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religione che consolava lui. Dal cielo terrestre insegnato con bellezza ineffabile dal fratello, divertirono a quello religioso inculcato con lacrime dal buon vecchio.

Avevano tanto interamente vissuto in Giacomo, che quando si allontanò, rimasero come annientati. La loro guida, la luce era sparita. I due orfani piegarono il capo con muta disperazione. Qualche volta il loro cuore se torna per poco a battere, gli è quando pensano a Giacomo o quando, amara illusione! credono ancora di averlo vicino. Col tempo, continuando sempre la lontananza, si vanno sempre agghiacciando, e del gran fratello, povero infermo errante, sparite le superbe speranze, a loro non rimane più nulla, proprio nulla. Ritornano come nacquero, figli di Monaldo Leopardi e di Adelaide Antici, discendendo dalle alte pericolose sfere ove Giacomo avea cercato di attrarli. Ripiombarono a terra e vissero onesti e sommessi accanto al foco

lare domestico, privi dell'ali e dello sguardo d'aquila del fratello.

Luigi morto a 24 anni, e Pierfrancesco da cui nacque il vivente conte Giacomo Leopardi, non si mostrano mai presi da quella malattia di disperazione che da Giacomo afflisse sul principio Carlo e Paolina.

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Oh come fu amara la prima ora che si videro privi di Giacomo. Con quanto desiderio guardavano al passato che pur era stato triste. «Volevo dirti, gli scrive Paolina, come sempre ti cerco e sempre

mi pare di sentire i tuoi passi, e mi muovo per vederti; ma già inutilmente, chè tu non ci sei più, e per lungo tempo (1). »

«Io ti chiamo ad ogni momento, scrive Carlo, e mi è sempre di nuova sorpresa il non trovarti vicino a me; mille volte ti suppongo in camera, e mi trattengo dal far rumore per non disturbarti; mi succede ancora d'incamminarmi coll'idea di dirti qualche cosa (2). » La stessa sensibilità febbrile di Giacomo, e in Paolina anche la frase perfetta, in entrambi il vuoto come se divelti dalla più bella parte di sè stessi.

Le lettere innanzi citate si riferiscono alla prima partenza di Giacomo per Roma nel 1822. Passano gli anni, ma la lontananza di Giacomo è sempre amara a' due superstiti. Nel 1829, come nel 1822, si aggirano sempre nello stesso vuoto, e si aggireranno fino alla morte di Giacomo. Nel 1825 Paolina gli scrive: « Il dirti quanto ti amo, e quanta smania e impazienza è in me di vederti, è inutile,

(1) Lettere de' suoi parenti a Giacomo Leopardi, per cura di PIERGILI, p. 42. (2) Idem, p. 41.

poichè te lo immaginerai bene; e tutte le notti ti vedo in sogno, e mi par proprio di guardarti, di esaminarti....; ed ogni cosa mi richiama in casa la tua memoria, e mi fa tanto più regretter, quanto meno speranza ho di vederti. Pure, soggiunge con un sdegno tutto proprio di Giacomo, a Recanati non ti vorrei giammai (1). » E Carlo nel medesimo tempo: « Tu non devi più venir qua, che a modo di villeggiatura, giacchè il rinchiudersi in Recanati, è lo stesso che condannarsi a morte (2). » Chi non sente l'influenza del maestro, il suo orrore pel borgo selvaggio? Carlo e Paolina dunque furono due pallide immagini di Giacomo. In seguito Carlo, come racconta il Viani, « s'inchinava umilmente nella casa del Signore; » mentre Paolina, vera donna nata con la virtù della sommissione, alla fine si abbandonò interamente al fanatismo religioso del padre, fanatismo certo di tutta buona fede, non mai interessato e plebeo.

(1) Lettere de' suoi parenti a Giacomo Leopardi, per cura di PIERGILI, p. 130. (2) Idem, p. 134.

CAPITOLO II.

Schiettezza del conte Monaldo Sua assoluta sottomissione alla moglie Sferza i vizi del clero Suo vivo amore a' figli, segnatamente al primogenito - Lettera importante di Giacomo sul carattere del padre, sulle condizioni della famiglia e sue proprie. Grande bontà e onoratezza della famiglia Leopardi Monaldo sente con dolore di non essere riamato dal figlio opposte del padre e del figlio Opinione che Monaldo ha di sè stesso

Sua credulità ne' gesuiti cente vanità di Monaldo casa

Esagerazioni

Ingresso di Luigi Leopardi in paradiso Inno-
Sue commoventi preghiere per riaver Giacomo in

-

Rara bontà del padre e del figlio divisi soltanto da opinioni Gesuiti neri e rossi Monaldo non può soccorrere il figlio

Giudizi severi sulla

contessa Adelaide Carattere indipendente di Monaldo - Sue satire politiche grossolane Cause molteplici, fisiche e psichiche, della infelicità di Giacomo La sua sventura fa prova della sua eccellenza Suo desiderio della morte, Differenza tra

e come se ne ritrae

Se sia il poeta del pessimismo

Leopardi ed Heine.

§ I.

Del conte Monaldo bisogna primamente notare la grande schiettezza. L'amico de' gesuiti era l'uomo più franco del mondo, e alla prima parola si rivelava tutto intero. Questo tiranno della famiglia, questo carnefice di Giacomo, secondo un' opinione a torto invalsa, era invece un bambinone talmente docile alla moglie da movere il riso fin nella pazientissima Pao

lina. Però ha certe idee fisse che nessuno gli può smuovere, proprietà delle famiglie antiche.

Si apre un teatro in Ancona nel 1827 con grande aspettazione: credo vi cantasse la Malibran. L'inaugurazione d'un teatro è stata sempre una gran solennità in Italia, e non la fondazione di qualche grande opificio, di qualche arsenale e di tutto ciò che serve alla potenza di un popolo. Recanati si spopolo, tutti concorsero ad ammirare il teatro, non escluso Carlo Leopardi che in tale occasione ruppe le domestiche catene. Solo il povero Monaldo per quanto n'avesse la voglia grande, ubbidi a un cenno della moglie e rimase cheto a casa, canzonato nel modo seguente da Paolina in una lettera a Giacomo:

<«< Avrai sentito anche costi il rumore del teatro d'Ancona, il quale oramai hanno veduto tutti i Recanatesi, non eccettuati i miei fratelli. E anche a babbo, se non fosse stato tanto impicciato nella sua gonnella, era venuta voglia d'andarci; ma niente (1), »

Il conte Monaldo era un gesuita come poteva essere il nobile padre di Massimo d'Azeglio, meno l'atteggiamento eroico del Marchese appartenente ad un'aristocrazia bellicosa; un padre d'Azeglio letterato, non militare. Ce ne fossero molti di costoro,

(1) Lettere scritte da' suoi parenti, p. 208.

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