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La casa del Petrarca.

O cameretta che già in te chiudesti
Quel grande alla cui fama angusto è il mondo,
Quel sì gentil d'amor mastro profondo
Per cui Laura ebbe in terra onor celesti;

O di pensier soavemente mesti

Solitario ricovero giocondo,

Di quai lacrime amare il petto inondo
In veder come inonorato or resti!

Prezioso diaspro, agata ed oro

Fóran debito fregio e appena degno
Di rivestir sì nobile tesoro.

Ma no tomba fregiar d'uom ch' ebbe regno Vuolsi, e por gemme ove disdice alloro: Qui basta il nome di quel divo ingegno.

ALFIERI.

SONETTO II.

Forza dell' Innocenza.

Quel feroce Lion che invitto e franco
Misura a passi lenti il piano, il monte,
Sen va sicuro, e de' perigli a fronte,
Suo magnanimo ardir non mai vien manco.

Tal move il Giusto, cui compagne al fianco
Van sue belle virtudi illustri e conte;
Nè d'alto rischio per minacce ed onte
S'arretra, e langue sbigottito, e stanco.

E d'onde il gran vigore, per cui nel saggio
Petto di lui pose fidanza il trono,
Ond' ei non tema assalitore oltraggio?

Così dubbiando in mio pensier ragiono;
Indi m' appongo, e grido: un tal coraggio
Di te, di te, bell' Innocenza, è dono.

BACIOCCHI.

SONETTO III.

Per Monaca.

Volea stupir, quel tuo bel crine e quei
Labbri vermigli e quel gentil sembiante,
Que' tuoi begli occhi, occhi sì vivi e bei,
Non fosser dati ad un divino amante.

Sin da quel dì che mi passaste innante
E che i tuoi lumi si scontrár co' miei,
Sin da quel dì, sin da quel primo istante
Cosa sola del cielo io ti credei.

E benchè più d'un cor fosse trafitto
Da' bellissimi tuoi raggi che scocchi,
Pur l'amarti ciascun credea delitto.

In quel volto, in quel crine, in que' begli occhi Troppo palesemente eravi scritto:

Sono cosa di Dio: nessun mi tocchi.

BARBIERI.

SONETTO IV.

Morte d' Abele..

Torvo il guardo, irto il crin, fra la man strinse
La noderosa clava il fier germano
E all' odiato Abele un colpo spinse,
Che barcollando traboccò sul piano.

Travolse i lumi, e colla fredda mano
Velò la fronte che il pallor dipinse,
Forse per non mirar quell' inumano
Che in sen le voci di natura estinse.

Ma l'empio fratricida, in fuga volto,
Il vindice spavento al fianco avea
E l'orror della colpa espresso in volto.

Fremè Natura, e presagì in quell' atto

I veleni, le stragi e chi dovea
Sull' orme incrudelir del gran misfatto.

BALDIS.

SONETTO V.

L'estasi di S. Geltrude.

Dietro un sospir d'amor tant' oltre spinse
L'anima il volo un dì che fuor trascorse,
E dal corporeo vel che ornolla e cinse,
Uscì, restando di sua vita in forse.

Morte frattanto a depredar s'accinse

La non sua spoglia, e la man fredda sporse,
Onde il labbro le chiuse e i lumi estinse,
Nè dell' inganno suo stolta s'accorse.

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L'anima alfin dall' estasi discese,

Ma trovò chiuso il varco, e vide lenta
Morte seder sulle sue membra offese.

Sorrise a quella vista e :

Tienti pur

Il fragil velo

disse; e dell' error contenta

Ripiegò il volo e fe ritorno al cielo.

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