SONETTO XLVII. Cammillo. Guai, disse, ai vinti, e la sua spada irato Quando giunse Cammillo; e, Tolga il fato, Gridò, tal macchia al Roman nome, e a nui: Sol col braccio si dee d'acciaro armato, Salvar la patria dagli insulti altrui. Tra il cenere di Roma e la ruina, E per lui sol del Gallo sangue rosse, - Viste l'arena e l'onda Tiberina, La servil polve dai capei si scosse. MALLIO. SONETTO XLVIII. Alle campane sonanti a morto. Cessa, bronzo lugubre, il tristo metro Già mi stende sull' orrido feretro Morte del sangue de' miei padri lorda; Sola e divisa dalla spoglia algente La vedova consorte il bruno velo Lo spirto ignudo intanto o esulta in cielo MANARA. SONETTO XLIX. La tomba di Alessandro Magno. Apritemi quest' urna. Ahi qual rinserra Il guardo mio qui si confonde ed erra, Che se per lui già di gravosi incarchi Quand' io, raccolto il cenere infecondo, Alzando il braccio, esclamerò: Monarchi, Ecco in un pugno il vincitor del mondo. MANARA. SONETTO L. La morte d' Abele. Il torvo ciglio ancor d'atro livore, In quegli spenti lumi, in quel pallore Ma surse Morte da quel volto esangue, E, il tuo delitto, in suon feroce disse, Tremò la terra a quei fatali accenti, . MASSUCCO. SONETTO LI. Sopra il S. Natale. Stava dubbiosa e con la man sul ciglio, Quando fra l'ombre del comun periglio Il discorde voler fra due diviso Rise il ciel, tacque il mondo, e dai secreti Antri le fronti serenar d'un riso L'ombra de' patriarchi e de' profeti. MATTIOLI. |