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E IL SUO SECOLO

PROEMIO

Nel parlare di Giuseppe Parini, non intendo assumermi freddo lavoro da flologo, rivelando il bello di sua poesia, la gagliarda giustezza de' concetti, la squisita sobrietà del gusto, l'armoniosa varietà del verso, il dilicato colorire, I opportuno tacere, l'imitazione magistrale. Chi ha intelletto del bello ne apra i libri, e basta: pei diversi riuscirebbe così inutile la mia fatica, come il dimostrare all' iterico quanto la rosa è bella. Piuttosto, aiutando secondo le mie facoltà l'incammino che ha preso la letteratura abbracciandosi al progressivo incivilimento, volgerò il discorso a mostrare in Parini il poeta della civiltà, che colla parola giovò potentemente il suo paese svellendo gli errori, correggendo mali costumi, insegnando i buoni, ergendo un altare al merito, alla verità. Ed ora che la sua patria, non paga di volgere il ricco censo comune e privato a procacciarsi, ogni giorno più, comodi ed abbellimenti materiali, si sdebita d'un antico dovere coll' erigere alfine un pubblico monumento al cantore del Giorno, potrebb' essere alcuno il quale, reputando la poesia arte di mero diletto, o giudicasse questi onori sconvenienti all' austero secolo nostro che d'ogni cosa domanda a che giovi; o li confondesse con quelli sconsideratamente prodigati ad altre rinomanze cui la moda arde gl' incensi, ma che rapide come l'odore degl' incensi, sono destinate a passare, perchè non istampate coll'impronta della sociale utilità. Non sembri dunque opera vana a' cittadini miei se verrò cercando i meriti civili del Parini, e quant' egli sia degno di pubblici onori per questo, che le opere sue, non solamente sono squisiti esempi di letteratura, ma veramente azioni di virtuoso cittadino.

Toccherò dei casi e degli uomini tra cui visse, perchè male può l'ingegno giudicarsi se nol si consideri ne' suoi tempi e nelle sue circostanze : toccherò del male che v'era : toccherò dei grandi miglioramenti che s'incamminavano: parlando dell' uomo che, credendo sommo dovere l'annunziar la verità e giovare al prossimo colle lettere, non curò le gloriose ire de' pedanti e de' maligni, perpetui nemici di chi porta scritto in fronte la parola Avanti, non manchero della consueta franchezza: al confronto d'un poeta del secolo passato, i quale conobbe e sì bene adempì que' doveri che il secolo nostro alle lettere impone, forse troverò di che far vergognare e, così il Cielo volesse! correggere alcuno, che nato col secolo nostro, chiude gli occhi ai passi di questo, per conservarsi ancora un letterato de' tempi passati: spiacerò a più d'uno :

Non ci parve meglio esordire il nostro volume che con questo frammento di Cesare Cantù, ove non lo si ragiona del Parini, ma toccansi i meriti ed i difetti di alenni fra gli autori compresi nell'ultima parte della Biblioteca poetica del Buttura ed in questa che n'è la continuazione. Il Cantù pubblicò, fin dal 1833, questo brano come principio d'un lungo studio storico ed estetico sul secolo XVIII, che dovea servir di riscontro a quello sul secolo xvii, fatto ne' suoi Ragionamenti sulla Storia Lombarda, per commento ai Promessi Sposi. Ma per non sua volontà la continuazione dovette rimanere ignota al pubblico, (L'Editore.)

a

ma non ho mai chiesto i suffragi di chi s'offende del vero, nè di chi rinnega o fiaccamente professa la fede de' progressi sociali.

IN QUALE STATO FOSSER LE LETTERE A' TEMPI DEL PARINI.

Da chi vuol lodare la poesia, sento ripetere che i primi legislatori furono poeti, i quali dettarono i civili ordinamenti in verso per molcere gli animi coll'armonia, o, come poeticamente si disse, per ammansare al suono della cetra le fiere ed edificare le città. Questa però, o fallo, non è sentenza esatta. Non già per vestirle col lenocinio del diletto, vennero le prime leggi dettate in verso que' rozzi uomini primitivi, tutti senso, non doveano possedere tanta estetica dilicatezza, da andare presi alla squisitezza del ritmo. Bensì furono compilate in metri perchè dovendosi, in difetto di scrittura, mandarle alla memoria, e più agevolmente vi si imprimessero, e più fedelmente si conservassero; giacchè il mutamento d'una sola parola veniva tosto avvisato dalla lesione del numero poetico. In questo ufficio la poesia fu posta vicino alla culla dell' incivilimento, e sempre lo assistette ne' suoi incrementi. Cercate in fatto i carmi de' secoli più remoti : sono inni agli Dei, sono morali verità, sono lodi di eroi e di belle ed imitabili imprese. E quando, rinnovatasi la barbarie, tra il caos del medio evo cozzavano discordi gli elementi della civiltà aspettando una serie di casi che desse loro fecondità ed ordine nuovo, la poesia che, atterrita dal barbarico ululato, avea quasi perduto la voce, se mandava pure alcun vagito era per lodare Iddio ed i santi suoi, od al più scolpire qualche fioco lamento sull'urna d'un defunto. Come alcun raggio di luce trapelò fra la notte col favore della libertà, volsero i rozzi cantori quella poesia a vantare segnalate o gentili imprese delle patrie loro, e giovarono la società in questo, ehe colle canzoni occupando piacevolmente gli animi, ammollirono la ferocia dei duri mortali. Ma che erano tutti que' minestrelli e trovadori e giullari, que' cronisti in verso, che erano a petto di colui, che gigante balzò innanzi al suo secolo, voglio dire Dante Alighieri? Niuno meglio di lui intese l'alto fine della poesia, o ve la seppe dirigere più valorosamente. E deh l'avessero tolto ad imitare i tanti poeti suoi successori! ma pur troppo, essendo sottentrato quel che parve ai più un gran lume d'incivilimento, ed era nel fatto una decorata barbarie, perchè mancava di quell'elemento senza cui non v'è civiltà piena e durevole, gli scrittori sopravvissuti alla patria, rimossi dalla pubblica vita, senz'altre lotte che quelle fecciose de' vituperii, si diedero a meditazioni e ricerche solitarie; la letteratura non fu un'azione, ma uno studio: e intesa a copiare autori latini e greci, anzichè gli uomini e le cose, non fu stampata d'alcuna impronta nazionale.

Lo so ben io che, diseredati i Comuni, fra le guerre di Tedeschi e Francesi, fra i guasti d'amici infedeli e di spietati nemici, sotto la servitù forestiera, attraverso le replicate pestilenze, in faccia ai roghi dell'Inquisizione, so ben io ch'era difficile intuonare e conservare le canzoni depositarie delle speranze, delle glorie, degli sdegni del paese, sicchè parlassero tanto forte da vincere il tumulto delle armi ed il fragor delle catene. I poeti, vedendo i mali della patria, anzichè osare almeno compiangerli, ne torsero gli occhi spensieratamente: fu il cantar loro una sonora vanità: un trastullarsi in fiacche e transitorie cantilene, preparate con una continua cura di evitare il pericolo di sentire, di far sentire fortemente. Onde l'Italia, neppur confortata dal pianto de' suoi figli, li sentì verseggiare più languidi e più molli, quando essa più soffriva. Chi ben ama, chi ben sente, chi ben fa, vegga quanto sia a congratularsi della gloria

che tali poeti procacciarono ingentilendo, come si vuol dire, i costumi dello salido e scapestrato medio evo. Noi compiangeremo che le lettere, e la poesia specialmente, si separassero dalla civiltà.

Nel quale divorzio duravano miseramente allor quando comparve Giuseppe Parini. Erano, è vero, cessati i delirii dello sguaiato secento, quando gl'ingezni, impediti di pensare, volsero tutto l'acume a quella foga di concetti e di metafore, che per un secolo insozzò il nostro paese : ma la scuola sostituita a quella non drizzava gran fatto al meglio. Perocchè sdegnando la semplicità te primi maestri, e facendo eco alle villanie onde il Bettinelli erasi studiato krdare di fango lo splendido manto dell' Alighieri, aveano tolto a prodigare parole e frasi; affettare una sciagurata facilità, procurare ai versi, non il nerbo vero delle immagini, ma l'artificiale delle figure, dei tropi, delle ampolle 1 : anche ne' migliori, supremo della bellezza reputavasi una parassita eleganza; quasi unico campo della poesia il frivolo; perpetuamente diviso il bello dal vero: del resto un timido sgomento della bassezza delle parole; circonlocuzioni lambiccate e slombate leziosità: descrizioni triviali e indecorose: volgarità Anzi, qual suole

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"Quest è il comune scoglio ove urtano coloro i quali, troppo scrupolosamente scrivendo, non peusano, che, per quanto aspra e volgare sia una voce, s'ingentilisce e nobile diventa per l'altezza del suo cato. » PA181, contro il Bandiera.

*Il Bettinelli, descrivendo un' eruzione del Vesuvio, si ferma sui topi che snidano. Il Rezzonico cominun poema sul Sistema de' cieli dall' abil coppiero che agita e mesce

• fasce col pranzo:

Col dentato versatile stromento

La mattutina d'oltremar bevanda
E in lucida la versa eletta tazza
Del camuso Cinese arduo lavoro.
Fervida s'alza la disciolta droga,
E di fragranza liquida e di spume
Ricca sovra il capace orlo colmeggia.

Ve' come intorno a lei cadendo ii raggio, ecc.;

Già del bianco mantil vestito il desco
Grato fumeggia di vivande ; invito,
Più che non l'epa dal digínno asciutta,
Fa del valletto vigile la cura, ecc.

d'idee, lingua trasandata e bizzarra, fuoco mendicato, monotona armonia rintronante, spirito d'imitazione servile, inanimata. Sono poesie di occasione', sono facili ed uniformi visioni, sono vesti numeriche addossate a qualche astrusa dottrina per farne un non so che, scarso pel dotto, inutile per l'ignorante sono uniformi amori non sentiti, e sdulcinate ammirazioni di sognate Amarillidi; sono inavvivate descrizioni d' un' Arcadia, ove ognuno aveva un nome e sognava un podere: sono strali nomisempiternanti imposti all'arco tebano amore, voluttà, adulazione, ecco i perpetui soggetti di quei poeti, simili ai fanciulli, pronti a garrire, incapaci di generare, doviziosi soltanto d'una boria sfolgorata, che pascevasi degli applausi alternamente ricambiati *. Ma ogni spirito generoso manca a quell' eunuca poesia, pari al gorgheggio d'una cantatrice tutta voci di testa, non mai di petto; non mai un nobile carme che tenda a corroborare gli animi contro la fiacchezza, fonte più comune dei peccati, che parli alto le utili verità, che discopra il cuore dell' uomo qual è veramente, che racchiuda un sospiro quale brama il Tevere e l' Arno e il Po, che riveli il silenzio irrequieto della speranza.

Poeti, storici, oratori, che formano la letteratura d'una nazione, non possono empirla di vera e maschia eloquenza se non derivandola dalla pienezza del cuore, dalla dovizia della fantasia, dalla forza del raziocinio, dalla convinzione della verità. Mancando le quali, davano del pari in un floscio e fatuo comporre poeti, storici ed oratori. Il Parini in una sua lettera al conte di Wilzeck scrivea: «< Senza far torto a quegli individui, che per solo impeto del loro << talento si aprono una strada fra le tenebre, Vossignoria Illustr. ben vede << quanto sì le pubbliche, come le private scritture manchino (in Milano) per lo << più di ordine, di precisione, di chiarezza, di dignità. Gli avvocati, general<< mente parlando, non hanno idea del buono scrivere, non dico già di quello << che si riferisce semplicemente alla gramatica ed allo stile che pure è molto << importante, ma di quello che ha rapporto alle convenienze degli affari e <«< delle persone, cosa che dovrebbe essere tutta propria di loro. I predicatori, << per lasciar da parte tutto il resto di cui mancano, sono generalmente privi

Che vestizioni? che professioni? . .
Possibil che dottor non s'incoroni,
Non si faccia una monaca od un frate
Senza i sonetti, senza le canzoni?...
E dalle, e dalle, e dalle, e dalle, e dalle
Con questi cavolacci riscaldati.
PARINI, Sonetti".

Certi versi che sono, sto per dire,

Un ammasso di gravide parole
Che sovente si stentano a capire

La dotta Italia più sentir non vuole, ...
E più non vuol sentir belar l'agnelle
Ch' anche troppo belarono fra noi,
Nè vuol sentir parlar di pecorelle,

Nè d'ovil, nè di capre, nè di buoi,
Nè sentir sospirar le pastorelle, ecc.

PASSERONI, il Cicerone, c. 22.

* Bettinelli, Frugoni, Algarotti stamparono certe loro sguaiate miserie intitolandole Versi di Tre eccellenti Autori. Il Mazza si fece scolpire in una medaglia col rovescio iscritto Homero viventi. I titoli di immortale, divino e somiglianti se li prodigavano un l'altro fin nelle lettere familiari.

1 « Cotesti modernacci maledetti scrivono come se tutta Italia fosse una galera, e tutti i suoi abitanti tanti vilissimi schiavi, » BAARITI, Lett, ined.

* Badi il Lettore che noi diam solo una scelta delle opere poetiche del Parint, e non gli paia strano se non vi trova alcune di quelle citate dal Cantù. (L'Editore.)

<della prima facoltà, cioè di farsi sentire con piacere, e ciò più per difetto a d'abilità in loro, che di pietà ne' cittadini. Che dirò io a V. S. Ill. di tanti < giovani sonettanti, che infestano il nostro paese, persuasi di essere qual <cosa d' importante; che dietro a questa vanità, estremamente nociva alle « famiglie e allo Stato, perdono i talenti che dovrebbero esser meglio impiegati? Non vi ha pur uno fra questi che sappia cantar degnamente le lodi << della virtù e del suo principe; pur uno che sia capace di contribuire una <commedia od una tragedia al teatro; pur uno che faccia una cosa degna della ⚫delicatezza e della eleganza del nostro secolo. » Per questo il Parini intendeva che lo studio dell' eloquenza non dovesse solo occuparsi de' vocaboli, de tropi, dello stile, delle parti e de' generi dell' orazione, ma associarsi alla filosofia, alla logica, alla metafisica, alla morale; esaminar le idee accoppiate ai vocaboli per usarne con proprietà; occuparsi delle opere di gusto e d'immaginazione; richiamar le menti a fini più utili e nobili, e condurle sulle vie del buon gusto. Cercando poi le cagioni di tanto scadimento dell'eloquenza, la trovava egli nell' essere ridotte le scuole sotto la direzione de' claustrali. « Essi (è Parini che parla) non hanno mai insegnato, nè insegnano la buona eloquenza, anzi non ne insegnano punto perchè non ne hanno essi me⚫ desimi convenevole idea, perchè, anche avendola, essi hanno interesse di non « insegnar rettamente... Il carattere dominante delle scuole, la tenacità delle opinioni, la insistenza sopra la nuda materialità dei precetti, la ignoranza « della filosofia, sono le principali cagioni per cui i frati non conoscono la « buona elequenza 2. » Tant' erano ai tempi del Parini scaduti coloro, che pur ci aveano conservato coi classici il buon gusto.

Però nel mentre i più trascinavansi terra terra dietro lo spirito del secolo per ottenere la fama di un momento, altri erano che, comprendendo quanto sia bello il trovarsi con pochi innanzi ai contemporanei, aveano guardato fuor dai confini d'Italia, ed avvisato come, durante l' infelicissimo sonno di questa, le altre nazioni l'avessero soppravvanzata, dirigendo l'industria ed il sapere all utile comune. Diedero perciò opera a levare la patria al livello delle emule, per quanto i tempi consentivano. Nel vedere i quali sforzi, sorge in cuore una compiacenza, e ci si salda la fiducia nel meglio anche quando sembra più disperato. Avvegnachè per abbattere l' Italia si volle una congiura di quanto di più disgraziato incontrar può ad un paese: guerre micidiali, replicate invasioni di stranieri, fami, contagi, e, quasi peggior di tutto, un riposo di morte universale, sistematico, regolare. Eppure il genio italiano, se fu sopito, non però fu spento: sicchè appena rallentarono gli ostacoli, quantunque niuna cosa fosse migliorata, nessun impulso fosse dato, pure colle proprie forze e coll' emulazione, tornò a sorgere, a pensare, a ragionare, ad operare.

La letteratura di nuovo esercitò allora influenza sull'essere civile, e reciprocamente ne senti l'influenza. Dagl' inoperosi gabinetti, ove assorti in astruse speculazioni, tutta lasciando ai dominatori la cura de' cambiamenti, non curavano di ridurre in accordo le istituzioni colle opinioni, i filosofi cominciarono ad avvicinarsi alle materie che più dappresso toccano l'uomo, a guardar il popolo e le relazioni fra i cittadini e il principe, e de' cittadini fra loro e le veglie de' saggi fruttarono pe' sociali interessi3. Anche i poeti da quel favoloso

'Lettera al Wilzeck.

'Delle cagioni del presente decadimento delle belle lettere ed arti in Italia, I claustrali cessarono; l' eloquenza venne?

*Genovesi, Verri, Beccaria, Filangeri, Carli, d' Arco, ecc. Il Baretti nella Frusta letteraria riflette che, nel 1764, invece di sonetti, egloghe, ecc., uscirono in folla dissertazioni, trattati sulle arti, sulle benchè soggiunga quasi tutti molto bisiacchi.

monete, ecc.,

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