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LIBRO IV.

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Stanziava tanziava Arrigo di Abbate in Catanzaro a regger le cose della Calabria, per disposizione del supremo duce Blasco di Alagona, mentre trovavasi questi col grosso del regio esercito in Terra di Otranto, sulle tracce del nemico. Or in una bella sera di maggio passeggiando egli fuori della città al chiar di luna, se gli appresso con riserva un incognito, e dissegli familiar son io del conte Pietro Ruffo, e consegnar vi debbo una lettera dell'Ammiraglio, e prenderne la risposta. Se non che vi prego per la nota cortesia vostra di non palesar il mio mandato a chicchesia. La quale ist anza non meno che il luogo, e l'ora della consegna del foglio destaron gran sospetto nell'animo di Arrigo; per lo che tornato ratto a casa apre la lettera, e vi legge le poche seguenti parole: Federigo, aggirato da vili calunniatori, ha fatto vuotar di viveri, e d'arme le mie terre. I miei nemici osan confondermi con Gualtieri da Caltagirona, ed Alaymo da Lentino, senza ram

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mentar che sotto la scure, o precipitati in mare perano i traditori; ma che sol colle armi in pugno cade l'Ammiraglio, Se tu, o giovane prode, non vuoi esporti a simile ricompensa, segui l'esempio che tra poco daratti il tuo Ruggier di Lauria. Ed impallidisce Arrigo a questa lettera, e tutto comprende l'abisso che sotto i suvi piedi, e quelli del suo popolo iva scavando il debole monarca. Pensa quindi al riparo, e senza rispondere al foglio del Lauria, con sollecito mezzo il comunica a Blasco, e la permission domandagli di affidar il reggimento della Calabria ad Arnaldo da Poucio, e di recarsi egli stesso in Palermo, per calmar, s'era ancor tempo, Federigo verso Ruggieri, e conservar alla Sicilia questo suo forte propugnacolo. E Blasco, che di cuore amava il suo re, e la sua patria novella, e non era punto agitato da invide passioni, anzichè rallegrarsi dell' allontanamanto del Lauria, che rica. der farebbe in lui la somma delle cose, non solo approvò l'audata di Arrigo, ma l'accompagnò con una sua lettera al Re, in cui pingevagli coi più forti colori il danno immenso che avrebbe arrecato alla causa sua la perdita dell' Ammiraglio.

Munitosi dunque di questo potente appoggio, e confidando nella sua coscienza leale, parti il generoso giovane per Palermo; e da Messina in vece della strada di Patti, prese quella di Taormina, movendo verso Castiglione, ove Giovanni di Lauria, nipote di Ruggieri, erasi rinchiuso con numerosa brigata, ed impedito avea ai regali messi di spogliar questa forte terra di viveri e d'armi, com' crasi praticato negli

altri feudi dello zio. Il qual Giovanni accolse affettuosamente Arrigo, perciocchè pur sapeva quanto pregiavalo l'Ammiraglio; e men dalla curiosità mosso, che dall' ira, in vece d'interrogarlo, come era naturale, sullo scopo della sua venuta, con lui disfogossi in violente querele contra Federigo, e contra il malvagio che avea tanto eccitato il regal animo a danno di Ruggieri. Ma Arrigo lo interruppe col dirgli: contribuisci meco, o cavalier saggio, a salvar le cose della Patria, e del Re, e la fama dello stesso tuo zio. Scrivi a lui sollecito che io volo alla corte a difender le sua causa, e che confidomi pel buon esito di questa nella giustizia regale, e nell'amor per me di Federigo. Scrivigli che seguisse i dettami della prudenza, e dell' onore, anzichè quelli di un risentimento, comunque giusto ; e che non si precipitasse in un passo irretrattabile, pel quale scapiterebbe assai il suo chiaro nome, sempre turpe essendo una diffulta, per quanto potente ne appaja il motivo. Commosso allora Giovanni dalla generosità del suo ospite, cortesemente a lui rispose: ben pensi, e ben opri, o nobil figlio di Palmieri di Abbate; e sarà tosto informato l'Ammiraglio delle amorevoli tue cure. Ma non isperar ch'egli sia per tornar nell'Isola senza forti guarentigie. E se questa ingruta terra ei dovesse del tutto abbandonare, non aver perciò meno in pregio quel vaso di ogni valore: che quando non la perfidia, ma la necessità ci porta a cangiar vessillo, nulla a noi stessi dobbiam rimproverare. E se fedeli essendo, pur la malevolenza ci grida ostinata infedeli, nè ci dù campo veruno di scolparci, an

zichè porci allora a mani giunte in balia dei nemici nostri, e perder miseramente la fama colla vita, meglio è a qualunque costo salvar la vita, che agevol poi ci si rende il salvar anche la fama.

Accomiatossi, dopo questo colloquio, Arrigo dal Lauria, ed affrettando il passo, giunse ben presto in Palermo; nè andò in sua casa a riposarsi, ma in abito viatorio, com' era, presentossi al Re. Il qual vedendolo a sè d'innanzi in quella forma, e sorpreso che lasciato avesse senza suo ordine lɔ affidatogli reggimento, alcun sinistro temette della Calabria. Ma umilmente Arrigo trattolo in disparte, e rassicuratolo su quel suo timore, favelló a lui in cotal guisa. Voi conoscete, o illustre re, di quanto affetto io animato sia per voi, e per la patria. Or la patria, e voi stesso minaccia grave pericolo, se non chiudete l'orecchio a perfide sugge stioni, e non ridonate la vostra intera fiducia all'Ammiraglio. Egli è offeso, ed è irascibile; egli trovasi in mezzo ai nemici vostri. Conservate quindi in lui il più saldo vostro sostegno, e permettetemi che io lo assicuri della caduta dei suoi calunniatori, e del pieno riacquisto della vostra grazia. Terminate le quali parole ei consegnò il foglio di Blasco, che fu letto rapidissimamente da Federigo. E quantunque, per quella boria inseparabile dal supremo grado, il Re si adira; se da prima alle parole di Arrigo, ed ai consigli dell'Alagona, pur ne ravvisò ben presto la lealtà, e la forza. Meditava egli dunque nel partito da prendere, ed indicavano i suoi occhi che il più saggio forse avrebbe trionfato; quando gli annunziò uno scudiero che Gual

tieri di Scordia aveva a comunicargli una importante novella. Ed al malaugurato nome altamente turbossi Arrigo, che un giusto presentimento sospettar gli fece di qual cosa trattavasi. Sopraggiunse in fatti Gualtieri, e con un affettato smarrimento, che mal velava la sua infame gioja, siguificato avendo al Re la diffalta di Ruggieri, e la sua nomina ad ammiraglio dell' aragonese, e dell' angioina armata, segui quel sinistro annunzio un silenzio funesto, che il furore di Federigo, il dolore, e la confusione di Arrigo, e la soddisfazione del Catanese pur apertamente manifestava. Senonchè rompendo il Re, dopo alcuni momenti, quel tristo silenzio con più triste voci, chiamar fece il cancelliere del Regno Vinciguerra da Palizzi, il quale, in assenza del Procida, esercitava le funzioni di mastro giustiziere, e comandogli che fosse dapertutto proclamato nemico pubblico Ruggieri di Lauria, che venisse spogliato delle sue dignità, e dei suoi beni, e che lo stesso si praticasse contra Giovanni suo nipote, già rendutosi ribelle del trono coll'opporsi in Castiglione all'esecuzione degli ordini regali. Guatando poi con severità Arrigo, gli prescrisse di tornar tosto nella Calabria, e di non più partirne senza un suo cenno; ed aggiunse nel licenziarlo tali pungenti parole: tempo è che i fedeli dai felloni si scostino! Federigo nou dismenta l'amicizia; ma di essere re nepppur dismenta. Sappiano ciò Arrigo di Abbate, e Blasco di Alagona !

Dopo questa dolorosa scena afflitto e taciturno entra il giovane egregio nel paterno tetto, e gettatosi tra le braccia del suo genitore, tutto l'avvenuto a

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