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della vita eterna: che necessità dunque di cacciarsi nella perdizione del gran mondo?

E pure la curia aveva ben ragione di non fidarsi interamente di lui; la curia, amica dello scetticismo nascosto sotto una buona maschera di religione, nemica di tutti i veraci ed ardenti sentimenti. Il conte Monaldo faceva la solita falsa distinzione fra uomini e principii. Condannava altamente gli uomini, i preti, ma salvava i principii, come se non fossero di loro esclusiva invenzione e ben più condannevoli di qualunque vizio personale. Ma già da un uomo d'onore con piccolo e torto cervello non si può pretender altro. Come saggio della propria indipendenza e di ciò che sentiva de' preti, salvo sempre i principii, ecco come ne scriveva al figlio:

«Per quanto ho sentito, da Roma vi offrono una cattedra, ed una speranza di farvi vicepresidente dell'Università. Di quest' ultima cosa, che sarebbe pur qualche cosa più del volgare, non abbiate alcuna lusinga, perchè Roma dà solamente ai temerari e agli importuni. Credo che potrete contar sulla prima perchè piccola e perchè la temerità non basta a sostenerla.... Quanto a me, che sono stato sempre superbissimo della mia indipendenza e non ho bisogno di grandi città, sceglierei meglio una capanna, un libro e una cipolla in cima a un monte, che un

impiego subalterno a Roma, dove credo che tutti gli impieghi sappiano di staffieri, e quelli che li sastengono debbono essere gli umilissimi, adulantissimi servitori di tanti asini vestiti da abati, che incassando la testa in un collare rosso o pavonazzo, hanno acquistato l'infusione di tutte le scienze (1). »

Vacando un benefizio ecclesiastico di proposta di Monaldo e volendo proporvi Giacomo acciò vivesse più agiatamente, al rifiuto di costui risponde:

« Lodo la vostra risoluzione, e che non pensiate ad abbracciare lo stato ecclesiastico. Anche senza il collare si può esser santi, e S. Pietro apre le porte del paradiso anche senza la dimissione del vescovo (2). »

E pure, con tutta la bontà di cuore e la purità. delle intenzioni di questo vero gentiluomo, riusciva impossibile di viverci insieme. Il suo fanatismo religioso era così cieco, la sua fede alle più grossolane imposture così puerile, l'odio, non dico a' barattieri di libertà, che niente di più giusto, ma a' più nobili principii e sacrifizi per essa, era così vivace, che ognuno avrebbe anteposto l'inferno a quella casa. E dire che non gli poteva entrar in capo per

(1) Lettere scritte a G. Leopardi da' suoi parenti, ecc., p. 137. (2) Id. p. 155.

chè suo figlio lo fuggisse, suo figlio afflitto da una malattia non meno grave ma di contraria natura di quella del padre. Avesse almeno ritenuto modestamente in cuor suo le proprie opinioni! Ma no, voleva ad ogni costo convertire il figlio. Nessuno dei primi apostoli si adoperava alla conversione de' pagani con maggior ardore di Monaldo. Ora da lontano noi ne sorridiamo, ma a restare tutto il giorno esposti al fuoco incrociato di tali conversioni c'era di che veramente disperarsi..

Si aggiunga che Monaldo nel combattere le opinioni libere riesce d' una vivacità che nessuno mai si aspetterebbe da un gentiluomo cosi compito. Pare un cappuccino nel confutare i nemici della sua fede. In una lettera a Giacomo innanzi citata appioppa del birbone ad Alfieri che ben sapeva quanto era sacro al figlio.

Quando tutta l'Europa nel 1821 fu presa da una febbre d'entusiasmo, quasi simile a quella delle crociate, per la redenzione della Grecia, ed i cuori più magnanimi abbagliati dallo splendore dell'antica storia greca credevano possibile vederne riprodotti i miracoli d'arte e di scienza da' greci moderni, speranze fondate parimente invano su gl'italiani; un gentiluomo di Recanati abbandonando gli agi domestici accorse come tanti altri, come il nostro

Santarosa, a combattere sotto le bandiere greche, e vi trovò morte onorata. L'amore de' cattolici pe' Turchi non è di data recente; ed ecco in quali sensi Monaldo ne scrive al figlio che non lo aveva punto richiesto:

« Anche Recanati ha pagato il suo tributo di follia alla decadenza del secolo, e ha tinta col suo sangue la terra classica della Grecia. Alcuni mesi addietro il conte Andrea Broglio, lasciati i genitori e la moglie, dichiarò la guerra alla Mezzaluna e andò a fare il ciccobimbo in qualità di brigante volontario. Ebbe in guiderdone un titolo di maggiore e una razione quotidiana di polenta; ma alli 23 di maggio, assalendo Anatolico, una palla di cannone lo uccise sul campo.... Il povero padre, conte Saverio, è desolato, ma fra tanto cordoglio trova conforto in alcune lettere onorifiche scrittegli dalla Grecia, e segnatamente dal generale Church, al cui fianco quell' infelice mori. Probabilmente i Traiesi reclameranno quel prode per dritto di origine, quasichè nato in Recanati per accidente; e noi, cedendoglielo senza contrasto, segneremo ne' nostri fasti un pazzo di meno (1). »

(1) Lettere scritte a G. Leopardi da' suoi parenti, ecc., p. 260.

§ 4.

Chi crederebbe che un uomo ordinariamente così gentile e la cui nobile stirpe risale almeno fino al secolo XIII, potesse riuscire così sguaiato parlando d'una vita sacrificata con tanto disinteresse, se bene per una causa ingiusta secondo il suo modo di vedere? Il padre amorevole poteva render sopportabile un uomo che faceva pompa di tali massime e in forma tale? Egli non sapeva che il conte Giacomo Leopardi, se di persona valido, non avrebbe aspettato l'esempio del conte Andrea Broglio per correre in difesa della Grecia. In fatti, prendendo occasione da una traduzione di Gemisto Pletone, innalza un vero inno alla Grecia non privo di esagerazione, perchè non è vero che la Grecia fu in tutto superiore alle altre razze ariane, ma una delle più brillanti. Due altre l'hanno sorpassata in alcuni punti: la Persiana nell'idea del divino troppo umanizzato in Grecia, e l'Indiana con quella sua letteratura si vasta e grandiosa, la letteratura della metafisica e della morale per eccellenza.

« Per ispazio di 24 secoli, senza alcun intervallo, fu nella civiltà e nelle lettere il più del tempo sovrana

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