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ne stava lui stesso meglio de' preti, onde gli elogi che fanno della sua dottrina certi biografi, mostrano che tanto il Conte, quanto i maestri de' suoi figli ed essi biografi sono tutti quanti della medesima

risma.

Or questo fanciullo che a dieci anni vinse la stessa presunzione di maestri i quali come ecclesiastici e pedagoghi non sogliono esser molto famigliari con la modestia, era nato non solo d'ingegno, ma ricco de' più bei doni fisici e morali. Era nato sano, instancabilmente pronto a' giuochi fanciulleschi, tutto moto e riso, ebro di vita, di libertå, avido di gloria. Non si vide mai vitalità più piena ed esuberante, massime se si consideri l'educazione fratesca e mortificata che in Italia allora si dava a' ragazzi, e più se di famiglia aristocratica e per giunta chiericale, educazione tanto lontana da quella liberissima svizzera ed inglese. Ma questi era un contino poco savio, niente grave, anzi un vero diavoletto. La più rosea aurora precedè in lui una funebre giornata. Quell'aurora fu un punto solo, d'eterna memoria. E poi venne una bufera infernale raramente rischiarata. da raggi rapidissimi di luce celeste. Quante volte il Poeta tornerà su quelle prime ore non si tosto apparse che perdute.

« La fanciullezza di Giacomo passò fra giuochi e

capriole e studj, diceva suo fratello Carlo; studj per la sua straordinaria apprensiva incredibili a quell'età. Mostrò fin da piccolo indole alle azioni grandi, amore di gloria e di libertà ardentissimo (1). : >>>

Questo amor di gloria lo accompagnò lungamente. Fin nel 1817, in età di 19 anni, ancora inesperto che la gloria in Italia non si concede che a' morti o a' vivi mediocri, scriveva al Giordani: « La mediocrità mi fa una paura mortale.... Io voglio alzarmi e farmi grande ed eterno. » E l'anno 1819 al padre, nella lettera scritta quando disegnava fuggir di casa: «<.... ... Voglio piuttosto esser infelice che piccolo. »

Amor di gloria e di libertà! Dite meglio amor di gola, di sonno, di servitù, di raggiri, d'ipocrisia, ecco gl'idoli onorati, ecco la via che qui mena alla felicità; e chi non vuole intendere, tanto peggio per lui. In fatti Giacomo Leopardi fu infelice, grande soltanto dopo la morte e particolarmente per opera de' Tedeschi.

De' Tedeschi come Bunsen, De Sinner, Niebuhr primamente lo distinsero dal volgo de' letterati italiani e si adoperarono tanto per ottenergli da vivere, pena tutta inutile presso il Governo pontificio: onde

(1) Appendice all'Epistolario, ecc., per cura di P. VIANI, p. 32.

il barone Carlo Bunsen scriveva in un impeto di collera e di disprezzo: «Oh se fossi io ricco, Leopardi fra un mese passerebbe le Alpi (1).» Altri stranieri dopo la morte lo han reso noto a tutto il mondo e rinverdita la sua memoria, ciò che egli non poteva mai aspettarsi dalla sua patria.

«Non poteva soffrire alcun disprezzo, continua Carlo sulla fanciullezza del fratello. Sdegnavasi fortemente e piangeva se alcuno della famiglia cedeva in cose d'onore. Ne' giuochi e nelle finte battaglie romane che noi fratelli facevamo nel giardino, egli si metteva sempre primo. Ricordo ancora i pugni sonori che mi dava (2). »

Troppo lieta ed eroica fanciullezza a chi era destinato a trascinare una vita miserabile per tutti i versi. Quindi il suo grande amore e il sospirar continuo al passato.

Il piangere ancor bambino quando altri cede in cose d'onore, il mettersi sempre primo « nelle battaglie romane » sono istinti che mal si accordano con gli spiriti cauti e materialisti dominanti generalmente nel suo paese. Il disaccordo è troppo grave.

E come se questo disaccordo non bastasse fra se e la società, fra se e la famiglia, ne sorge un altro

(1) Wäre ich reich, er sollte in einem Monat über den Alpen sein, (2) Appendice all'Epistolario, ecc., per cura di P. VIANI, p. 33.

immenso fra il suo spirito e il suo corpo; e cielo e inferno si urtano in lui. Oramai ci è svelata l'origine de' primi suoi mali fisici. La natura come pentita d'avergli largito tanti doni, a un tratto se ne vendicò infrangendo quel vigoroso corpicino de' cui «< pugni sonori » sempre si ricordava il robusto Carlo. La provvida natura disfece brevissimamente quel corpo, lo colpi fra' sette e gli otto anni improvvisamente d'onanismo. Il povero Leopardi dunque, offeso nella prima fanciullezza da onanismo, questa è la più dolorosa novità recataci dall'Appendice all'Epistolario ed agli scritti giovanili di Giacomo Leopardi, per cura di Prospero Viani.

« Provò funestamente precoce la sensibilità della natura. Anticipò quattro o cinque anni l'età dello sviluppo. Indi, com'egli mi confessò poi, tutti i mali fisici della sua vita (1). »

Questi i pochi frammenti che ci restano sulla fanciullezza straordinaria di Giacomo Leopardi. Giovane e uomo, fu storico perfetto a se stesso nelle opere che ha lasciato.

Ma se i preti non avevano più nulla da insegnargli in latino e in greco, i germi d'educazione infusi nel fanciullo da loro e dalla famiglia dovevano por

(1) Appendice all'Epistolario, ecc., p. 33.

tar copiosi frutti. Come la natura aveva spezzato il suo corpo, cosi l'educazione domestica torse e annebbiò la sua anima. Giacomo Leopardi fino a vent'anni circa fu un reazionario e un pedante disperato. Vent'anni di fitte tenebre. Non sapeva pure d'esser poeta, perduto in studi d'erudizione senza gusto, senza intelligenza, ricercando le opere de' più infelici secoli. Il poeta in lui spuntò da ultimo, di sotto la cocolla del fraticello sopraccarico d'erudizione bieca, spuntò quando volse gli occhi fuori della casa paterna che era triste come un cenobio. Fu prima erudito monacalmente e retrogrado, da ultimo poeta ed interpetre delle cure più amare che afflissero mai un uomo. Fece il cammino contrario degli altri uomini. A mezzo della vita la quale per lui non giunse a quarant'anni, la sua forte e magnanima tempra reagi e vinse il male appiccatogli in casa, il poeta sorgendo vinse il fraticello erudito che gli aveva usurpato il seggio. Non è credibile, benchè si tratti di un fatto tanto storico e presente, di sotto a qual massa di studi torti e di fanatismo Leopardi nella seconda metà della sua vita pervenne a diseppellir se stesso.

Bisognava veramente essere un forte d'antica tempra per vincere in tanta lotta. L'educazione bieca avea talmente cancellato ogni vestigio della sua

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