la persona di costui ! E nominandola, intesi che diceano di colei, che in mezzo era stata nella linea retta che movea dalla gentilissima Beatrice, e terminava negli occhi miei. Allora mi confortai molto, assicurandomi che il mio segreto non era comunicato, lo giorno, altrui per mia vista. Ed immantinente pensai di fare di questa gentile donna schermo della veritade; e tanto ne mostrai in poco di tempo, che il mio segreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti mesi ed anni; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facessero a trattare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascierò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò, che pare che sia loda di lei. VI. Dico che in questo tempo, che questa donna era schermo di tanto amore, quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di voler ricordare il nome di quella gentilissima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, e specialmente del nome di questa gentildonna; e presi i nomi di sessanta le più belle della cittade, ove la mia donna fu posta dall' altissimo Sire, e composi una epistola sotto forma di serventese, la quale io non scriverò. E non n'avrei fatto menzione, se non per dire quello che, componendola, maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nove, tra' nomi di queste donne. VII. La donna, con la quale io aveva tanto tempo celata la mia volontà, convenne che si partisse della sopradetta cittade, e andasse in paese lontano: per che io, quasi sbigottito della bella difesa che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, proposi di farne alcuna lamentanza in un sonetto, il quale io scriverò, perciocchè la mia donna fu immediata cagione di certe parole, che nel sonetto sono, siccome appare a chi lo intende: e allora dissi questo sonetto: O voi, che per la via d' Amor passate, S'egli è dolore alcun, quanto il mio, grave: E poi immaginate S'io son d'ogni dolore ostello e chiave. Amor, non già per mia poca bontate, Ma per sua nobilitate, Mi pose in vita si dolce e soave, Ch'io mi sentia dir dietro assai fiate: Deh! per qual dignitate Cosi leggiadro questi lo cor have! Ora ho perduta tutta mia baldanza, Ond' io pover dimoro In guisa, che di dir mi vien dottanza. Sicché, volendo far come coloro, Che per vergogna celan lor mancanza, E dentro dallò cor mi struggo e ploro. Questo sonetto ha due parti principali: chè nella prima intendo chiamare i fedeli d' Amore per quelle parole di Geremia profeta: O vos omnes, qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus; e pregare che mi sofferino d'udire. Nella seconda narro là ove Amore m' avea posto, con altro intendimento che l'estreme parti del sonetto non mostrano: e dico ciò che io ho perduto. La seconda parte comincia quivi: Amor, non già. VIII. Appresso il partire di questa gentil donna, fu piacere del Signore degli Angeli di chiamare alla sua gloria una donna giovane e di gentile aspetto molto, la ⚫ quale fu assai graziosa in questa sopraddetta cittade; lo cui corpo io vidi giacere senza l'anima in mezzo di molte donne, le quali piangevano assai pietosamente. Allora, ricordandomi che già l'avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non potei sostenere alquante lagrime; anzi piangendo mi proposi di dire alquante parole della sua morte in guiderdone di ciò, che alcuna fiata l' avea veduta con la mia donna. E di ciò toccai alcuna cosa nell'ultima parte delle parole che io ne dissi, siccome appare manifestamente a chi le intende: e dissi allora questi due sonetti, dei quali co mincia il primo; Piangete, amanti: il secondo: Morte villana. Piangete, amanti, poichè piange Amore, Udite quant' Amor le fece orranza; E riguardava invêr lo ciel sovente, Ché donna fu di si gaia sembianza. Questo primo sonetto si divide in tre parti. Nella prima chiamo e sollecito i fedeli d' Amore a piangere; e dico che lo signore loro piange, e che udendo la cagione perch' e' piange, si acconcino più ad ascoltarmi; nella seconda narro la cagione; nella terza parlo d'alcuno onore, che Amore fece a questa donna. La seconda parte comincia quivi; Amor sente: la terza quivi; Udite. Morte villana, di pietà nemica, Di dolor madre antica, Giudizio incontrastabile, gravoso, Di te biasmar la lingua s' affatica. E se di grazia ti vuoi far mendica, Lo tuo fallir, d'ogni torto tortoso; Ma per farne cruccioso Chi d' Amor per innanzi si nutrica. E, ciò che 'n donna è da pregiar, virtute: Distrutta hai l'amorosa leggiadria. Più non vo' discovrir qual donna sia, Chi non merta salute, Non speri mai d' aver sua compagnia. Questo sonetto si divide in quattro parti: nella prima chiamo la Morte per certi suoi nomi propri; nella seconda parlando a lei, dico la ragione perch' io mi movo a biasimarla; nella terza la vitupero; nella quarta mi volgo a parlare a indiffinita persona, av vegnachè quanto al mio intendimento sia diffinita. La seconda parte comincia quivi; Poi c' hai data: la terza quivi; E se di grazia: la quarta quivi; Chi non merta. IX. Appresso la morte di questa donna alquanti di, avvenne cosa, per la quale mi convenne partire della sopradetta cittade, ed ire verso quelle parti, ov'era la gentil donna ch' era stata mia difesa, avvegnachè non tanto lontano fosse lo termine del mio andare, quanto ella era. E tuttochè io fossi alla compagnia di molti, quanto alla vista, l'andare mi dispiacea sì, che quasi li sospiri non poteano disfogare l'angoscia, che il cuore sentia, però ch' io mi dilungava dalla mia beatitudine. E però lo dolcissimo signore, il quale mi signoreggiava |