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di canzoni in maniera, che la tessitura dell' ottava rima non è più ribombante : e se così è, certo non è ragion d'arte che più degnamente si canti la danza d' una donna, che la battaglia di un Eroe: e se questo mio pensamento fosse da non biasimarsi, il che nè spero, nè despero si comprenderebbe, poeti antichi in sul nascere della poesia Toscana, non avere a tutte le cose sottilmente pensato: onde rimarrebbe luogo a' nostri secoli, et a quelli, che veniranno di molti così trovare, appresso, e di non pochi emendare. Ho detto quanto so per provare, che la varietà de' versi sopra notati siano anzi di giovamento alla poesia Toscana, che di danno; e che perciò deonsi non sbandire dal Parnaso, ma dar loro quivi cortese albergo. Cic. Io non mai affermerò, che la copia de' versi faccia danno alla poesia: ma è ben da por mente se i versi sono acconci ad abbellirla,

vero a deteriorarla: che se ci sono, per loro conditione si vili, che non possan ascoltarsi con gentilezza, per certo deesi loro dar bando, sì come fassi agli uomini ammorbati ; et è vantaggio perderli. E veramente io sono offeso da molti versi di quelli da voi notati, per una speciale loro conditione, cioè che non hanno tanto suono, che si facciano sentire per versi, ma pajono una prosa.

Ger. Ben dite, ma sì fatta conditione non è di alcuni versi, anzi di tutti; nè di toscani solamente, ma di latini non meno; e ditemi per vostra fe, se diciamo parole di undici sillabe talmente accentate, che ne riesca verso

nei nostri ragionamenti, questo verso così prodotto non trapassa via come prosa? Certamente noi ciò veggiamo avenire; ma se di mano in mano tante parole con tante sillabe accentate a punto l'orecchia vostra sente pronuntiarsi, ella conserva quei numeri, e li reputa versi, voglio dire pertanto, che avegna che alcuni versi tengano assai della prosa, mentre sono uditi, e ciascuno per se; quando poi se ne ascolta una quantità si fanno scorgere altro che prosa; e questo appare via maggiormente, quando essi si cantano, e cantarsi è quasi loro qualità naturale: perchè chi recita versi, e tanto o quanto non dà loro un' aria onde si discompagnano dal comune parlare? e perchè ho detto, che il dispiacere da voi sentito in alcuni versi toscani, medesimamente da voi si sentirebbe in alcuni versi latini, io mi tengo obbligato a darvi prova del mio dire, e voglio disobbligarmi della promessa. Dunque noi sap piamo, che essendo morta la lingua latina, ella non più naturalmente si parla, ma solamente per istudio, e che nel suono di sue parole pronuntiate da noi malamente,

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mettiamo errore; e spesso le brevi sillabe allunghiamo, e le lunghe abbreviamo; e di qui siamo certi, che cantando i versi latini noi guastiamo la loro vera armonia, e misura; non posso pertanto darvi certezza della mia credenza appieno, se non metto in mezzo un uomo Romano, e facendolo risuscitare nol prego a dirvene la verità? Questi sarà non mica un' idiota, ma un dottrinato, nè vile, ma in fra

tutti chiarissimo: e chiamasi Marco Tullio Cicerone egli trattando con Bruto dell' ora tore sovrano, e tenendo ragionamento dei numeri della prosa, disse così a punto: ne prenderò guardia di recitar la Scrittura latina, per ciò che quantunque senta alquanto del Maestro di Scola il mescolare col volgare il latino, havrà non di meno maggiore peso et autorità la testimonianza. Queste sono le parole:

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« Sed in versibus res est apertior: quamquam e etiam a modis quibusdam cantu remoto so«<luta esse videatur oratio; maximeque id in optimo quoque poetarum, qui lyrici a Græ« cis nominantur, quos cum cantu expoliaveris << nuda pene remanet Oratio: quorum similia sunt etiam apud nostros: velut illi in Thieste; << quem nam te esse dicam ? qui tarda in sene«ctute; et quæ sequuntur; quæ nisi cum tibicen « accessit, orationi sunt solutæ similima.

Eccovi come i versi lirici, se non si cantano, si accostano al comune ragionare degli uomini, e di qui dee cessare la sentenza, che voi date contra alcuni de' nostri, per la loro poca armonia; perciò che quando essi si canteranno, farannosi sentire come versi manifestamente. Ora raccoglierò alquanto i miei detti: se dunque la lingua Toscana ha molta varietà di versi, et averli è dignità sua ; e se tra questi suoi versi, non deono alcuni sbandirsi per poco suono, che s' habbiano, non dee nè anco parer strano, nè riprendersi, che componendo canzoni, le strofe si forniscano di versi fra loro diversi: e però dovransi accompagnare più lun

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ghi, e più corti, amezzati, e soprabbondanti, e d'ogni loro maniera accozzarsene insieme: l'esempio degli antichi ne dà consiglio. Certamente Orazio non fece strofa maggiore, che di quattro versi; e pure noi leggiamo in una sua strofe tre versi di varia generazione: e però se noi fabbricheremo strofa con maggiore moltitudine di versi, bene ci si dee consentire licenza di più variamente verseggiare; la qual licenza volle Pindaro, che a lui si concedesse, il quale ampie faceva le strofe degli Inni suoi. Io veggio, che voi sorgerete, e moveretevi all' incontra: direte per avventura in questa lingua la diversità di versi così accozzata, nè fia dolce nè gentile; anzi quell' accozzamento sembrerà una zuffa, ed uno scompiglio di che nulla è più contrario alla soavità della poesia. Io proverommi di rispondere: quando dassi licenza di fare qualunque cosa a chi che sia, dassigli con patto, ch'egli la faccia, che bene stia, e con ragione talmente, ch' ella riesca cara, e di grado delle persone. Sono nell'arte dell' architettura più ordini, come sapete; dassi possanza di mescolargli negli edifizj; ma se il maestro malamente gli mescolerà, ei saranne a ragione biasimato; e l'arte per sè rimarrà col suo pregio: i Cantori hanno molte note; ma se il musico indegnamente porralle insieme, fia sua l'infamia, e non del mestiere del canto: similmente dee essere nella poesia Toscana sono molte sorti di versi, e possono variamente accompagnarsi; ma se viziosamente accompagninsi, colpa n' averà il poeta, e la

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poesia andrassene assoluta; e qui assai potrei discorrerne; ma basterammi l' aver detto fin quì. C. Non posso per tutto ciò, che detto m'avete bene acquetarmi: sono alcune cose, le quali bene non possono fornirsi per colpa della loro naturalezza: et allora chi si mette in prova, non può schermirsi da biasimo; perciò che volere quello che conseguir non si può, è atto di vera follia: se la lingua greca, o la latina si adornavano di quella varietà di versi posti insieme si fattamente, io nol sò; ma dollomi a credere, perchè scrittori celebratissimi così fecero: e per questa ragione io biasimo chiunque tessendo canzoni toscane le empie di varj versi : perciocchè per sua natura il linguaggio rifiuta si fatta varietà e mi conduce a credere questo rifiuto la ragione che mi fa credere il contrario della Greca lingua, e della latina: voglio dire, che essendo io in forse, se quelle lingue amassero la varietà de' versi, e non potendo disciormi dal dubbio per mezzo del senso però che le lingue sono spente; io me ne disciolgo colla ragione; e dico a me medesimo: se mal fosse stato il così verseggiare, Pindaro astenuto se ne sarebbe, e sarebbesene astenuto Orazio, il che fatto non hanno; e ne vanno gloriosi: dunque quelle lingue amano quella varietà di versi : ma nel volgare idioma avviene diversamente; i Padri della poesia nostra a pochi versi si attennero, e sono ammirati: hora perchè cercare, come si dice in proverbio, miglior pane, che di grano?

Ger. Che i padri della lingua nostra, et i poeti

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