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Checchè però si giudichi da' Letterati di questa risposta,

che non sarò tardo a cangiare, se ne intenderò una migliore, a me basta che per essi, come spero, stia saldo, che'l nostro Dante finisce il corso degli amori suoi feminili colla fine del primo suo opuscolo, e che nel principio delle Rime egli dispiega le vele all'amor delle scienze.

CA PO XXXVIII.

Del secondo amore di Dante per la Sapienza.

(1) Amai la sapienza, e cercaila (2) studiosamente (3) dalla mia gioventù....... e divenni (4) amatore della forma di lei. Questo è l'argomento delle Rime amorose del divino Poeta, e n'è per anco la chiave ad intenderle. In ordine alle quali convien sapere, che avendole egli poeticamente vestite in sembianza di feminile amore, i Volgari leg

tro a quello, che detto è di sopra della salute di questa donna. E però è da sapere, che qui parla l'una delle parti, e là parla l'altra; le quali diversamente litigano, secondo che di sopra è manifesto. Onde non è maraviglia, se là dice sì, e qui dice nò, se ben si guarda, chi discende, e chi sale » •

(1) Sap. VIII. 2. Hanc amavi, et exquisivi eam a juventute mea... et amator factus sum formæ illius.

za,

(2) Quanto puro ed esteso sia stato in Dante lo studio della Sapienvedilo nel Conv. Tratt. III. Cap. XI.

(3) Ciò che a lui quadra, che intraprese il corso della Filosofia ne' primi anni della sua gioventù.

(4) Vergognisi messer Francesco Petrarca; e chi vorrebbe pur da me risposta a tre pubbliche Lettere, simili alle Virgiliane, da ogni saggia ed onesta persona abbominate, e riprese.

gevanie con diletto, ma credevanle provenute o dalle ceneri ancora calde del rogo di Beatrice, o dalle vive brage di novello fuoco carnale. Intanto il Poeta fu cacciato in esilio (1), qual legno, com'ei racconta, senza vela e senza governo, portato a diversi porti, e foci, e liti dal vento secco, che vapora la dolorosa povertà: nel quale stato siccome si tenne fermo, in non cessar mai da suoi studj, così si compiacque a quando a quando di parlar in Sonetti, Ballate, e Canzoni, della sua maestra la Filosofia, come s'ella fosse una bella fanciulla, ed ei ne fosse appassionatissimo amante. S'accorse però in processo di tempo, allora che aveva già raccolto il suo Canzoniere, che quanto di fama e di lode ne traeva dal popolo, come poeta, tanto ne potea ricever d'infamia e di biasimo, come uomo ben costumato ed onesto: laonde per se temendone, e rincrescendogliene, prese il consiglio, essendo in età di presso che nove lustri, di svelar l'allegoria di questo secondo suo amore, comentando egli stesso le sue Canzoni nell' Opera ad ogni studioso assai fruttuosa da lui intitolata il Convito; dove (2) rendendo ragione dell' aver assunta questa fatica: Movemi, dice, timore d'infamia, e movemi desiderio di dottrina dare, la quale altri veramente dare non può. Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate Canzoni in me avere signoreggiato; la quale infamia si cessa per lo presente di me parlare interamente; lo quale mostra, che

(1) Nel Conv. Tratt. 1. Cap. 3.
(2) Tratt. 1. Cap. 2. in fine.

(1) non passione, ma virtù sie stata la movente cagione. Intendo ancora mostrare la vera sentenza di quelle, che per alcuno vedere non si può, s'io non la conto, perch'è nascosa sotto figura d'allegoria; e questo non solamente darà diletto buono a udire, ma sottile ammaestramento, e a così parlare, e a così intendere l'altrui scritture.

Avendoci adunque il Poeta stesso dato la chiave ad aprir le sue Rime coll'isvelarci che in quelle egli fu amante della Sapienza, io m'ingegnerò d'adoperarla, come ho fatto nel Cap. XXXVI, spiegandone qui per saggio il primo Sonetto, ch'è questo:

Parole mie, che per lo mondo siete;
Voi che nasceste poi ch'io cominciai
A dir per quella donna, in cui errai;
Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete;
Andatevene a lei, che la sapete,

Piangendo sì, ch'ella oda i nostri guai:
Ditele: noi sem vostre; dunque omai
Più che noi semo, non ci vederete.
Con lei non state, che non v'è amore;
Ma gite attorno in abito dolente,
A guisa delle vostre antiche suore:
Quando trovate (2) donna di valore,
Gittatevile a piedi umilemente,

Dicendo: a voi dovem noi fare onore.

(1) Fatalità, che 'l Boccaccio, cui parve riscontrar nelle Rime la bella Pargoletta, e la gozzuta Alpigiana, non mettesse l'occhio su di parole si atte al suo disinganno.

(2) Meglio così, che donne, che leggesi in varj Testi.

Le sue Rime amorose le scrisse Dante parte avanti l'esilio, e parte di poi. Quando gli parve di non averne a far più, compose il presente Sonetto, che serve ad esse di Prologo, e anche di Dedica. Manda egli adunque le sue parole, cioè le dette Rime, in dono alla Filosofia, ch'è la donna ( da ch'ei si fu dalla passione sanato di Beatrice) da lui amata, e cominciata a lodare con la Canzone, ch'è la prima pur del Convito, Tr. II. in principio:

Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete.

La qual Canzone essendo nata tre mesi poi che 'l Poeta aveva cominciato il corso della Filosofia; e questo studio avendolo esso intrapreso due anni appresso la morte del suo primo amore, cioè di Beatrice, la quale morì nel Giugno 1290; ne segue ch'ella non sia stata dalla mente dell' Autor concepita, che nel 1292.

E perchè dice, in cui errai? Ci può forse esser fallo nell'amore della Sapienza? Ci può esser benissimo, o per troppo studio, collo trascurar la vita attiva, alla quale ciascuno è tenuto, o per poco, come fan di sovente i giovani scapestrati: o per mal uso de precetti di quella: o per difetto di retta intenzione: o studiando disordinatamente senza metodo, senza principj, senza buoni maestri, e buoni libri: ovvero per non saper che sia la vera Filosofia, ch'è forse l'unica ignoranza di questo nostro secolo illuminato. Potrebbe essere ch'egli avesse ciò detto, Conv.. Tr. III. Cap. 10., secondo l'apparenza discordante dal vero per infermità dell'anima, che di troppo disio era passionata. Potrebbe essere ancora, ch'egli avesse peccato in Filosofia col non tener le bilance giuste, quando e fu de' Priori, elu

tra i Bianchi e i Neri, col favorir piuttosto quelli, che questi: della qual ingiustizia fu già incolpato da molti, ed egli stesso o poco o assai, per mio sospetto, se ne chiama reo nella Canz. Tre donne intorno al cor. st. 5. dove, mentovato compassionevolmente il suo esilio, dice:

Onde s'io ebbi colpa,

Più lune ha volto il sol, poichè fu spenta;

Se colpa muore, perchè l'uom si penta (1).

I nostri guai. Questi erano le difficoltà, che incontrava l'autore nello studio suo Filosofico; quando questi ancora non fossero le amarezze e i disgusti, e fors' anche i disastri, a'quali e'si vedesse soggetto per esser appunto uomo di lettere, e onesto; come pare se ne quereli nel Sonetto, Io maledico il dì, massime nell'ultima terzina di quello:

Ditele: noi sem vostre. Dunque voi non ci vedrete in maggior numero di quel che siamo, perchè già, essendo noi vostre, cioè a voi dedicate, è pagato il tributo promesso, o dovuto alla vostra gloria. Verisimilmente parlando, egli cessò dalle Rime per attender con più calore alla sua Commedia.

Con lei non state, che non v'è amore. Altrove dirà (2) ch'ella non s'innamora. E pur essa sapienzia, Conv. Tr. III. Cap. 11. dice ne' Proverbj di Salamone (c. 8. v. 17.): io amo coloro, che amano me. Laonde diremo, che anche quì secondo l'apparenza egli parli. Imperciocchè l'amor di Dante alla Filosofia, Conv. Tr. III. Cap. 12. egli era lo stu

(1) Di questa Canz, s'è trattato Par. I. Cap. XV. a questo stesso proposito.

(2) Nella Canz. Io sento. st. 5.

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