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nima. Ama ed intende molto le lettere e la filosofia; non ci manca mai materia di discorso, e quasi ogni sera io sono con lei dall' avemaria alla mezzanotte passata, e mi pare un momento. Ci confidiamo tutti i nostri secreti, ci riprendiamo, ci avvisiamo de' nostri difetti. Insomma, questa conoscenza forma e formerà un'epoca ben marcata della mia vita, perchè mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo de' piaceri che io credeva impossibili, e che io sono ancor capace di illusioni stabili, malgrado la cognizione e l'assuefazione contraria cosi radicata, ed ha risuscitato il mio cuore dopo un sonno, anzi una morte completa, durata per tanti anni (1,436). »

Questa signora era fiorentina e maritata in una delle prime famiglie di Bologna. Altro non aggiunge il Viani che potea darci particolari più precisi; ma ad un minuto grammatico anche un'amicizia cosi elevata è sembrato che potesse far scandalo e però s'è cucito la bocca ordinariamente si loquace.

Qui abbiamo come il principio di tutto un idillio. Che perdita per le lettere che sia stato soltanto un lampo, un'apparizione subito svanita!

Leopardi era l'ultimo gran poeta che ci avrebbe rivelate nuove pagine delle inesauribili gioie dell'amore sentito come potenza e nume della vita. E giusta

mente l'ultimo grande poeta nasceva da famiglia patrizia, apparteneva al passato come l'amore elevato. Il che sarebbe stato tanto più utile alla storia della poesia, alla storia dell'amor vero, in quanto la poesia italiana non ha, dopo l'esempio di Petrarca, che amori artefatti, foggiati pensatamente per certe convenienze sociali, per vanità, per smania di verseggiare. Ma nato per una vita tutta nuova e potente di vero sentimento, non potè goderne.

Esiliato allora dalla terra, Leopardi visse di aspirazioni verso un astratto idealismo, una specie di mondo felice soprannaturale, ultima ed immortale sua illusione. Quali inni pieni di fede e di speranza avrebbe innalzato quest'uomo se poteva essere « disingannato del suo disinganno. » Chè la sorgente della grande poesia esiste nella realtà. « Ci sono veramente al mondo de' piaceri che si credeva impossibili,» ma occorrono molte circostanze e il più delle volte il cieco caso per conseguirli; poichè non basta aver come Leopardi le sole virtù morali. Quasi sempre o la donna privilegiata passa ignorata fra uomini abietti quando non è loro vittima, o la vittima è l'uomo elevato che crede come Leopardi, di aver trovato la sua corrispondenza mentre soggiace a una pretta illusione.

Per tal modo aveva ragione di dire che l'amore

non è altro che illusione perchè tale fu veramente per lui. Ma le donne capaci d'ispirarlo esistono e ne fanno fede i grandi poeti. Le donne di Shakespeare sono reali, non foggiate e vacue astrattezze come le Laure. La vera e grande poesia non ci dà l'ideale, come pretendeva una critica nuvolosa fortunatamente oggi abbandonata, ma il reale schietto e intero. Questa lettera dunque è importante perchè ci porge la chiave per penetrare nell'essenza della lirica amorosa di Leopardi, spiegandoci perchè egli non prestò culto a nessuna creatura terrena ma a un idolo della sua mente.

La donna di Bologna fu un'illusione creata dal suo cuore. Egli non dovea trovar nessuna donna sul suo cammino. Infatti, mentre nel maggio 1826 scriveva in termini così entusiasti a suo fratello Carlo, poco dopo non ha altro più ardente desiderio che tornarsene a Recanati; e soltanto il caldo della state. sopravvenuta nocevolissimo a lui nel viaggio, ma non più l'amica, lo ritenne ancora a Bologna. Questo scioglimento così brusco e inaspettato di un sentimento che si annunziava così splendidamente fino a far credere a Leopardi che « avrebbe formato un'epoca ben marcata nella sua vita, » mentre invece riusci a un disinganno più amaro; e la considerazione attenta della lettera riferita mi fanno sospet

tare che la dama fiorentina sentiva dell' amicizia e della compassione per Leopardi, come provano le lacrime alla lettura delle poesie; amicizia che per lui convertitasi in vero amore, non partecipato dalla dama, fosse anzi da costei reietto se non pur deriso.

Cosi restava trafitto crudelmente il cuore del gio vine poeta ogni qualvolta si apriva all' amore, concesso a tutti gli altri uomini, ed a lui solo negato. Ne gli bastò una sola dura esperienza. Nella stessa Bologna pare indubitato che sentisse un altro amore per altra donna della quale neppure ebbe di che superbire e della quale più tardi scriveva al suo amico e già discepolo conte Papadopoli: «Non so perchè vogli dubitare della mia costanza in tenermi lontano da quella donna. Quasi mi vergogno a dirti che essa, vedendo che io non andava più da lei, mandò a domandarmi delle mie nuove, ed io non ci andai; che dopo alcuni giorni mandò ad invitarmi a pranzo, ed io non ci andai; che son partito per Firenze senza vederla; che non l'ho mai veduta dopo la tua partenza da Bologna. Dico che io mi vergogno a raccontarti questo, perchè par che io ti voglia provare una cosa di cui mi fai torto a dubitare. Certo che la gioventù, le bellezze, le grazie di quella strega sono tanto grandi, che ci vuol molta forza a resistere (2,22). » Troppa amarezza e troppo sdegno.

Partito da Bologna all' appressarsi del verno, a' 3 novembre 1826, tornò vogliosissimo in Recanati agli 11 del detto mese, avendo fatto il viaggio a piccole giornate pe' suoi grandi malanni nella giovane età di 28 anni. In patria continuò a lavorare per lo Stella, compiendo l'antologia o crestomazia in prosa, scelta de' migliori scrittori, non del buon secolo solamente perchè detestava il purismo, ma di tutti i secoli, e compita nella primavera 1827. Nonostante il gran desiderio di rivedere i suoi, il mese dopo che ci era venuto senti di nuovo che non poteva assolutamente vivere in quella casa. <«< Sente meno freddo che a Bologna, di corpo; ma d'animo ha un freddo che lo ammazza, e ogni ora gli par mill'anni di fuggir via (1,477). » La solitudine in un paese privo d'ogni possibile distrazione, diviso da ogni commercio letterario, produceva subito il solito effetto in lui che non poteva restar solo con se stesso senza abbandonarsi a'più disperati pensieri. Dal novembre all' aprile 1827 che riparti, non fu visto pur una volta per le vie di Recanati.

Liberatosene, fino a' 20 giugno se ne stette a Bologna, e di là a' 21 giunse a Firenze; ma per una flussione d'occhi essendogli tolto l'uscir di giorno, non potè goder nulla della bella città. Meno male che Giordani gli faceva continuamente compagnia,

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