo Nume; Ci rivedremo in paradiso. » Selama Ippolito così, ferocemente
Si versa nella mischia, si precipita
(1) Celestino III pontefice romano esortò ferv rosamente i principi della Cristianità, e prize palmente Riccardo d'Inghilterra re di Geras lemme, e l'imperatore Enrico contra il Said no per la conquista di terra-santa.
Fra le pagane spade, abbatte, rompe Le schiere de' nemici. È con lui Dio, Chi frenarlo potrà? Ma sovra il capo Peregrina dell' etere gli pende Una funesta nube in che si legge In lettere di foco : « I tuoi peccati Col sangue laverai delle tue vene. »> Atterrato, ferito, prigioniero Cadde fra la vincente oste in quel punto :
Nega la fede tua, gridan que' crudi, Se campar vuoi da morte. » - « Oime! che dite?
Abbandonar io di Lucia la fede? [calchi Non mai. «Non mai? ribaldo! oh gli si Sulla testa il turbante, o di rovente Ferro si cerchin lui le inique tempie. » Chi lo squoja, chi punge, chi gli attasta Di un rovescio la faccia, e chi gli palpa Rabidamente le fumanti piaghe:
« E questa, grida l'un, io te l'apersi, Questa il demonio che a morir ti adduce, Con bollente infernale onda ti lavi. » Lacero, sanguinoso infra i tormenti, Fra l' ugne de' carnefici e le gravi Ritorte, ond' era stretto, ei porge queste Parole: » O santa vergine, o Lucia, Se vivi ancor sovvieni con le tue Preghiere lui che ti amò tanto, e dove Abbi tua stanza in Ciel rendimi il mio Signor pietoso. » - Disse, ed alto un sonno Gli pose agli occhi la sua ferrea benda, Perchè a terra piombo: ne pria le ciglia Ei riaperse a salutare il giorno Che non avesse il giro suo compiuto La sovrastante notte; e quando vide Sorger sull'orizzonte i primi albori, Di sovra il suol, di maraviglia pieno, Levando il capo, si trovò in quel tempio Ove da prima la dolce favella Ascolto di Lucia pregare al Cielo.
Splendente ella di gloria e d'immortali Grazie, precinta di tal fior che mai Sul crine delle vergini vien meno:
« Qui ti aspettai, mio caro... » - « Oh vivi ancora!
Rispos' egli, Lucia, vivi tu ancora? » - Vivo, Ippolito, vivo della vera Vita; ma vanne, i ferri tuoi deponi Su la mia tomba; Dio per me ti volle Salvo, tu prega Dio pur che t'innalzi Dove son, dove te, fedel mio, chiamo.. Corse, volo sulla virginea fossa Dell' estinta Lucia, boccon prosteso Su quelle care sacrosante glebe Che il bel velo chiudean, ond' ebbe tanta Il giovinetto e così dolce guerra, Tutto il giorno rimase, ognor piangendo Soavemente, e baciando quel suolo Che sentiva di morte. E quando il vespro A sparger cominciò la pia rugiada Sull'albergo de' spenti, e in larghe rote Svolazzavan le nottole fra i tassi Del cimitero e fra le croci, alzando Dalla terra, di nostra fragil vita Custode ultima, Ippolito la bocca, Scorse un Genio celeste, incoronato Di un raggio squallidissimo di luna, Mesto ne' sguardi, e nel bel viso quale Face che langue; di funerea stola Si ravvolgeva, e sfolgorante spada Nella destra brandiva: « Angiol di morte, Ti ravviso; mi guida ove è Lucia, » Disse, e l'angiolo a lui : « Dio ti esaudisce, L'anima fitta fra tue membra io sciolgo Ecco, e lieve nel Ciel l'invio, vicino A Lucia poserai per tutti i secoli. » A questi accenti spiegò l'ali all' etra Con un sorriso l' amoroso spirto, E su la fossa desiata il vuoto Fral di ferri sonante ripiombo.
SULLA PASSIone di Gesù CRISTO.
CHE cerchi in faccia a questi altari, o figlio ?
In me, pel tuo peccato ostia innocente,
Volgi amoroso in me l'animo e il ciglio. Io son colui che da la Eterna Mente Eterno sono; e mi condusse in terra Misericordia de la umana gente :
Il fine io sono de l'antica guerra; Pianta' in abisso di vittoria il segno,
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