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nità e alla sicurtà e reputazione della Repubblica. Però si ha da pensare a tener ben munite e presidiate le fortezze, come ad assicurarsi quanto più si può della benevolenza de' popoli. Quelli che alla corte amano poco il bene della repubblica (che non può mancar che da per tutto non ve ne sia qualcheduno), dicono che come il re per sua natura è memore delle offese ricevute, non si sarà dimenticato dell' ultima pace turchesca fatta senza sua participazione; dal che vogliono inferire che la volontà del re non sia buona verso la Serenità Vostra. Ma la risposta vera e concludente è che le giustissime ragioni che mossero la S. V. alla pace furono approvate dal re e giustificate dall' illustrissimo sig. cav. Giovanni Soranzo, che fu ambasciatore espressamente mandato per questo, nè dopo si son mai veduti in S. M. altri segni che di ottima volontà. Ma io dico che se, per qualsivoglia causa, fosse restato nell' animo del re un poco d'ombra o di torbido, si sarebbe dissipato affatto in quest'ultima occasione della conquista di Portogallo, perchè V. S. non gli ha dato pur un minimo sospetto che non fusse per piacerle questo suo accrescimento d'imperio, anzi mostrò segni in contrario, perchè quanto maggiori saranno le sue forze tanto maggior comodità avrà per opporsi alla potenza del turco. E quando V. S. mi mandò in Portogallo al re cardinale (1), il duca d'Ossuna, don Cristoforo de Mora, ed altri ambasciatori di S. M. Cattolica, che si trovavano allora a quella corte, restarono molto bene edificati che dalla Repubblica non venissero officj che contrariassero punto al servizio del loro re; il che non potè causar che buon effetto nell' animo di S. M. La quale si sarà poi compitamente accertata della buona volontà di questo serenissimo dominio verso il servizio suo con la solenne e numerosa ambascieria che V. S. le mandò per rallegrarsi di quella conquista, e la qual giunse a Lisbona in tempo che S. M. vi era arrivata poco prima, e gli animi de' Portoghesi erano molto alterati in favor pure di don Antonio. E questa onorata dimostrazione di V. S. non potè far che

1) Ciò fu nel 1579.

buon effetto in servizio di S. M., tanto più che il pontefice, l'imperatore, nè altri principi grandi, non si mossero per diversi rispetti a mandar ambascieria espressa per questo effetto. Il che fu causa di far maggiormente risplendere l'onorata presenza dei sig. cavalieri Tron e Lippomano; ed oso dire che il re, nimico di cerimonie per sua natura e de' complimenti, non ricevesse mai più volentieri nè più onoratamente alcun'altra ambascieria che quella della S. V., rispetto al tempo, al luogo, all'occasione, e a tutte le circostanze che concorsero in essa.

Tutto questo tempo che sono stato in Spagna ho sempre sentito far menzione che il re nominava un ambasciatore per risiedere presso la S. V., e il cardinale di Granvela e don Giovanni Idiaquez mi hanno detto più volte che vi erano più di dodici competitori di diversa qualità, perchè questo grado era atto per tutte le pretensioni; e che S. M. non restava per altro a risolversi che per vacar anco il luogo di ambasciatore in Francia e all' imperatore, non volendo elegger l'uno senza l'altro. Ma un soggetto principale mi disse che S. M. si risolverebbe facilmente di nominarlo solo e prima di tutti, se V. S. lo sollecitasse con qualche officio. Ma come in ogni cosa l'EE. VV. si governano prudentemente, così per mio credere faranno in questo caso col non procurarne parola; perchè se ben gli ambasciatori fanno onore a chi li riceve, nondimeno la difficoltà di precedenza tra Francia e Spagna, che dovrebbe già esser sopita, intendono gli spagnuoli di rinnovarla, perchè come il loro re è accresciuto di forze e d'imperio, così anco intendono che abbia da crescere di dignità e di riputazione; e forse tenteranno che il pontefice lo elegga imperatore di tutta Spagna, e dell' una e l'altra India; la qual cosa per essere stata altre volte promossa dal cardinal S. Clemente, potrebbe ora esser rivificata se la Germania e la Francia non vi si oppongono. Il duca di Savoia Emmanuel Filiberto non volle mai alla sua corte per niun accidente ambasciatori nè di Spagna nè di Francia, per questo rispetto della precedenza. Ma ora che gli spagnuoli dicono cessata del tutto a Roma l'occasione della precedenza, dopo che gli

ambasciatori non van più in cappella nè in cerimonia, non sarebbe molto che pretendessero che anco altrove fosse introdotto il medesimo.

Non tacerò anco questo alla S. V., per conclusione del mio parlare, che sarà prudentemente fatto il continuar a comunicar a S. M. gli avvisi di levante, perchè è stimata la Repubblica per meglio avvisata d'ogn' altro principe per i suoi interessi. Non dico far quest' officio d'ordinario, ma quando occorre qualche cosa degna d'esserne S. M. avvertita, o per interesse degli stati suoi o per servizio della cristianità. E può esser certa V. S. che questo officio non servirà che di complimento, perchè i vicerè di Napoli e di Sicilia tengono spie ed intelligenze ordinariamente in levante, e l'ambasciatore di Spagna in Roma ne tiene in Ragusa, e sa tutto quello che perviene a notizia del papa; ed è da credere che il secretario Salazar in questa città faccia ancor esso la parte sua, oltre che il granduca di Toscana in questo è vigilantissimo. Ma le comunicazioni di V. S. serviranno a dimostrar benevolenza al re, e a fare strada per trattar senz' affettazione tutto quello che portasse l'occasione a benefizio e sicurtà della S. V. in levante.

È molto ben noto che alla corte di Spagna, oggidi riputata la maggiore della cristianità, tutti han volti gli occhi, e particolarmente i principi d'Italia, che pretendono accrescimenti di titoli e di dignità per preceder l'uno all'altro e per esser maggiormente reputati nelle altre corti; e si come. in questo tra loro sono discordi e passano mille emulazioni, così sono unitissimi in sentir male la divisione dell'ordine degli ambasciatori che è in quella corte, rispetto a quelli che non han luogo in cappella. E come questi principi altre volte solevano tenere ambasciatori quasi a tutte le corti per rendersi grati a molti, così ora li tengono a pochissime, per poterli mantener, senz' augumento di spesa, con maggior dignità e splendore; il quale oggidì è necessario in tutte le corti, ma in quella di Spagna sopra le altre come la maggiore di tutte. Onde con molta sapienza si muovono le EE. VV. a mandar a quella corte ambasciatori prudenti, come han fatto

RELAZIONI VENETE.

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RELAZIONE DI SPAGNA DI MATTEO ZANE. 1584.

sempre, eccetto quando fecero elezione della persona mia, che fu per pura grazia e benignità di questo eccellentissimo Senato. Perchè se per qualche accidente si venisse a pregiudicar una volta all'antica dignità di questa serenissima Repubblica, sarebbe piaga quasi irrimediabile, e che avrebbe conseguenza in tutte le altre corti, che pare prendano norma da quella di Spagna come maggiore di tutte.

Mio predecessore è stato il sig. cav. Gioan Francesco Morosini ec.

Mio successore, il clariss. sig. Vincenzo Gradenigo, soggetto ec.

E cosi termina nel nostro codice la presente Relazione.

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RELAZIONE

DI

VINCENZO GRADENIGO

1586.

(Museo Correr, Mss. Corner-Duodo, n. 140.)

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