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SONETTO LXXXVIII

Al Nome di Maria.

O santo Nome, al cor dolce e al pensiero, Dolce al labbro e all'orecchio espresso in voce, Che, ovunque è sole, più del sol veloce Porti su' vanni tuoi salute e impero :

Per te al gregge e al Pastor l'aere è sincero,
Nè serpe, nè maligna erba lor nuoce;
Per te calmato il mar china al nocchiero,
Placida la spumante onda feroce.

L' Angiol ribelle al suono tuo da noi
Fugge confuso, e pien di scorno e d'ira
Rammenta le tue palme, e i danni suoi;

Si dolce al cor di Dio, se Dio s'adira,
Risuoni alfin, che il dardo incocca, e poi
La man dall' arco per pietà ritira.

SALANDRI.

SONETTO LXXXIX.

Il Diluvio universale.

Gridò l' Eterno, e gli squarciati abissi
D'immense acque inondár la terra impura, ́
E ai rei viventi l'ultima sciagura
Recaro i cieli in mille parti scissi.

Per lo spavento allor la faccia pura
Gli Astri velár di tenebrosa ecclissi,
E al Caos tornar credeo d' onde partisși
L'agonizzante e squallida natura.

Gli eccelsi monti di quel giusto scempio
Serbano ancor sull' alte cime in segno
Del mar gli avanzi, e ne fan fede all'empio.

E l'empio il niega? Ah! se di pace un pegno Fa ch' ei non vegga il rinnovato esempio, Pensi d'un Dio quanto può mai lo sdegno.

SALOMON FIORENTINO.

SONETTO XC.

In morte d' una fanciulla.

lo te non piango, Angelica, che fatta
Angelo sei, siccome spero, in cielo;
Piango me, cui ricopre il mortal velo,
Che già mia vita ho in vanità disfatta.

Leggiera al porto di salute e ratta

Volasti a non soffrir più caldo, o gelo:
Io grave d'anni, ancor sudo ed anelo,
E forza è che nel mar urti e combatta.

Dormito hai dolcemente un breve sonno,
Nè le tue luci dopo un breve pianto
Ombra, o nebbia di duol più veder ponno.

Ahi! qual cammino ora a me resta, e quanto ? Troppo mi stanco, Angelica, e m'assonno, E vorrei pur svegliarmi, e starti accanto.

SALVINI

SONETTO XCI.

Roma penitente.

Ah! come siede addolorata e mesta,
Pallida in volto, con dimesse ciglia,
Preda d'aspro martir, che il cuor le infesta
L'unica di Sion inclita figlia :

Già sotto spoglia di grand' ór contesta
Fra varie sete o candida o vermiglia,
Or cinta di gramaglia atra e funesta,
Qual un tempo era già, più non somiglia.

L'allegre voglie, i lieti balli, e il canto,
Ove di sacre squille il suon l'appella,
Cangia in preci divote e in umil pianto.

Ricerchi Roma, e non appar più quella: Negletta è sì: ma sì negletta, oh! quanto Alle luci di Dio sembra più bella.

STRINATI.

SONETTO XCII.

L'Ingratitudine.

Donna vidi raminga in nuda arena,
Languida ed arsa dal calore estivo;
Pianta sorger di pomi e frondi piena,
E un ruscello apparir limpido e vivo!

Ella assisa alla dolce ombra serena :
Or dei pomi si pasce, or beve al rivo;
Spirto ripiglia, e ristorata appena

E quelli prende e prende questo a schivo;

Al fin superba in piè si leva, e poi
Con atti oltraggia sconoscenti e rei
Il ruscello, la pianta e i frutti suoi.

Seccansi e l'acqua e i rami in faccia a lei, Pastorelle, scacciatela da voi :

L'iniqua Ingratitudine è costei.

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