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e di Seneca, ma anche con invidia, e con intera malevolenza, di me divolgata appresso di molti nel giudicio, che ho dato di quel valent' uomo, io la purghi solo appresso di te, e per mezzo di te presso gli altri.

IV. Imperciocchè coloro che m'odiano, dicono ch'io l'ho in odio e in disprezzo: acciocchè appunto per questa via mi suscitino contro gli odj (1) de' volgari, a'quali egli è accettissimo. Nuovo, genere di nequizia, ed arte maravigliosa di nuocere. A costoro per me risponda l' istessa verità. E per buon principio non c'è cagione di odio inverso d'un uomo ch'io non vidi mai, se non una volta che mi fu mostrato ne' primi anni della mia fanciullezza. Egli visse coll' avo e col padre mio, d'età minore dell' avo, maggiore del padre, col quale (2) in un medesimo dì, e in una istessa cittadinesca procella ei fu cacciato dai confini della patria: nel qual tempo intra i partecipi delle disgrazie grandi sempre contraggonsi le amicizie: ciò che accadde intra loro che avevano, oltre

(1) Per volgari non intender mica solo i plebei, come par più sotto che dica Mess. Francesco; ma d'ogni ordine di persone, maschi e femmine, dilettanti della lingua e poesia volgare, quantunque ignari, o poco curanti dell'idioma latino, a' quali era Dante, come quì si dice, accettissimo. Non fu men caro però a molti letterati del secolo XIV. uno de' quali, s'e' dice il vero, egli fu, ancorchè tardi, lo stesso Petrarca.

(2) Dino Compagni nel 1. 2. della sua Cronica tra i banditi da Mss. Carlo senza terra in del mese d'Aprile 1302. enumera Dante Aldighieri, ch' era, ei dice, Ambasciadore a Roma, e Ser Petracco di Ser Parenzo dell' Ancisa Notajo alle Riformagioni. Dove nota, che per Dante questa fu una conferma della sentenza già fulminata contro di lui nel dì 27. Gennajo. Vedi ciò che si è detto nel Cap. XIV. Nota ancora, che del padre Petracco fu chiamato Mss. Francesco per idiotismo Petrarca.

la simigliante fortuna, simiglianza grande d' ingegno e di studj; se non che all' esilio, al quale il padre ad altre cure rivolto, e sollecito di sua famiglia cedette, egli (1) fece resistenza; e quando con e quando con più d'impegno egli attese (2) all'impresa sua, e trascurò ogn' altra cosa, bramoso solo di (3) fama. Nel qual fatto io non potrei ammirarlo, nè lodarlo abbastanza; poichè nè l'ingiuria de' cittadini, nè l'esilio, nè (4) la povertà, nè l'amor della moglie (5), nè la pietà de' figliuoli (6) il distolsero mai (7) dal cammino una volta intrapreso. Laddove ci sono molti, quanto grandi, (8) tanto delicati d' ingegno, che un leggier mormorio dall' applicazione dell' animo gli disvia. Ciò che spesso a coloro avviene che scrivono in verso, i quali intenti, oltre a' sentimenti, oltre. alle parole, anche al nesso, hanno più degli altri biso

(1) Perchè Dante al contrario tentò tutte le vie di ripatriare, e per amore, e per forza.

(2) All'impresa, cioè, di scriver la sua Commedia.

(3) Di fama, vale a dire, di eccellente poeta.

(4) Quella che gli fu compagna fino alla morte.

(5) Ecco quì Dante assoluto dall' aver odiata la moglie, come vuole all' opposto il Boccaccio nella di lui Vita, Num. IX: la quale però, se per alcuna cagione, per esser forse de' Donati, gli spiacque; non men dell' amore per avventura gli avrà turbata la pace agli studj richiesta.

(6) Tu lascerai ogni cosa diletta Più caramente, gli predisse il suo Cacciaguida e questo è quello st ale, Che l'arco dell'esilio pria saetta. Strale (quanto ai figli) che gli rimase, dee credersi, sempre fitto nel

cuore.

(7) Della facitura, cioè, della divina Commedia, al compimento della quale tendeva, come a gloriosa meta.

(8) E di questi cótali fu per avventura esso Petrarca, che scieglieva il silenzio della mezza notte per istudiare.

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gno e di silenzio e di quiete. Tu intendi adunque odiosa cosa essere, e insieme ridicola l'odio mio, da non so chi finto contra di lui; mentre materia d' odio, come tu vedi, non c'è, bensì d'amore moltissima; vale a dire, la patria, e lo stile (1) in suo genere ottimo, che largamente assicuralo dal dispregio.

V. E quella era la seconda parte della calunnia oppostami, in argomento della quale si trae, che dalla prima etade, che suol essere cupidissima di tali cose, ́essendomi io dilettato di cercar varj libri, io non ebbi mai (2) il libro di lui: ed essendo io stato sempre ardentissimo per altri, de' quali non rimaneva quasi speranza di ritrovarli, per questo solo ch' io procurar mi poteva senza difficoltà, sono stato tiepido per nuova e a me insolita usanza. Confesso il fatto, ma non al fine che costoro pretendono. Io allora studiava, inteso solo alla volgare eloquenza. Non credeva che ci fosse (3) di più elegante,

(1) In genere, cioè, di poesia volgare.

(2) Cosa è questa che sarebbe incredibile, s'egli non la dicesse. E si noti, che'l dir a que' tempi, il libro di Dante, era lo stesso che dir, la Commedia di lui; la quale dicevasi ancora semplicemente, il Dante. Fran. Sacch. Nov. 114. un fabro.... cantava il Dante.... Disse Dante: tu canti il libro, e non l› di', com' io lo feci. E nella Nov. 115. uno asinajo........ andava.... cantan lo il libro di Dante. Fermata la qual significazione, arguisconsi per favolose le due accennate Novelle, poichè prima dell'esilio del nostro Poeta, nè i fabri, nè gli asinaj cantar potevano il Dante, o il libro di Dante, perchè in allora la divina Commedia non era per anche composta: e quantunque concedasi che 'l Poeta prima d'esser bandito n'avesse scritti sette canti, questi però non erano pubbli

cati.

(3) Cioè, che la poesia latina fosse più bella della Toscana. Ei sel credette a suo danno.

nè aveva per anco appreso (1) ad aspirare più alto: ma temeva, s'io m'imbevessi dei detti di costui, o d'altri, com'è quell' età pieghevole ed ammiratrice di tutto, non riuscissi, anche senza volerlo e senz' avvedermene, (2) imitatore. La qual cosa, com'era l'animo per gli anni audace, io sdegnava: e tanta fidanza o alterigia aveva preso di me, ch' io credea bastarmi l'ingegno a farmi in quel genere una mia propria maniera senza l'ajuto di alcun mortale. La qual cosa con quanta verità io me l'abbia creduta, ne lascio il giudizio agli altri.

VI. Ben avvertisco una cosa, che se mai alcun mio detto si trovi, che al detto di quello, o d'alcun altro sia simigliante, ol medesimo, non si creda ch' io l'abbia fatto per furto, o per intenzion d'imitarlo; le quali due cose, massime ne' componimenti volgari, le ho sempre scansate, come gli scogli; ma credasi o per caso accidentale, o per simiglianza d'ingegni, come vuol Marco Tullio, esser io nelle stesse pedate concorso (3) senza

(1) A divenir, cioè, pceta latino.

(2) Piuttosto si fosse egli attenuto dal legger i poeti Provenzali; che non gli avrebbe poi nè poco, nè meno imitati a minor pregio delle sue rime. Vedi conchiusa ben questa cosa dal più volte lodato Sig. Tiraboschi, 1. c. pag. 561.

......

(3) E pur egli fu (a detto di Gio: Battista Gelli, Lez. X. pag. 270.) del divinissimo nostro Dante non piccolo imitatore; come posson chiaramente vedere tutti quegli, che leggon diligentemente l'opere dell' uno e dell' altro. Egli non può negarsi, imitollo, o tentò d'imitarlo, sebbene poco felicemente, ne' suoi Trionfi. Egli con più fortuna seguillo in alcune Canzoni, e in altri opuscoli del suo Canzoniere, come sarà mostrato in questa Edizione. Che dovrà dunque dirsi? Ch' egli abbia menti

per

saperlo. Che (1) questo poi sia così, s'altro mai se' credermi, credilo. Niente è più vero. Che se nè'l pudore m'ha fatto, nè la modestia, che mi si creda (2), mel fa il tumore e l'enfiagione dell' età giovanile. In oggi per altro da tali cure son lungi: e dopo che tutto (3) mi son di là partito, e m' ha lasciato il timore, che mi teneva; e gli altri (4) tutti, e costui avanti degli altri accolgo con tutta la mente. Io che una volta mi lasciava giudicare dagli altri, ora giudicando degli altri in silenzio, vario giudizio fo in vero degli altri scrittori, ma tal di costui, che gli do facilmente la palma della volgare eloquenza.

VII. Mentiscono adunque col dire ch' io mordo la fama di lui, quand' io mi son uno per avventura, che

to? Nol dirò mai; sebbene paja difficile a sostenere, che dopo di questa Epistola egli abbia scritti o rifatti tutti gli Opuscoli, ne' quali fu da lui imitato il nostro Poeta.

(1) Ciò si riferisce a quel ch' egli aveva detto nel numero antecedente, cioè; che s' egli non aveva il libro di Dante, nè s'era curato d' averlo, ciò non era stato per disprezzo di quel poeta, ma per non imitarlo; volendo egli farsi da se uno stile suo proprio.

(2) Quasi dica: io allora era giovane, e l'età giovanile è superba : or questa testifica in mio favore, ch' io abbia avuto pur troppo l'alterigia di farmi una mia propria maniera senza l'ajuto d' alcun mortale, e che per questo io non abbia voluto aver tra' miei libri quello di Dante.

(3) Da che, cioè, egli avea totalmente dismesso di verseggiar in lingua volgare. Si sa però che in processo d' età egli si pentì d'aver seguito la poesia Latina piuttosto che la Toscana; ma la merla allora aveva passato il Po. A questa incostanza, per sua prudenza e per divina disposizione, non fu soggetto il nostro Poeta.

(4) Anche Dante forse da Majano, o monna Nina?

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