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Parea, che di quel bulicame uscisse.

V. 121. Poi vidi genti, che di fuor del rio

Tenean la testa, ed ancor tutto'l casso....

v. 124. Così a più a più si facea basso

Quel sangue sì, che copría pur li piedi.... Riferendo questo tormento di sommersione di diversi gradi, pose Dante il sommergimento de' peccatori nel lago del sangue, che Alberico posto avea nella ghiacciaja; diversità, che nulla toglie al parallelo, che andiamo facendo; tanto più, che il lago del sangue è, come abbiamo veduto, un' immagine anch'essa di Alberico; e questa del sommergimento del ghiaccio non ha tralasciato Dante di addottarla nel C. XXXII. 33. dov'è quel pezzo sorprendente del Conte Ugolino.

Lo stesso Monsig. Bottari, che sapea vedere, vide pure una grande corrispondenza d'idee tra i due seguenti testi di Dante, e del nostro estatico pargoletto, Inf. C. XIII. 1.

Non era ancor di là Nesso arrivato,

Quando noi ci mettemmo per un bosco,
Che da nessun sentiero era segnato:
Non fronde verdi, ma di color fosco,

Non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti,

Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
Non han si aspri sterpi, nè sì folti....

Così Dante sentite ora Alberico al cap. IV. della sua Visione: Inde aliam vallem terribilem deveni plenam subtilissimis arboribus in modum astarum. ... quarum capita, ac si sudes, acutissima erant, et spinosa..

Riportate queste ultime due conformità del Poema colla Visione (le quali, unite a quella del tentativo fatto dai Diavoli per ghermire Alberico e Dante, sono i soli esempj notati espressamente da Monsig. Bottari ) conchiude egli colle seguenti parole » essendo Dante certamente di età posteriore ad Alberico, fa di mestieri il dire, o che amendue si sieno incontrati a concepire li medesimi pensieri, o che Dante, avendo letta questa Visione, da essa abbia tratte alcune delle sue tante finzioni, e l'idea tutta di questi tre regni ».

Troppi però sono, come vi ho fatto vedere, i pensieri somiglianti di Dante e di Alberico, onde poter dire che semplicemente fortuito sia di lor due l'incontro, ed ho anzi da farvi notare altre cose dell'identità delle idee fra di esso loro, onde vieppiù rimanga avvalorata l'opinione, che l'idea tutta dei tre regni Dante l'abbia tratta realmente dalla Visione di Alberico.

...

Osservate come Alberico vede il passaggio di un'anima purgante dal luogo delle pene in quello di delizie, e come ne lo dipinga. Descritta nel cap. XIX. la pena superata da detta anima, soggiunge di lei nel capo seguente: in campum transit amænissimum ipse vero campus splendidus, suavis, et decorus... plenus est enim omni jucunditate, et odoramentorum omnium redolet fragrantia... in hujusmodi medio Paradisus est. Le tracce di Alberico segue Dante nel C. XXVII. 134. del Purgatorio, e veduto l' ultimo tormento delle anime purganti, fa succedere il passaggio di esse in un amenissimo campo, che prima gli mostrava Virgilio in distanza, dicendo:

Vedi l'erbetta, i fiori, e gli arbuscelli,
Che quella terra sol da sè produce ....

e poscia nel C. seg. XXVIII. 1. entrandovi dentro il Poe

ta fa una vaga descrizione di una deliziosa campagna, dove trova Matelda, che canta e coglie fiori:

Vago già di cercar dentro e d'intorno

La divina foresta spessa e viva,

Ch' agli occhi temperava il nuovo giorno,
Senza più aspettar lasciai la riva,
Prendendo la campagna lento lento

Su per lo suol, che d'ogni parte oliva.

Qui, come vedete, Alberico e Dante camminano assai d'accordo, rappresentandoci una terra deliziosa, e soaveolente, nella quale passano, secondo essi, a deliziarsi le anime purgate prima di entrar nel Paradiso terrestre, che ambo e due pongono in mezzo di quella campagna. Non può a meno, che idee così simili non le abbia l'uno prese dall' altro.

Sentite ora un racconto di Alberico dei discorsi avuti in Paradiso con S. Pietro, e confrontatelo con quello, ch'ebbe Dante in Paradiso parimente, e con S. Pietro: Beatus Petrus, dice il primo, multa locutus est mihi... de hominibus etiam adhuc in sæculo viventibus; plura peccata innotuit mihi, præcepitque, ut ea, quæ de illis audieram, eis referrem. Richiamate i bei racconti, che fa Dante nel C. XXVII. 64. del Paradiso, dove introduce S. Pietro, che gli dice molte più cose, che forse non disse Alberico, perchè, credo io, era troppo ragazzo, e Dante aveva la barba da alzare; e, riferiti gli sfoghi di S. Pietro contro i peccatori del suo fa che gli comandi di palesarli al suo ritorno in terra: E tu figliuol, che per lo mortal pondo

tempo,

Ancor giù tornerai, apri la bocca,
E non asconder quel, ch'io non ascondo.

Si può egli qui non vedere che Dante prese per iscor

ta del suo viaggio fantastico il nostro Alberico, e che dell' autorità sua intese anche di coprirsi per inveire contro certi peccatori del suo tempo? Io per me credo, che gli amatori di Dante tanto più volentieri si uniformeranno a questo sentimento, quanto l'esemplare, avuto sott' occhio dal Poeta, è più atto a purgarlo dall'accusa, che se gli dà di satirico e mordace; potendosi dire che Dante prestando fede alla Visione di Alberico si credette autorizzato a poter ridire poeticamente quelle cose, in sostanza le medesime, che S. Pietro realmente avea ordinato ad Alberico di palesare.

E giacchè siamo entrati con Alberico in Paradiso, e con Dante, non si deve tralasciare, che ambo e due vadan del pari, e faccian la stessa strada. Alberico tirato su dalla sua Colomba, e Dante dalla sua Bice, ambo e due fanno la prima fermata nel cielo della Luna, e poi di mano in mano sono trasportati ascendendo per gli altri cieli dei pianeti superiori, fino a quello di Saturno, da dove sono poi elevati all' Empireo a mirare intorno al trono di Dio i cori degli Angeli, i seggi de Patriarchi e de' Profeti ec. Queste elevazioni su per li cieli sono con brevità narrate da Alberico dal cap. XXXI. della sua Visione fino al XLI., e più nobilmente da Dante nella sua Cantica del Paradiso. Ragionano ambo e due secondo il sistema planetario Tolemaico, con più esattezza Dante, e con qualche negligenza, riguardo all'ordine dei pianeti, Alberico, che di alcuni ne cangia la posizione astronomica; negligenza che mostra, secondo ch' io penso, la semplicità del fanciullo Alberico, che dettava la sua Visione, e la sincerità, e veracità di Guido, il quale come uomo in humana eruditione clarissimus, capace di verifi

care l'ordine de' pianeti turbato nel racconto di Alberico, se ne astenne per non alterare in qualunque maniera il di lui dettato.

Un'altra cosa voglio notare, e poi finirò il mio confronto. Alberico al cap. XXX. dopo aver narrato come S. Pietro lo conducea pel Paradiso, mostrandogli i seggi de' varj beati, soggiunge queste parole: ostenditque mihi, circa Paradisum, lectum clarissimum, et splendidissimum, operimen tis adornatum.... in quo lecto quemdam jacere conspexi, cujus nomen ab Apostolo audivi, sed prohibuit ne cui dicerem. Or io scorgo ricopiato da Dante nel C. XXX. 130. del Paradiso questa particolarità, dicendogli la sua Beatrice:

Vedi nostra città quanto ella gira:

Vedi li nostri scanni sì ripieni,

Che

poca gente omai ci si desira.

In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni

Per la corona, che già v'è su posta,

Prima che tu a queste nozze ceni,

Sederà l'alma, che fia giù Augosta,
Dell'alto Enrico....

E' mi pare da quanto sono venuto dicendovi fin qui, che v'abbia prove bastanti per credere, che la Vision di Alberi

co sia servita di modello all' intiero edificio del Poema di Dante. La qual Visione nel secolo XIII., in cui egli fiorì, non potea essere dimenticata, massime in queste contrade, dove nel secolo precedente, come vi ho detto, era divenuta famigeratissima, fino a rappresentarsi in pittura. Dante era stato ambasciatore della sua Repubblica, una volta a Roma, e due a Napoli, e non è inverisimile, che passando e ripassando non lungi di quì sia stato a visitare questo celebre

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