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SONETTO XIX.

Il Rio.

Limpido rio, che dal natío soggiorno
Muovi si dolcemente il fresco umore,
Ben mi sovvien che d'ingrandirti un giorno
Vano desío ti si destò nel cuore:

Pioggia chiedesti, e a questi colli intorno
Tosto piombo di nembi alto furore,
E allor ti vidi alzar superbo il corno,
Ma torbido perdesti il tuo candore.

Or che l' onde non tue lasciasti, e umíle
Scorri qual pria, non desiar più quello
Che ti rende men vago e men gentile.

Al cor d'un innocente pastorello,
O superbetto rio, tu sei simíle :
Quanto placido è più, tanto è più bello.

CLASIO.

SONETTO XX.

L' Usignolo.

Un incauto usignol tra fronda e fronda
L'esca ne porta alla sua prole amata ;
Intanto insegna al villanel, che il guata,
Qual pianta e ramo il caro nido asconda.

Già v' accorre il pastor, già scopre e sfronda
L'asílo alla famiglia sventurata,

Già le sovrasta, e con la man spietata
L'adito ingombra al nido, e lo circonda..

Piange il misero augel, ma piange invano,
Che il rapitor alla sua preda intento
Nol cura, e porta i figli suoi lontano.

Ferma il piede, o crudel, ferma un momento, Pensa pria di partir quanto è inumano

Trar dall' altrui dolore il pio contento.

CLASIO.

SONETTO XXI.

Il Fiore.

L'odor soave ed il vermiglio ammanto
Rendean caro alle selve un fior novello :
Ma uno spino crudel, ch' eragli accanto,
Punse più d'una volta or questo, or quello.

Onde sdegnato alfin che ardisse tanto,
In lui vibrò la scure un pastorello,
E lo tronco ma quel bel fiore intanto
Rimase anch'ei sotto il mortal flagello.

Io tal mirando allor dura vicenda,

A lui gridai: Perchè di due lo scempio, Mentre evvi un sol che i passeggieri offenda?

Ed ei Perchè quel fior serva d'esempio,
E dalla sua sventura ognuno apprenda
Ad aborrir la compagnia di un empio.

CLASIO.

SONETTO XXII.

Il Lupo.

Questo tenero parto or or rapito
Di lupa ingorda alla materna cura,
Tirsi, tu vuoi che tra le stesse mura
Sia con quel cagnoletto insiem nutrito;

Perchè in dolce amistà con esso unito
L'antica impari a raddolcir natura
Indi con lui, giunto all' età matura,
A difendere il gregge esca sul lito.

Bello saría veder lupo che accosto

Giacesse all' agne, a custodirle intento, Ma, credi a me, tu nol vedrai sì tosto.

Che il lupo cangi il natural talento,

Tirsi, non lo sperar; temi piuttosto
Che il cane apprenda a divorar l'armento.

CLASIO.

SONETTO XXIII.

Il pastore e il miele.

Pastor, che intorno all' alvear t' aggirî,

Vuoi miele? ah! scaccia un tal desío lontano. L'api ti pungeran, se tu le adiri,

E sai ch'ape in furor non punge invano.

Per sì poco di dolce, oh quai sospiri
Dovrai... ma che! tu non m'ascolti, e insano
Già su' favi t'avventi, e già ritiri

Del rapito licor colma la mano.

Ma guarda pur che l'api offese a schiere
Drizzano a te vendicatrici il volo;
Chi il volto e chi l'ardita man ti fere.

Va', folle, or gusta il caro miele ;
Momento è la misura al tuo piacere,
E passato il piacer ti resta il duolo.

CLASIO.

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