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(1) Manfredi Maletta, conte di Mineo, e camerario del regno, vieu qualificato dagli scrittori sincroni zio materno avunculus del Re Manfredi. In un lavoro storico dell' Autor di questa opera provasi con solidi argomenti, che dovea esser colui fratel minore non della madre, ma dell' avola materna di quel re, maritata in prime nozze con un conte Lancia, ed in seconde con Bonifazio Guttuario, signor di Anglano nel Piemonte, padre della vezzosa Bianca, che fu la concubina, e poi la moglie di Federigo imperadore, e dalla qual nacque Manfredi. Secondo gli stessi scrittori il conte Camerario dopo essere stato un dei primi a fuggire nella battaglia di Benevento, ed a sottomettersi al vincitore, alla venuta di Corradino passò di nuovo alla parte sveva, e dopo la sconfitta di Tagliacozzo salvossi in Aragona dipresso alla regina Costanza sua nipote. Accaduto poi il vespro, venne cogli Aragonesi in Sicilia, ove dopo trentatrè anni di onori, e di potenza, nuovamente disonorossi col cangiar vessillo, e tutto ciò non

per malvagità di animo, ma per paura, per quella maledetta paura alle misere regioni nostre perennemente funesta. Della qual sciagurata disposiziʊn di animo di codesto conte trovasi in Bartolommeo da Neocastro la seguente prova. Poco dopo che Iacopo, morto Re Pietro, divenne re di Sicilia, dice questo storico col suo ingenuo latino: cum jam pervenisset apud Jacium, quod distat a Catania per milliaria sex, obviavit comiti Camerario, qui ad eum veniebat; cumque jam essent ultra Jacium, viderunt galeas hostium velificantes versus Cataniam, a cujus porta distabant fere per milliaria duo, et statim Comes ait: domine Rex quid est agendum? Respondit Rex dicens: quod adeamus Cataniam. Dicit Comes: Domine socios paucos habetis, et si hostes, ut sperant, Cataniam habeant, omnia sub pericolo sunt; et propterea tutius esset tutiorem locum, vel in Messanam redeamus. Dicit Rex: absit quod Filius Regis timore hostium redeat; qui me diligit me sequatur, et non negabit usque ad mortem; qui autem in bello mecum esse timuerit, recedat, et extra me sit. Ast ille dixit: Domine cum non sim felix in armis, fortuna mea non est tecum. Avus enim tuus, et postea Rex Boemiæ, et quidam alii cum me voluissent habere in proeliis, mortui sunt, cum eos evitare voluerim, nec permiserunt: sine ergo, ait, ad dominam Reginam adeam, et ad comitivam aliarum dominarum, cum solæ sint, pro consolationibus earumdem, quia cum alii bella gerunt, delicata Comes aget ministeria. Tanta era dunque in costui la paura, che per sottrarsi al pericolo proclamavasi egli stesso

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apportator di sciagure, e di morte, e quel che il nostro volgo direbbe un formidabile jettatore.

Murat. Script. tom. XIII, 1129, 1130.

(2) Un tal atto, se non fosse esattamente storico, mal sarebbesi dall'autore immaginato, perchè poco conveniente alla nota magnanimità di Blasco di Alagona. Ove voglia peraltro considerarsi che l' atroce regicidio del 1268 avea dovuto altamente irritar gli animi di tutt'i buoni, e che la vendetta credevasi in quei tempi un sagro dover di fede, e di amicizia, non sembrerà forse strano che un cavalier leale, qual cra Blasco nel vedersi in mano un nipote del carnefice di Corradino, pensasse col sangue del suo captivo di vendicarne il sangue.

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(3) Pietro di Salvacoxa era procentino dell' Isola di Ischia, nome che additava il preside delle centene, ossia di quelle riunioni di cento famiglie, nelle quali era ripartita ciascuna contea, il conte in somma. Dopo la naval battaglia vinta nel 1284 da Ruggier di Lauria alla vista di Napoli, e che lasciò padroni del mare gli Aragonesi di Sicilia, Pietro di Salvacoxa alzò colla sua contea d'Ischia lo stendardo di quella parte, e la segui, come si è veduto, fino alla sconfitta di Capo Orlando, cioè fino al 1299, tempo in cui ritornò alla parte angioina, rimettendo la sua isola sotto il dominio del secondo Carlo.

(4) Mimus quidam, quem vulgo militem silvestrem dicunt, magna voce clamavit, illuc esse Blascum de Alagona, son le parole di Niccolò Speciale. Ed avveguachè nella edizione del Muratori trovisi minus, pure

la correzion di mimus fatta nella edizione palermitana del 1791 è incontrastabile, leggendosi nel du Cange all' articolo mimus, che un tal nome sovente davasi al trombettier nel medio evo. Perchè poi fosse questi volgarmente chiamato miles silvestris, come afferma lo stesso storico, non v' ha cenno alcuno nel lessico del dotto Francese. Il Gregorio sospetta, e forse a ragione, che ciò si dicesse per celia, ed in grazia dei segnali che il trombettier dava nelle cacce de' grandi.

(5) Niccolò Speciale null' altro dice intorno alla morte di Palmieri di Abbate, se non che furono a lui fatte magnifiche esequie dal nemico. Ma siccome Ruggier di Lauria era un suo antico compagno d'armi, ed era onnipotente presso i due principi angioini, e siccome d'altro lato non potrebbesi supporre in costoro tanta generosità verso un dei principali autori della sommossa sicula, così parmi più che verosimile di essere stato l'Ammiraglio solo autor delli onori renduti alle mortali spoglie di quel grau Siciliano. Questo episodio, del resto, non meno che l'altro del II. libro intorno al soggetto medesimo non li credo sconvenienti allo scopo di questa mia opera, nè discari ai generosi italiani, per ciò che ben dicea quel valentuomo del Foscolo :

A egregie cose il forte animo accendono
L'urne de' forti

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Chè ove speme di gloria agli animosi
Intelletti rifulga, ed all' Italia,

Quindi trarrem gli auspicii

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LIBRO VI.

Tacito

acito e pensoso il figliuol del morto Palmieri partito essendo da Catania per ritornare a Palermo, avea di poco oltrepassato Centorbi, quando mirò da lungi un vecchio che parea tutto intento a raccogliere l'erbe del campo. E giuntogli di presso, grande fu la sua sorpresa, e maggior la sua gioja nel riveder padre Jeronimo, il venerando eremita dell' Etna, e credette che il Cielo lo avesse forse colà condotto per versar qualche balsamo di consolazione sulla sua piaga. Scavalcato perciò d'un tratto, mosse alla volta del santo vecchio, gli baciò le mani con amore, nel narrargli la sua sciagura, le bagnò di copiosissime lagrime. O frate, dissegli allor dolcemente le. ronimo, non è felicità sulla terra. Luogo espiatorio si è questo, e coloro che Iddio più per se vuole, più mette a difficil prova nella valle di lagrime, Dà posa dunque al dolore, chè manto di luce già copre il padre tuo, e mal tu chiami estinto chi ora sol

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