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nunziatore della feral sentenza, cadde svenuta la misera Anna nel sen del genitore, e la figliuola ai piedi di lei entro un mare di pianto. Se non che rianimatasi indi a poco coll'ajuto di spiritose essenze, vide Anna in man del padre una lettera del marito, e domandatagliela immantinente, vi lesse singhiozzando tali magnanime parole. Io sono condannato, o mia dolce amica, e come l' augusto Corradino, come il fedel Capece, moro di nobil morte, moro su quel patibolo, che nei nostri infausti tempi ai soli giusti vien serbato. Nè perciò mi lagno della bontà celeste; che se la virtù ottenesse sempre il meritato compenso, gli uomini più volgari e più turpi seguirebbero le sue tracce, e niun limite separerebbe la tenebria loro dalla luce degli onesti, niun limite separerebbe dai suoi persecutori Arrigo di Abbate. Tu, affettuosa donna, nel legger questo foglio sfoga pure il tuo dolore, piangi il destino del tuo Arrigo; ma non pregar punto per la vita sua; in nome del lungo amor nostro te ne scongiuro, e coll' autorità di consorte tel comando ; che non van prolungati con vili mezzi i giorni del prode, nè debbe chinarsi davanti ad ignobil trono la nobil moglie di Arrigo di Abbate. Aggiungi alle innumerevoli prove di affetto, che finor mi hai date, aggiungi, o mia diletta, quest'ultima che ti chieg go ora, e con un si gran sacrifizio al nome del tun sposo, mostrati la degna prole di Vinciguerra da Palizzi. A questo venerabil tus genitore la mia Margherita, or povera e priva della fortuna paterna, ed a te pure io raccomando, a te che per lei dei

serbarti ad un disperato avvenire. Crescila alla virtù, al Cielo, e fa, che non sorga degenere dai suoi illustri antenati. Addolcirà il tuo dolore la sua pre ́senza, e meno acerba renderatti la perdita del tuo Arrigo. Vana però sarebbe stata la preghiera, vano il comando; il conjugale amore vinceva tutto, la speranza di salvare un adorato consorte superava in Anna ogni idea di decoro, e di magnanimità; e già dimandava essa le vesti a bruno per se, e per la figlia, affin di recarsi in tale lugubre abito ai regali piedi; se Vinciguerra, che assorto finora erasi rimasto in una cupa meditazione, non le avesse detto risoluto obbedisci al conjugal cenno, questo solo or conviensi ulla sposa di Arrigo, alla mia figliuola: spera Ne altro aggiunse; ma raccomandata Anna alle sue donzelle, esci ratto collo scudiero dalla magion di Abbate.

Sorto era intanto il vegnente giorno, ed appressandosi l'ora del supplizio, un forte drappello di Catalani, introdotti in città, frenava a stento l' infuriato popolo, che il suo liberatore ad ogni costo voleva salvo. Entrano gli sgherri per menare il prigioniero alla morte, entrano i sacerdoti per confortarlo, e vedono spalancate, e senza custodia le porte del carcere, e spandesi tosto per Palermo la nuova che non più trovavasi Arrigo di Abbate. Nè ciò crede la moltitudine; ma il reputa segretamente ucciso, e raddoppia quindi i suoi sforzi, disarma i Catalani, penetra pel castello, e niun vestigio rinvien dell' amato Eroe, nè di alcuna violenza che se gli fosse fatta. Or campò

lui dalla imminente morte visibile, o invisibil destra? Il potente suocero, o il re stesso, memore del voto fatto in Capo Orlando, il salvaron dalle mani del carnefice; o pur non volle Iddio lo strazio, ed il ludibrio del giusto, ed anzi ora il trasse alle beate sedi? Nelle dicerie cagionate dallo strano avvenimento chi l'una cosa sostenea, chi l'altra; ma fu questo un arcano che non mai disvelò il tempo. Gran desiderio però quel Magnanimo lasciò di lui, e 'l suo sempre nella Sicilia venerato e sagro.

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FINE

(1) Delle battaglie navali di Capo Orlando, e di Ponza, e delle terrestri di Falconaria, e di Gagliano, non meno che dei prodi che vi si distinsero, si è abbastanza detto nei passati libri. Minuccio di Arezzo celeberrimo cantore, e suonatore di viuola, era in Palermo ben veduto dal re Pietro, se dobbiam credere al Boccaccio nella novella VII della decima giornata. È probabile che tre lustri di più nulla avesser fatto perder a Minuccio dei suoi musicali pregi, e che al tempo di cui qui si parla, fosse anche più festeggiato da Federigo, pianta assai minor del suo seme, come

ben diceva Dante.

(2) Asti, città libera italiana del medio evo, rifulse di chiara luce per senno, e per armi. Avversa ai disegni tirannici di Carlo di Angiò sull' alta Italia, quella città con vigor sostenne il marchese di Monferrato Guglielmo detto Spadalunga, contra le milizie, e le pratiche dell' Angioino; e pagar fece poi al Mar

chese medesimo il fio della sua ingratitudine verso di essa. Or tra i suoi magnanimi abitanti di quel tempo fu Guglielmo Ventura, autor di una pregiatissima e veridica cronaca astigiana, riferita dal Muratori al tom. XI degli scrittori delle cose italiche. E siccome alla fine di questa cronaca leggesi il testamento dello stesso Ventura, ove trovansi in bella lega accoppiate probità, prudenza, religione, e filosofia, così credo pregio dell' opera di trascriverlo nella presente nota. Perduta quindi la sua libertà sotto li artigli di un potente vicino, non fu quel suolo men ferace nei secoli posteriori di alti e generosi ingegni; e basti il dire che i Sofocle italiano, l'autor della Virginia e del Filippo, Vittorio Alfieri in somma, Asti. Ma riferiamo il memorabil testamento.

nacque in

Ego Guilielmus, cum essem annorum LX (an. 1319), ignorans finem meum, et nolens intestatus decedere domi, natis meis infrascripta mandata dedi, dum viverem, functus mentis et corporis sanitate, et eisdem præcepi ut cunctis diebus suis in eorum fixa sint cordibus,

Primum, ut Dominum meum timeant, et præceptis eius obediant, et ultra illum alium timere non debeant, qui potest et corpus et animam perdere in Gehennam, sicut scriptum est in Luca. Matri eorum honorem conferant, et cunctis diebus serviant ei. Memores sint, quanta passa est in utero propter eos et multa mala in eos nutriendo sustinet tota die. Scriptum est enim in Exodo: Honora patrem tuum, et matrem

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