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Io levai gli occhi, e credetti vedere
Lucifero com' io l' avea lasciato,
E vidili le gambe in su tenere.
E s'io divenni allora travagliato,

La gente grossa il pensi, che non vede
Qual è quel punto ch' io avea passato.
Levati su, disse il Maestro, in piede:

La via è lunga, e il cammino è malvagio,
E già il sole a mezza terza riede.
Non era camminata di palagio

Là 'v'eravam, ma natural burella
Ch' avea mal suolo, e di lume disagio.
Prima ch'io dell'abisso mi divella,

Maestro mio, diss' io quando fui dritto,
A trarmi d'erro un poco mi favella.
Ov'è la ghiaccia? e questi com'è fitto
Si sottosopra? e come in sì poc' ora
Da sera a mane ha fatto il sol tragitto?
Ed egli a me: Tu immagini ancora

Esser di là dal centro, ov' io m' appresi
Al pel del vermo reo che il mondo fora.
Di là fosti cotanto, quant' io scesi:
Quando mi volsi, tu passasti il punto
Al qual si traggon d'ogni parte i pesi:
E se' or sotto l' emisperio giunto

Ch'è contrapposto a quel che la gran secca
Coperchia, e sotto il cui colmo consunto
Fu l'uom che nacque e visse senza pecca:
Tu hai li piedi in su picciola spera
Che l'altra faccia fa della Giudecca.
Qui è da man, quando di là è sera:
E questi che ne fe' scala col pelo,
Fitto è ancora, sì come prim' era.
Da questa parte cadde giù dal cielo :
E la terra che pria di qua si sporse,
Per paura di lui fe' del mar velo,

E venne all'emisperio vostro; e forse
Per fuggir lui lasciò qui il loco voto
Quella che appar di qua, e su ricorse.
Loco è laggiù da Belzebù remoto
Tanto, quanto la tomba si distende,
Che non per vista, ma per suono è noto
D'un ruscelletto che quivi discende

Per la buca d' un sasso, ch' egli ha roso
Col corso ch' egli avvolge, e poco pende.
Lo Duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo:
E senza cura aver d'alcun riposo
Salimmo suso, ei primo ed io secondo,
Tanto ch'io vidi delle cose belle

Che porta il ciel, per un pertugio tondo, E quindi uscimmo a riveder le stelle.

PURGATORIO

CANTO PRIMO

Per correr migliori acque alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno,
Che lascia retro a sè mar sì crudele.
E canterò di quel secondo regno,
Dove l' umano spirito si purga,
E di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesi risurga,

O sante Muse, poichè vostro sono,
E qui Calliope alquanto surga,
Seguitando il mio canto con quel suono
Di cui le Piche misere sentiro

Lo colpo tal, che disperar perdono.
Dolce color d' oriental zaffiro,

Che s' accoglieva nel sereno aspetto
Dell' aer puro infino al primo giro,
Agli occhi miei ricominciò diletto,

Tosto ch'i' uscii fuor dell' aura morta, Che m' avea contristati gli occhi e il petto. Lo bel pianeta che ad amar conforta, Faceva tutto rider l'oriente,

Velando i Pesci ch' erano in sua scorta. Io mi volsi a man destra, e posi mente All' altro polo, e vidi quattro stelle Non viste mai fuor che alla prima gente.

Goder

pareva il ciel di lor fiammelle. O settentrional vedovo sito,

Poichè privato sei di mirar quelle! Com' io dal loro sguardo fui partito, Un poco me volgendo all' altro polo, Là onde il carro già era sparito; Vidi presso di me un veglio solo, Degno di tanta riverenza in vista, Che più non dee a padre alcun figliuolo. Lunga la barba e di pel bianco mista Portava, e i suoi capegli simigliante, De' quai cadeva al petto doppia lista. Li raggi delle quattro luci sante Fregiavan sì la sua faccia di lume,

Ch'io 'l vedea come il sol fosse davante. Chi siete voi, che contro al cieco fiume Fuggito avete la prigione eterna? Diss' ei, movendo quell' oneste piume. Chi v' ha guidati? o chi vi fu lucerna, Uscendo fuor della profonda notte Che sempre nera fa la valle inferna? Son le leggi d' abisso così rotte?

O è mutato in ciel nuovo consiglio, Che dannati venite alle mie grotte? Lo Duca mio allor mi diè di piglio, E con parole e con mano e con cenni, Riverenti mi fe' le gambe e il ciglio. Poscia rispose lui: Da me non venni; Donna scese del ciel, per li cui preghi Della mia compagnia costui sovvenni. Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi

Di nostra condizion, com' ella è vera, Esser non puote il mio che a te si neghi. Questi non vide mai l'ultima sera, Ma per la sua follia le fu si presso, Che molto poco tempo a volger era.

Si come io dissi, fui mandato ad esso
Per lui campare, e non v'era altra via
Che questa per la quale io mi son messo.
Mostrato ho lui tutta la gente ria;
Ed ora intendo mostrar quegli spirti
Che purgan sè sotto la tua balia.
Come io l'ho tratto, saria lungo a dirti:
Dell'alto scende virtù che m'aiuta
Conducerlo a vederti ed a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta :
Libertà va cercando, che è sì cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu il sai; chè non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti

La vesta che al gran dì sarà sì chiara.
Non son gli editti eterni per noi guasti:
Chè questi vive, e Minos me non lega;
Ma son del cerchio ove son gli occhi casti
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega,
O santo petto, che per tua la tegni:
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni:
Grazie riporterò di te a lei,

Se d'esser mentovato laggiù degni. Marzia piacque tanto agli occhi miei, Mentre ch'io fui di là, diss' egli allora, Che quante grazie volse da me, fei. Or che di là dal mal fiume dimora, Più mover non mi può per quella legge Che fatta fu quando me n'uscii fuora. Ma se donna del ciel ti move e regge Come tu di', non c'è mestier lusinghe: Bastiti ben, che per lei mi richegge. Va dunque, e fa che tu costui ricinghe D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso, Si che ogni sucidume quindi stinghe:

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