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E con sistemi e con orrende fole

Sfida l' Eterno, e il tuono e le saette Tenta rapirgli, e il padiglion del Sole. Come vide le facce maledette

Arretrossi d' Ugon l'ombra turbata :
Che in Inferno arrivar la si credette';
E in quel sospetto sospettò cangiata
La sua sentenza, e dimandar volea
Se fra l'alme perdute iva dannata.
Quindi tutta per tema si stringea
Al suo conducitor, che pensieroso
Le triste soglie già varcate avea.
Era il tempo, che sotto al procelloso (3)
Aquario il Sol corregge ad Elo il morso,
Scarso il raggio vibrando e neghittoso.
E dieci gradi e dieci avea trascorso
Già di quel segno, e via correndo in quella
Carriera, all'altro già voltava il dorso;
E compito del dì la nona ancella

L'officio suo, il governo abbandonava
Del timon luminoso alla sorella ;
Quando chiuso da nube oscura e cava
L' Angel coll' Ombra inosservato e queto
Nella città di tutti i mali entrava.
Ei procedea depresso, ed inquieto

Nel portamento, i rai celesti empiendo
Di largo ad or ad or pianto segreto.
E l'Ombra si stupía quinci vedendo
Lagrimoso il suo duca, e possedute
Quindi le strade da silenzio orrendo.

के

Muto de' bronzi il sacro squillo, e mute
L'opre del giorno, e muto lo stridore
Dell' aspre incudi e delle seghe argute.
Sol per tutto un bisbiglio ed un terrore,
Un domandare, un sogguardar sospetto,
Una mestizia che ti piomba al cuore:
E cupe voci di confuso affetto,

Voci di madri pie, che gl' innocenti
Figli si serran trepitando al petto.
Voci di spose, che ai mariti ardenti
Contrastano l'uscita, e sulle soglie
Fan di lagrime intoppo e di lamenti;
Ma tenerezza e carità di moglie

Vinta è da furia di maggior possanza
Che dall' amplesso coniugal gli scioglie.
Poichè fera menando oscena danza
Scorrean di porta in porta affaccendati
Fantasmi di terribile sembianza ;

De' Druidi i fantasmi insanguinati (4),
Che fieramente dalla sete antiqua
Di vittime nefande stimolati,

A sbramarsi venian la vista obliqua

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Del maggior de' misfatti, onde mai possa La loro superbir semenza iniqua. Erano in veste d'uman sangue rossa Sangue e tabe grondava ogni capello, E ne cadea una pioggia ad ogni scossa. Squassan altri un tizzone, altri un flagello Di chelidri e di verdi anfesibene;

Altri un nappo di tosco, altri un coltello..

E con quei serpi percotean le schiene
E le fronti mortali, e fean toccando
Con gli arsi tizzi, ribollir le vene.
Allora delle case infurïando

Uscian le genti, e si fuggia smarrita
Da tutti i petti la pietade in bando.
Allor trema la terra oppressa e trita
Da cavalli, da rote, e da pedoni,
E ne mormora l'aria sbigottita,
Simile al mugghio di remoti tuoni,
Al notturno del mar roco lamento,
Al profondo ruggir degli Aquiloni.
Che cor, misero Ugon, che sentimento
Fu allora il tuo, che di morte vedesti
L'alto vessillo volteggiarsi al vento?
E il terribile palco erto scorgesti,

Ed alzata la scure, e al gran misfatto
Salir bramosi i manigoldi e presti;

E il tuo buon Rege, il Re più grande, in atto D'agno innocente fra digiuni lupi

Sul letto de' ladroni a morir tratto;

E fra i silenzi delle turbe cupi

Lui sereno avanzar la fronte e il passo,
In vista che spetrar potea le rupi.

Spetrar le rupi, e sciorre in pianto un sasso,
Non le Galliche tigri. Ah! dove spinto
L'avete, o crude? ed ei v' amava? oh lasso!
Ma piangea il Sole di gramaglia cinto
E stava in forse di voltar le rote

Da questa Tebe, che l'antica ha vinto.

Piangevan l'aure per terrore immote,
E l'anime del cielo cittadine
Scendean col pianto anch'esse in su le gote;
L'anime che costanti e pellegrine
Per la causa di Cristo e di Luigi
Lassù per sangue diventár divine.

Il duol di Francia intanto e i gran litigi
Mirava Iddio dall'alto, e giusto e buono
Pesava il fato della rea Parigi.

Sedea sublime sul tremendo trono,
E sulla lancia d'or quinci ponea
L'alta sua pazienza e il suo perdono ;
Dell' iniqua città quindi mettea

Le scelleranze tutte; e nulla ancora
Piegar de' due gran carchi si vedea.
Quando il mortal giudizio, e l'ultim' ora
Dell' augusto infelice alfin v' impose
L' Onnipotente; cigolando allora
Traboccár le bilance ponderose:

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Grave in terra cozzò la mortal sorte Balzò l'altra alle sfere, e si nascose. In quel punto al feral palco di morte Giunge Luigi. Ei v' alza il guardo, e viene Fermo alla scala. imperturbato e forte. Già vi monta, già il sommo egli ne tiene E va sì pien di maestà l'aspetto, Ch' ai manigoldi fa tremar le vene. E già battea furtiva ad ogni petto (5) La pietà rinascente, ed anco parve Che del furor sviato avria l'effetto.

Ma fier portento in questo mezzo apparve :
Sul patibolo infame all' improvviso
Asceser quattro smisurate larve.

Stringe ognuna un pugnal di sangue intriso
Alla strozza un capestro le molesta,
Torva il cipiglio, dispietato il viso,
E scomposte le chiome in sulla testa,
Come campo di biada già matura,
Nel cui mezzo passata è la tempesta:
E sulla fronte arroncigliata e scura
Scritto in sangue ciascuna il nome avea,
Nome terror de' regi e di natura.

Damiens l'uno, Ankastrom l'altro dicea (6),
E l'altro Ravagliacco, ed il suo scritto
Il quarto colla man si nascondea.

Da queste Dire avvinto il derelitto
Sire Capeto dal maggior de' troni
Alla mannaia già facea tragitto.
E a quel Giusto simil che fra ladroni
Perdonando spiraya, ed esclamando :
Padre, Padre, perchè tu m'abbandoni?
Per chi a morte lo tragge anch' ei pregando,
Il popol mio, dicea, che sì delira,
E il mio spirto, Signor, ti raccomando.
In questo dir con impeto e con ira
Un degli spettri sospingendo il venne
Sotto il taglio fatal; l'altro vel tira:
Per le sacrate auguste chiome il tenne
La terza furia, e la sottil rudente
Quella quarta recise alla bipenne,

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