Deh pellegrini, che pensosi andate Forse di cosa, che non v'è presente, Venite voi di sì lontana gente, Come a la vista voi ne dimostráte?
Chè non piangete, quando voi passate Per lo suo mezzo, la città dolente? Come quelle persone, che neente Par che intendesser la sua gravitate?
Se voi restate per volerlo udire, Certo lo core ne' sospir mi dice, Che lacrimando n' uscirete pui :
Ella ha perduta la sua Beatrice; E le parole, ch' uơm di lei può dire, Hanno virtù di far piangere altrui.
Sì come suol, poi che 'l verno aspro e rio Parte, e dà loco a le stagion migliori, Vaga cervetta uscir col giorno fuori Del suo dolce boschetto almo natío,
Ed or su per un colle, or lungo un rio, Di lontano e da ville e da pastori Gir secura pascendo erbette e fiori Ovunque più la porta il suo desío ;
Nè teme di saetta o d'altro inganno, Se non quand' ella è côlta in mezzo 'l fianco Da arcier, che di nascosto scocchi :
Tal io senza temer vicino affanno
Moss' il piede quel dì che be' vostr' occhi M' impiagâr, Donna, tutto 'l lato manco.
Trifon, che 'nvece di ministri e servi,
Di logge e marmi, e d'oro intesto e d' ostro Amate intorno elci frondose, e chiostro Di lieti colli, erbe e ruscei vedervi;
Ben deve il mondo in reverenza avervi Mirando al puro e franco animo vostro, Contento pur di quel che solo il nostro Semplice stato e natural conservi.
O alma in cui riluce il casto e saggio Secolo, quando Giove ancor non s'era Contaminato del paterno oltraggio;
Scendesti a far qua giù mattino e sera Perchè non sia tra noi spento ogni raggio Di bel costume, e cortesia non pera.
Non treccia d'oro, non d'occhi vaghezza, Non costume real, non leggiadria, Non giovanetta età, non melodia, Non angelico aspetto nè bellezza,
Potè tirar dalla sovrana altezza
Il Re del cielo in questa vita rja, Ad incarnare in te, dolce Maria, Madre di grazia e specchio d'allegrezza ;
Ma l'umilità tua, la qual fu tanta
Che potè romper ogni antico sdegno Tra Dio e noi, e fare il cielo aprire.
Quella ne presta dunque, Madre santa, Sì che possiamo al tuo beato regno, Seguendo lei devoti, ancor salire.
Dante Allighieri son, Minerva oscura D'intelligenza e d'arte; nel cui ingegno L'eleganza materna aggiunse al segno, Che si en gran miracol di natura.
L'alta mia fantasia pronta e sicura Passò 'l tartareo e poi 'l celeste regno; E'l nobil mio volume feci degno Di temporale e spirital lettura.
Fiorenza gloriosa ebbi per madre, Anzi matrigna a me pietoso figlio, Colpa di lingue scelerate e ladre.
Ravenna fummi albergo del mio esiglio,
Ed ella ha il corpo: e l'alma il sommo Padre, Presso cui invidia non vince consiglio.
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