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Ricominciò seguendo senza cunta,

Di, di, se quest' è vero: a tanta accusa

Tua confession conviene esser congiunta.

Quì dee supporsi, ancorchè 'l poema nol dica, che la donna, siccome alla prima, per parlar a Dante, s'era posta in su la sponda del carro sinistra; e poi, per iscusarsi cogli Angeli, in su la destra coscia d'esso carro; cost qui si riponga di bel nuovo su la sinistra, per serbar le debite cirimonie.

v. 7. Era la mia virtù tanto confusa,

Che la voce si mosse, e pria si spense,
Che dagli organi suoi fusse dischiusa .
Poco sofferse; poi disse: Che pense?
Rispondi a me; che le memorie triste
In te non sono ancor dall'acqua offense.
Confusione e paura insieme miste

Mi pinsero un tal Si fuor della bocca,
Al qual intender fur mestier le viste.

Confuso ed impaurito il Poeta, la prima volta non potè rispondere; perchè la voce gli si affogò nelle fauci: la seconda, disse veramente sì, ma tanto fievole, che a ben intenderlo fu necessario veder e notar gli atti, che l'Autor fece nel proferirlo.

v. 16. Come balestro frange, quando scocca,

Per troppa tesa la sua corda e l'arco,
E con men foga l'asta il segno tocca;
Si scoppia' io sott'esso grave carco,
Fuori sgorgando lagrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.

Similitudine inarrivabile, come la dice il P. Venturi, la

.

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quale io suppongo bene intesa da tutti i Comentatori, ancorchè per loro glose non paja; ma deformata e guasta dal P. M. Lombardi, il quale adottando per bella correzione e per buona un grosso errore della favorita sua edizion di Milano, legge; Come al balestro: ed è una miseria il veder la costruzione, ch'ei fa di sì cattiva lezione. Va spiegata così: Come il balestro si spezza nell'atto stesso ch'egli scocca, per esser troppo tesa la sua corda e troppo curvato il suo arco; e in tal caso l'asta va con men empito a toccar, se pur vi giunga, non a ferir il segno, a cui era diretta; cosi io scoppiai sotto'l grave incarco della confusione e della paura che mi opprimevano; e lagrime e sospiri sgorgando, la mia voce s'infievolì uscendo per la sua via, e giunse (s' intende) spossata e languida all'orecchio de' circostanti.

v. 22. Ond' ella a me: Per entro i miei disiri,

Che ti menavan ad amar lo bene,

Di là dal qual non è a che s'aspiri,
Quai fosse attraversate, o quai catene
Trovasti, perchè del passare innanzi
Dovessiti così spogliar la spene?
E quali agevolezze, o quali avanzi

Nella fronte degli altri si mostraro,
Perchè dovessi lor passeggiar anzi?

Ella parla qui secondo la scuola di Platone, il quale insegnava; la bellezza terrena essere scala (per chi sia molto destro) a salir col pensiero alla bellezza celeste: e però gli dice: Ne' desiderj miei, in quelli cioè che tu concepivi per la mia beltà, i quali menavanti al sommo bello, ch'è Dio, quagl' impedimenti trovasti per arrestarti?

E negli altri desiderj; cioè in quelli che tu concepivi per
altre bellezze, qual facilità, o utilità trovasti tu per an-
dar innanzi? Non può già intendersi, ch'ella quì parli del-
la bellezza della Filosofia, o della Teologia, poichè Dan-
te, quand' ella morì, non sapea nè meno, che queste scien-
ze ci fossero, o non n'aveva idea: non cominciò certamen-
te a studiar di Filosofia, che due anni dopo la morte del-
la sua donna, come più volte s'è detto.
v. 31. Dopo la tratta d'un sospiro amaro
(A pena ebbi la voce, che rispose,
E le labbra a fatica la formaro)
Piangendo dissi: Le presenti cose

Col falso lor piacer volser mie' passi,
Tosto che 'l vostro viso si nascose.

Siam quì alla solita contraddizione; poichè non è vero, che tosto si sia volto Dante dall' amor platonico di Beatrice al piacer delle cose presenti, egli che visse in tristezza due anni, tenendosi amante di lei; dopo de' quali ei volse l'animo all' amore della Sapienza, la quale raddrizza per se stessa l'uomo, e da passi falsi il distoglie in ver le cose terrene.

v. 37. Ed ella: Se tacessi, o se negassi

Ciò, che confessi, non fora men nota
La colpa tua; da tal giudice sassi:
Ma quando scoppia dalla propria gota
L'accusa del peccato, in nostra corte
Rivolge sè contra 'l taglio la ruota.

Capperi! quì si tratta di veri peccati, da che ne dee esser giudice Iddio. N'avrà Dante avuto la parte sua, non si nega; ma ora si cerca, s' egli sia stato veramente

reo delle colpe rimproverategli da Beatrice, e da lui confessate.

v. 43. Tuttavia perchè me' vergogna porte

Del tuo errore, e perchè altra volta,
Udendo le Serene, sie più forte,

Pon giù'l seme deł piangere, ed ascolta:
Si udirai, come 'n contraria parte
Muover doveati mia carne sepolta.

Acciocchè però maggior vergogna tu abbia, ella disse, del tuo traviamento; ed acciocchè tu sii, venendo'l caso, più duro al canto delle Sirene, cioè alle voluttà lusinghiere; deponi'l seme, cioè la cagion del tuo pianto, mettiti un poco in calma, ed abbada a ciò ch' io son ora per dirti; e facilmente intenderai, come a virtù, anzi che a vizio dovea rivolgerti l'esser, per la morte del согро, la mia bellezza sepolta.

v. 49. Mai non t'appresentò natura, o arte

Piacer, quanto le belle membra, in ch'io
Reclusa fui, e sono in terra sparte:

E se'l sommo piacer sì ti fallio

Per la mia morte; qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?

L'argomento è questo. La mia beltà fu somma: ella, per la mia morte, ti fallì, ti mancò, e rimanesti deluso. Non dovevi tu dunque lasciarti adescar da molto minor bellezza, che ti fallisse.

v. 55. Ben ti dovevi per lo primo strale

Delle cose fallaci levar suso

Diretr' a me, che non era più tale.

Lo primo strale delle cose fallaci fu per te la mia mor

te dovevi tu allora seguirmi, levandoti col desiderio al cielo, dov'io era non più mortale.

v. 58. Non ti dovea gravar le penne

in giuso
Ad aspettar più colpi, o pargoletta,
O altra vanità con sì breve uso.
Nuovo augelletto due, o tre aspetta:

Ma dinanzi degli occhi de' pennuti

Rete si spiega indarno, o si saetta.

Dalle accuse generali par quì discender Beatrice alle particolari. Or di qual pargoletta ella intende? Non di quella delle Rime; poichè per le cose dimostrate quella fu la Filosofia: non della fanciulla Lucchese, che l'Autor non conobbe, se non dopo la cacciata sua di Firenze, Dio sa in qual anno; e Beatrice non lo rimprovera, che de' falli prima del 1300. commessi: molto meno dell' Alpigiana gozzuta, e della nobile Padovana, che non eran già pargolette, oltre la ragione allegata del non convenir nè pur elle colla Serie delle accuse, ed oltre l'esser tutte queste femine una mera invenzion di coloro, che non intesero nè poco nè mica le Rime. Io non saprei di qual altra ella intender potesse, che s'incontrasse per alcuna circostanza con Dante. I più degl' Interpreti, fra' quali il supposto (1) figlio di lui, dicono questa pargoletta essere stata l'arte poetica, per seguir la quale abbia egli lasciato Beatrice, cioè, com' essi spiegano, la Teologia. Se così fosse, l'onestà dell'Autore sarebbe in salvo. Ma contradice a tale interpretazione la Storia,

(1) Theologia relictâ ipse Dantes se dedit pargolectæ. i. pocsi, et aliis mundanis scientiis.

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