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habet et Chlamydem. et post faciem duo capita crinita et redimita coronis. Est etiam ibidem vacca figura erecta dentibus dextrum humerum ejus mordens; superscriptionem vero habet talem.... (1).

CAPO XXII.

Della morte di Papa Clemente V.

Di troppa superbia tentati sarebbero i gran Signori, se in privilegio della lor maestà immuni fossero e franchi dalle sozze passioni; poichè allora gloriar si potrebbero veracemente: Nos non sumus sicut ceteri hominum: ma che impastati della medesima creta degli altri mortali, quai vasi fragili possano essi pure dalla violenza dell' onde di Babilonia essere angustiati ed infranti, il dimostra la Storia; più di frequente, a dir vero, ne' Principi secolari, perchè forse a tal fiumana più esposti, che negli Ecclesiastici, i quali vallati sono e difesi da molti e molto forti ripari. Chi si gloria, dice l'Apostolo, glorisi egli nel Signore; e chi sta ritto, tema egli, e guardisi di non cadere. Che maraviglia dunque può farsene, o qual ribrezzo può averne, chi non sia troppo scarso di senno, perchè io ripeta quì di Clemente ciò che negli Scrittori

(1) A tanto male detto contro Bonifazio VIII. bisogna per ragion di giustizia soggiugnere ciò che ne scrive il Muratori, Rer. Italic. T. IX. in una nota, pag. 741. 742. Quam multa in hunc Pontificem conficta fuerint, neminem latet: hujusmodi calumniarum solutiones vide apud Odoricum Raynaldum in ejus vita, & plures alios sanioris crisis Scriptores.

già divulgati può legger ognuno che voglia? Ma senza di tali storie non si può assolver Dante, nè condannarlo per ciò ch' egli scrisse di questi Pontefici, nè si può nè anche spiegarlo. Niccolò degli Orsini, Inf. XIX. 79. e segg., profetizza dicendo, che più tempo s'era cotto egli i piedi così capovolto, di quello che avesse a cuocersegli Bonifazio; e soggiugne:

Che dopo lui verrà di più laid' opra

Di ver Ponente un pastor senza legge,

...

Tal che convien, che lui, e me ricuopra. Questi versi il P. Lombardi nel suo nuovo Comento li salta, o non dice cosa che sia d'importanza. Il P. Venturi mi par dica troppo, chiamando (1) scellerate le azioni di Clemente V. ch'è 'l personaggio, di cui quì si parla: e troppo più il Vellutello, che appella lui sceleratissimo oltre a tutti gli altri Pontefici di que' tempi; poichè quel che sia propriamente di scelleraggini, il detto Papa, che sappiasi, non ne ha commesso. Con tutto ciò per loro non si dispiega, che s'abbia voluto il Poeta, dicendolo di più laid' opra, e pastor senza legge. Trascorse egli forse in più ambizione, in più nepotismo, in più avarizia, o in più grave simonia di Niccolò e Bonifazio? E per l'altra parte,

(1) V'ha molta differenza tra peccato, flagizio, e scelleraggine. Tutti siamo già peccatori; ma pochi sono i flagiziosi, e più pochi gli scellerati. (Ter. Adelph. 1. 2.) Non est flagitium ... adolescentulum scortari: ma sebbene la semplice fornicazione non sia flagizio, è però peccato, ed era anche presso i Gentili. L'adulterio, lo stupro, l'incesto, la sodomia, la bestialità, il sacrilegio carnale, sono flagizj, ma non sono scelleraggini, se non sieno da fierezza e crudeltà accompagnati, o da orribili circostanze, qual fu l'inaudito insigne flagizio del Duca Valentino, nipote d'Alessandro VI.

fu egli per avventura cotanto trasgressor della legge, e conculcatore di quella, ch'egli singolarmente potesse dirsene privo? Scioglierannosi ambedue le questioni col veder ciò che scrive il Villani (1), come segue.

» Nell'anno 1314. a di 20 d'Aprile morì Papa Clemente.... Questi fu huomo molto cupido di moneta et, simo- . niaco, che ogni beneficio per moneta in sua Corte si vedea. . . . et palese si dicea, che tenea per amica la Contessa di Palagorgo, bellissima donna, figliuola del Conte di Fos. E lasciò i suoi nipoti, et suo lignaggio con grandissimo, et innumerabile tesoro .... .. Morto lui, et lasciatolo la notte in una Chiesa con grande luminaria, s'accese il fuoco, et arse la cassa, ov'era il corpo, e 'l corpo suo dalla cintola in giuso ».

Può quindi vedere lo studioso lettore ed intendere, questo Pontefice essere stato di più laid' opra, perchè oltre le trasgressioni a Niccolò e Bonifazio comuni, fu egli qual lo descrive poscia il Villani nel luogo citato. Perciò anche pastor senza legge, il chiama Dante, Inf. XIX 83. A ciò s'aggiunga, ch'egli fu il primo, che per Avignone abbandonò la residenza Romana, la quale da molti era creduta di giure divino; e di tale sentenza fu Dante Inf. II. 20. e segg. là dove disse; che l'alma Roma, a voler dir (2) lo vero, fu nel cielo altissimo stabilita

(1) Stor. 1. 9. c. 58. Mur. Rer. Ital. T. XIII.

(2) Accenna, dice il P. M. Lombardi nelle recenti sue glose sulla divina Commedia, che lo spirito Ghibellinesco tentavalo a tacere la verità. E qual verità? Che Roma, cioè, fosse da Dio eletta e stabilita per la sede de' Sommi Pontefici.

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per lo loco santo,

U'siede il successor (1) del maggior Piero. Laonde raccogliendo le cose in uno, si può conchiudere,

A riparar il Poeta da questa beffa Romana, s'avverta che Roma (in senso di Dante) fu stabilita da Dio a nostri supremi Pastori ad sedendum, non ad possidendum. S'avverta ancora, che quantunque la Visione della Commedia se la finga Dante nel 1300, quand'egli la scrisse, o limolla, fu in tempo che 'l Papa risiedeva in Avignone: la qual cosa dispiaceva a'buoni, che'l S. Padre avesse abbandonata la Sede sua; e sparlandone molti, ella era scusata e difesa da'Curiali e partigiani, i quali dicevano, che dov'è il Papa, ivi è Roma, e che non era de jure la residenza Romana: contro de' quali, e in favor di quelli che non sapevano, o non ardivano contraddire, Dante decide la questione, affermando che Roma fu fissata da Dio per sede del supremo Pastore; e, per conseguenza, che questi era tenuto a sedervi. Tant'è poi da lungi, che Dante, come Ghibellino, dicesse malvolentieri l'appostolica cattedra essere in Roma, che anzi egli premeva su questo punto creduto da lui d'importanza; sicchè nella lettera ch'egli scrisse a' Cardinali Italiani, vacante la S. Sede per la morte di Clemente V., gli esorta a maneggiarsi per la sposa di Cristo, per la sede della sposa, ch'è Roma: : pro sponsa Christi, pro sede sponsæ, quæ Roma est; a fine, cioè, che sia eletto Papa, che risieda nella cattedra di S. Pietro, nella santa Città, la quale ei deplora orbata dell'uno e dell'altro suo lume, del Papa, cioè, e dell'Imperadore, nunc utroque lumine destitutam. Le parole adunque, a voler dir lo vero, come hanno ad intendersi? Eccolo: quando si voglia con franchezza dire in faccia del pubblico la verità. In Gio: Villani, l. XI c. 23. si vede quanto costasse ad un Frate (*) l'aver predicato; che non era niuno degno Papa, se non istesse a Roma alla sedia di san Piero.

(1) Del maggior, cioè del primo; essendo ogni Papa, in potestà, un altro Piero. Diversamente il P. Lombardi, che spiega detto del maggior Piero, a distinzione degli altri Santi del medesimo nome: ma Dante non mirò così basso.

(*) Fu questi Frate Venturino da Bergamo si li diede (Pap. Clem. v.) confini a dimorare a una terra chiamata Frasaccha, nelle montagne di Ricondona, et comandolli, che non confessasse persona, nè predicasse al popolo.

che'l detto Papa avendo ciò aggiunto al resto, fu di più ·laid' opra de due Pontefici soprascritti; e perchè violò la legge divina, e non sedette nella Santa Sede di Roma, egli fu un pastor senza legge.

CAPO XXIII.

Di Papa Giovanni XXII.

Ancor per poco trattener mi conviene chi legge su di questo spinoso soggetto, cioè dell'avarizia de' Pontefici dal Poeta nostro vituperati nella sua Commedia; rimanendomi solo Giovanni XXII., il successor di Clemente, di cui abbiamo testè narrata la morte. Terminiamo in buon punto colla medesima storia (1).

» Nel detto anno (1334.) a dì 4. di Dicembre morì Papa Giovanni XXII. appo la Città di Vignone in Proenza, dove era la Corte, d'infermità di flusso, che tutto il suo corpo si risolvette: e per quello che si sapesse morío convenevolmente assai ben disposto appo Iddio... (2) » E nota che dopo la sua morte, si trovò nel tesoro della Chiesa in Avignone in moneta d'oro coniata il valere e computo di 18. milioni di Fiorini d'oro, e più. E in vasellamenti, croci, corone, e mitrie, e altri gioelli d'oro con pietre pretiose, la stima (3) di largo di valuta di 7. milioni di fiorini d'oro. Sì che in tutto fu il tesoro di valuta di più

(r) L. XI. c. 19.

(2) C. 20.

(3) Vuol dir, a grossa stima, a buon prezzo; sicchè quelle gioje valevan di più di 7. milioni di gigli d'oro.

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